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Blackjack (1998): quando punti al 21 ma giochi con le carte da briscola

Lo sapete che quando incomincio una rubrica, cerco sempre di
essere completo, nella speranza di poter coprire quanti più
titoli possibili, anche quando non è piacevole farlo, come in questo caso. Benvenuti
al nuovo capitolo della rubrica… Who’s better, Woo’s best!

Dopo aver spaccato tutto lo spaccabile, rimescolato le facce
dei suoi protagonisti come carte da gioco e in generale, dimostrato agli
americani come fare film d’azione con Face/Off, John Woo per qualche
ragione non ben precisata nel 1998 si lancia in questo disastroso “Blackjack”, che
in origine avrebbe dovuto essere il pilota di una serie tv, una co-produzione al
confine tra Canada e Stati Uniti, non proprio un salto (sparando con una
Beretta in ogni mano) nel vuoto per Woo, che proprio in Canada aveva segnato un
precedente, quindi si resta in occidente, anche se non è proprio HollyWOOd.

Mi riferisco al lungo episodio pilota, uscito come film per
la tv nel 1996 intitolato “Once a thief”, utilizzato per lanciare il telefilm
omonimo e auto-remake con cast occidentale del suo Once a Thief. Anzi, a
ben guardare questa volta John Woo avrebbe potuto contare su qualcuno ben più propenso
a recitare in film d’azione di Sandrine Holt, Ivan Sergei e Nicholas Lea,
perché andiamo, John Woo e Dolph Lundgren insieme, nello stesso film, cosa
potrebbe andare storto? Purtroppo per noi quasi tutto.

Il potenziale di questa coppia è da capogiro, il risultato della loro collaborazione beh, molto meno.

Ho visto “Blackjack” una sola volta anni fa, a distanza di
tempo ricordavo solo la sparatoria iniziale, l’ho rivisto in occasione di
questa rubrica e ho capito il perché. Ma affrontiamo per gradi questo disastro
che inizia per altro in un modo che risulta essere meno peggio: Jack Devlin è
un ex soldato dell’esercito degli Stati Uniti fatto a forma di Dolph Lundgren,
ora lavora come detective o guardia del corpo a seconda di cosa richiede la
giornata, finché non riceve una telefonata da un vecchio amico finito nei
casini, dei criminali hanno preso di mira la sua famiglia e avrebbe bisogno che
il nostro li “Spiezzasse in due” alla sua maniera.

Dolphone entra in scena facendo il guappo, John Woo gli regala il primo di tanti rallenty quando Jack si libera facilmente della
sicurezza del casinò e poi spavaldo, lancia loro addosso anche le carte un
attimo prima che le porte dell’ascensore si chiudano. Tieni il resto lurido
bastardo (cit.)

Paura al bando, Dolph al comando!

L’amico proprietario del casinò gli chiede di fare da guardia
del corpo a Casey, la bimba caruccina che racconta barzellette sulle suore
finite nel frullatore (giuro! Non mi sto inventando niente) ed è qui che nella
villa fanno irruzione una banda di futuri cadaveri che rappresentano l’occasione
per Dolph e Woo di fare quello per cui sono famosi.

Se riuscite ad ignorare gli effetti sonori dei pugni (tipici
di ogni brutto telefilm degli anni ’90) la sequenza non è nemmeno malissimo,
Dolph sa come tirare calci quindi siamo in mani (anzi piedi) sicuri, Woo mette
su una coreografia nemmeno malissimo, sfruttando i quasi due metri d’altezza del
suo protagonista, che salta già dalla balconata al piano di sopra, ricordandosi
di ammazzare sgherri (ovviamente sparando a due mani) mentre vola giù, per uno
della sua altezza quasi un saltino.

La svolta imposta dalla trama è l’esplosione di una granata lanciata
da uno degli sgherri, Jack salva Casey dallo scoppio ma il lampo bianco che segue gli provoca una Chromophobia,
un senso di panico davanti ad ogni manifestazione del colore bianco, avete
presente il rosso di Poliziotto superpiù? Uguale ma senza l’ironia e il Super Super Super della colonna sonora.

Chow Yun-fat teneva in braccio neonati, Dolph invece si becca le dodicenni con le trecce.

