Non era il sequel che vi aspettavate, vero? Verrebbe da dire che è il tipo di secondo capitolo che voi umani non potreste immaginarvi. Ci ho messo del bel tempo per riuscire a vederlo e altrettanto per riuscire a scriverne, che ci volete fare, il periodo è così, ma per certi versi meglio, almeno mi sono chiarito le idee perché a caldo non avrei saputo proprio che dire di questo film, se non che sono riuscito a vederlo tutto senza che mi scappasse nemmeno un vaffanculo, non come quelli che si è guadagnato che so, Episodio VII, oppure a coppie di due Alien Covenant.
In Blade Runner 2(049) Ryan Gosling era davvero un replicante, mi verrebbe da dire come mi secca avere sempre ragione, eppure, alla fine, la trovata è funzionale alla trama, non è il (non) colpo di scena su cui viene basato tutto, per fortuna, perché questo film, al netto di due difetti sostanziali, riesce a fare un numero ragguardevole di cose giuste, tanto che quasi mi spiace che se ne sia parlato più prima della sua uscita che dopo, ma andiamo per gradi, come diceva Celsius.
Difetto numero uno: la durata del film. Ok che io sono un fanatico del minutaggio da 90 minuti spaccati, che per me è quello perfetto e che ultimamente tutti i film con un minimo di budget sforano solo per dimostrare di poterlo fare. Non mi faccio certo spaventare da 163 minuti di pellicola, ma con venti, trenta minuti in meno, Blade Runner 2(049) sarebbe stato più coeso ed efficace, anche perché molto del tempo lo perde a mostrare cose del tipo, Ryan Gosling cammina fino a lì, Ryan Gosling si guarda intorno, Ryan Gosling fa una faccia perple… No quello no, visto che la faccia di Ryan Gosling per 163 minuti resta sempre la stessa, persino durante le avances combinate di Ana de Armas e Mackenzie Davis, penso che sia possibile solo in due casi: essere morti, oppure essere dei replicanti, in questo caso barrare “B”.
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Ryan Gosling ha due espression… no, no no, ferma tutto stavo scherzando. |
In generale, Blade Runner 2(049) sembra un film che sa benissimo di non poter competere né con il mito, né con il densissimo substrato di letture di secondo (terzo, quarto) livello del film originale, quindi non ci prova nemmeno, da questo punto di vista sembra uno di quei seguiti di film ultra famosi che una volta uscivano con grande leggerezza, erano anche buoni film, ma ricordati come note e piè di pagina nella grande pagina di Wikipedia dei capolavori (lanciatemi un salvagente per uscire da questa pericolosa metafora ipertestuale in cui mi sono infilato!). Roba tipo boh, “2010 – L’anno del contatto” (1984), in un’epoca in cui tutto deve creare AAAAAAIIIIIIIIPPPPP (detto “Hype”) Blade Runner 2(049) se ne frega, è uno di quei seguiti che si accerta di raccontarti per davvero di quali sono state le conseguenze (applicando la grande lezione di Jimmy Cameron) e ci mostra cos’è accaduto ai personaggi.
Se avessero fatto un banalissimo film d’azione con i neon, la pioggia, Vangelis e quante più strizzate d’occhio possibili, il pubblico ci si sarebbe gettato sopra lo stesso, invece per questo devo davvero ringraziare Denis Villeneuve per il suo lavoro, “Blade Runner 2049” è un seguito vero, per certi versi anche sci-fi come si faceva una volta, con una cura per i dettagli visivi quasi maniacale, in un mondo di sequel replicanti, questo replicante cerca davvero se stesso, personalmente lo trovo degno di ammirazione.
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Vi avviso per tempo, prima che mandiate Miss Frangetta 2017 a farmi fuori. |
Ora lo dico, se non avete visto il film e non volete sapere proprio niente niente niente della trama, diciamo SPOILER così stiamo tutti sereni, se avete visto il film, invece, tempo di andare a capo e ci sono.
Blade Runner 2(049) ci fornisce finalmente la risposta definitiva alla domanda sorta con il film originale, ovvero: replicante sì, replicante no, replicante gnamme, se famo du spaghi.
Dopo anni passati ad interrogarci: Rick Deckard era un replicante? La risposta è un forte e convinto: NI, oppure in alternativa un altrettanto convinto “… Ma chissenefrega”.
Sì, perché la sceneggiatura di Hampton Fancher (una delle penne dietro al primo film) e di Michael Green (Logan ma anche Alien Covenant tenetemi l’icona aperta che su questo argomento sono caldo) non forniscono una risposta precisa, Rick Deckard è invecchiato, ha passato la vita con la sua Rachel e lei è rimasta incinta. No, fermi tutti, Time Out Cassidy!