Accecato Dolphone deve arrangiarsi, quindi si carica Casey
sulle spalle (provocandole un’embolia per aver scalato troppo velocemente Monte
Dolph) con la bambina impegnata a “pilotarlo” dandogli indicazioni come una
novella Hiroshi Shiba farebbe con Jeeg Robot, tanto più o meno il robottone è alto quanto Dolph quindi il paragone ci sta. La bimba gli dice di sparare, lui spara, gli
dice di saltare, lui salta e un altro paio di sgherri restano a terra così,
anche se la parte migliore arriva dopo: Dolph slancia via la bimba fuori dalla
finestra, dritta su un tappeto elastico nel cortile (che mi auguro abbia visto
prima di diventare cieco) e poi di rimbalzo, dritta in piscina. A quel punto si
getta anche lui e rimbalzando sullo “zumpa zumpa” si volta in aria, spara all’ultimo
sgherro con un po’ di “Beretta Akimbo” prima di finire in acqua, immagino
svuotando la piscina senza nemmeno urlare «Eureka» come avrebbe fatto
Archimede.

Dolph akimbo!

Il ritorno a casa (o quello che ne resta) dei genitori,
viene accolto dalla bimba felice che dice loro: «Jack è il migliore nello
scontro a fuoco!» (ribadisco, non mi sto inventando nulla eh?), sorriso finali,
sigla. FINE! Seee magari! Purtroppo questo lungo pilota decide di continuare nel
modo più tragicomico possibile.

Jack per il suo problema (compensato dall’indossare spesso
gli occhiali da sole) si rivolge alle consulenze di una psicologa, una variante
di quella tipologia di personaggio che qui alla Bara Volante chiamiamo L.S.F (La
Scienziata Figa), quindi per l’occasione potremmo chiamarla L.D.B (La Dottoressa
Bona) nello specifico fatta a forma di Kate Vernon che accoglie il nostro
protagonista in camicetta bianca (terapia d’urto!) e mentre ascolta il suo
problema, pensa bene di fumarsi un Cohiba lungo un metro, che avrebbe fatto
tirare un paio di conclusioni anche al padre della psicanalisi.

Sigmund Freud, analyze this!

Per effetto di questa seduta, che pare l’inizio di un film
porno (nemmeno uno di quelli particolarmente curati) L.D.B formula la sua
prognosi: per la Chromophobia di Jack vale la legge del menga, chi ce l’ha se
la tenga, STACCE! Ma lo show e purtroppo il film deve continuare, quindi entra
in scena un vecchio amico di Jack, un quasi futuro ex poliziotto fatto a forma
di quel mito di Fred Williamson, che lo informa di un Serial Killer che ha
preso di mira una bella modella, occasione per allungare il brodo della trama
mostrando due bionde che sfilano in passerella.

Il buon vecchio Fred, in uno dei suoi mille mila ruoli.

La bionda in questione, ha un piccolo problema, dipendente
anche dalla naftalina nemmeno fosse Eta Beta, quindi quando Jack, sua nuova
guardia del corpo, entra in contatto con la modella, questa è cotta a puntino. Per non farla collassare bisogna farla muovere, il che ci regala il grande “onore”
di vedere Dolphone esibirsi in una danza di strusciamenti pelvici che avrebbe
anche questa, fatto buttare giù due appunti al caro vecchio Sigmund. In
compenso la scena successiva in cui il biondo le sistema la sciatica, appoggiandola
alla parete e facendole un massaggio che sembra un modo becero per girare
attorno al visto censura televisivo, mi ha fatto seriamente tornare alla mente
quella storia del porno bruttarello girato senza nemmeno troppi fronzoli.

Chiarito che il nostro Jack ha per le mani due bionde dall’ormone
facile, bisogna sistemare tutto il resto della sua caratterizzazione e qui lo
stile dei telefilm di fine anni ’90 richiede il suo tributo di sangue. Malgrado
gli sforzi i genitori di Casey muoiono fuori scena (quanta fantasia!), rendendolo il nostro in
automatico zio Jack con nipotina a carico, oltre all’amico poliziotto Fred
Williamson, vuoi non affiancare al protagonista una sorta di
maggiordomo/cuoco/spalla comica? Ecco quindi spuntare il suo personale
Kato/Robin/Alfred, un tizio con benda sull’occhio in modo che il pubblico
(anche quello che si è già addormentano) non possa mancarlo.

Deve aver recuperato la moto dai tempi de Il Vendicatore.

Circondato da questa bella squadretta di personaggi, che nei
piani originali, avrebbero dovuto essere il cast di supporto al protagonista
del telefilm, l’indagine prosegue a strappi, nel senso che ogni volta che il
Killer si manifesta, con uscite di volta in volta sempre più teatrali, tutte “giustificate”
dalla trama, Jack potrebbe ammazzarlo e mettere fine al tormento, invece no,
stacco! Altra scenetta comica. Non voglio dire che sembra di guardare tante
puntate di telefilm incollate insieme, in realtà manca proprio la soluzione di
continuità, sembra che tutti tirino a campare per raggiungere il traguardo dei
108 minuti di durata, percepiti almeno il doppio.

Ogni tanto quasi pare di vedere John Woo alzarsi dalla sua
sedia da regista per dire: «Scusate, quando è previsto che io diriga delle
scene d’azione?», il massimo che gli viene concesso e un duello (non risolutivo)
tra Jack e l’assassino, che si svolge sullo sfondo di una fabbrica di latte, con
il killer che svuota su Dolph litri e litri di liquido bianco per paralizzarlo
con la sua fobia. Di Freud vi ho già detto vero? Ok andiamo avanti.

Qui se non altro Dolph ha l’occasione per una frase
ignorante in risposta all’assassino: «Tu hai paura del bianco», «No, sono
intollerante al lattosio», ma davvero tocca prendere quello che viene perché
più di cosi questo “Blackjack” non offre, quindi vi prego, non fatemi
aggiungere nulla sul gioco di parole che sta alla base del titolo perché siamo
davvero alle battute da scuola media.

Parzialmente scremato.

Nella noia e nello sconforto più totale, questa piattissima
produzione televisiva non è davvero in grado di sfruttare nemmeno gli enormi
talenti a sua disposizione, Dolph Lundgren, che di solito è il più bravo di
tutti a capire lo spirito del film in cui sta lavorando, anche quando si tratta
del più becero filmaccio, qui pare sotto valium, forse aveva giù intuito dall’alto
del suo sproporzionato Q.I. che “Blackjack” non aveva futuro e sarebbe stato
solo un titolo nella sua infinita filmografia, non sempre composta da titoli di
prima fascia, quindi quello che ne esce peggio è proprio John Woo.

“BlackJack” non ha nulla delle sue tematiche, a sforzarci
potremmo trovare nella Chromophobia del protagonista quell’elemento costante
della sua filmografia, in cui uno dei suoi personaggi cade in disgrazia prima
di riprendersi, ma davvero sto sparando in aria per cercare di colpire qualcosa,
un tentativo disperato da parte mia di fare un po’ di “Beretta Akimbo” perché
sul serio, “Blackjack” è il niente che spreca il nome John Woo nei titoli di
coda.

Vi ho già detto del potenziale sprecato vero? Ok, andiamo avanti.

Anche lo scontro finale con l’assassino, non vale una riga
di descrizione, mi mette davvero solo la depressione, l’unica scena che
ricordavo dalla prima visione, quella del trampolino elastico resta la sola meritevole di almeno un’occhiata, ma niente di più. Se per lo meno “Blackjack”
fosse diventata una serie, forse questo lungo pilota sarebbe stato minimamente
nobilitato, ma così sembra uno di quei “niente” di cui parlava Jules Winnfield
in “Pulp Fiction” (1994), una roba tipo “Volpi forza cinque”, infatti a ben pensarci
c’è anche la barzelletta di Casey, magari ne avrebbe raccontata una in ogni
puntata se il telefilm fosse proseguito.

Non credevo che avrei visto così tanto melò lontano da Hong Kong.

Va aggiunto per onore di cronaca che “Blackjack” è stato
trasmesso il 15 settembre del 1998 dal canale USA Network, raccogliendo un buon
numero di ascolti ma recensioni al massimo mediocri. Una pagina un po’ meno
dimenticata (ma di sicuro oscura) della filmografia americana di Woo, che
potrebbe andare mano nella mano con il pilota di “Once a Thief”, ma con ancora
meno fortune e il rimpianto che due geni nel loro comune campo, come Woo e Lundgren,
abbiano potuto collaborare solo su questa produzione scalcagnata.

Purtroppo non sarà l’unico capitolo zoppicante di questa
rubrica, quindi tanto vale optare per essere il più completi possibile e
cercare di coprire tutto, perché per fortuna nell’immediato “Blackjack” non ha
fatto troppi danni, la fama negli Stati Uniti di John Woo era ancora quella che
si merita, un Maestro in grado di elevare il film d’azione ad arte e per nostra
fortuna, qualcuno in quel periodo era proprio alla ricerca di un regista con le
sue caratteristiche per la sua beh, missione.

Ma di questo parleremo alla ripresa delle operazioni con il prossimo capitolo HollyWOOdiano della rubrica, che per ora va in pausa in vista delle imminenti vacanze, si ricomincia ufficialmente a fine Agosto, ma venerdì prossimo, non mancate perché arriverà un capitolo speciale, che sarà molto gustoso, consideratevi avvisati!

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