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How I wish, how I wish you were here (Cit.) |
Se è invecchiato ed è anche diventato papà allora non era un replicante, ma le replicantesse possono restare incinte? Oppure, Deckard oltre a sognare pecore elettriche ha pure degli spermatozoi elettrici? Prima di iniziare anche a parlare di Templari come farebbe Giacobbo dichiaro finito il Time Out cestistico e vi dico che ai fine della trama non è poi così fondamentale, per lo meno per Deckard.
Che dopo una vita passata insieme ad una Replicante ha sposato anche la loro causa, bisogna dire che è il terzo storico franchise di Harrison Ford che si gioca la carta di far diventare padre il personaggio principale, è accaduto a Han Solo, ora a Rick Deckard, ma anche a Ind… No, ad Indy no, non esistono film con il figlio di Indiana Jones, NON ESISTONO, OK?
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«Non so di cosa tu stia parlando Cassidy, in ogni caso è colpa di Spielberg» |
Denis Villeneuve fa un lavoro meraviglioso a creare un mondo che sembra davvero quello di Blade Runner 30 anni dopo e non solo nel titolo, ma in ogni dettaglio, se il primo film sembrava un noir anni ’40 ambientato in un ipotetico 2019, questo che arriva trent’anni dopo strizza l’occhio ad un look anni ’70, questo spiega il pellicciotto sul cappotto dell’agente K (Ryan Gosling) il look spregiudicato di Mackenzie Davis, ma anche il design dei palazzi e delle auto e persino nelle pubblicità, sui cartelloni ci sono marche che nel nostro mondo non esistono più, ma che creano una maniacale continuità con il film precedente.
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Chi è quel detective vestito di nero che è una calamita per le ragazze? SHAFT! K! |
Il mondo che conoscevamo è invecchiato quanto noi, quanto Harrison Ford e se le pioggie torrenziali e costanti dell’anno 2019 erano l’inizio di un disastro ecologico, nel 2049 le cose vanno anche peggio, l’uomo con il cognome da pilota di formula uno è bravissimo a regalarci un mondo avvolto nella nebbia, che pare provocata dall’inquinamento e in certi momenti fa di tutto per non fare gomitino-gomitino allo spettatore (Visto GIEI GIEI Abrams? Visto che si può fare?) portando la storia in posti che non siano i soliti quattro vicoli illuminati dal neon pieno di negozietti orientaleggianti, ci mostra una San Diego che è un’enorme discarica a cielo aperto, ma anche un hotel di Las Vegas, dove si assiste ancora agli spettacoli di Elvis (olografico) ed è tutto avvolto in una polvere rossa che pare che i personaggi abbiano portato tutti le chiappe su Marte. Per altro, curiosità: la Theatrical Version di “Blade Runner” terminava con Deckard e Rachel in volo idealmente verso l’Overlook Hotel, visto che la scena utilizzava del girato avanzato a “Shining” (1980) è ironico ritrovare Deckard proprio in un albergo.
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Overlook Hotel anno 2049, la camera 237 è libera se volete. |
Ora, lo dico in maniera schietta come vi ho parlato di un altro dato di fatto (la lunghezza del film), ma se non danno l’Oscar a Roger Deakins questa volta, possono anche evitare di proseguire con la manifestazione Hollywoodiana, perché ogni cazzarola di fotogramma di questo film è un quadro, uno di quelli che potreste appendervi in soggiorno per ammirare tutto il giorno, sarà pure una banalità, ma bisogna dirla perché non capita sempre di vedere del gran cinema così, ma è anche vero che da spettatori forse è meglio non farsi distrarre dal gran spettacolo visivo, modo gentile per dire che sto per aprire gli armadi per tirare fuori gli scheletri di questo film.
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Roger Deakins professione: Artista. |
Blade Runner 2(049) è un film diviso, una pellicola che evita scientificamente di riproporre al pubblico le scene più iconografiche del film del 1982, ma riesce comunque a rievocarlo nell’atmosfera, insomma una pellicola che decide di percorrere la via più difficile possibile per prendere le distanze da Ridley Scott, eppure allo stesso tempo, Dio Ridley cerca in tutti i modi di infiltrarsi qua e là, come produttore esecutivo del film Scott(o) è l’elemento che rovina la tranquillità, il rubinetto che gocciola alle tre di notte quando non riesci a prendere sonno, a tradimento fatemi chiudere quell’icona aperta lassù dicendo che la colpa è del suo uomo all’Havana nelle colonie extramondo, ovvero Michael Green.
Se Hampton Fancher riprende una scena (quella con un sorprendente Dave Bautista, che mena ma funziona anche come personaggio a suo modo tragico) direttamente da una di quelle tagliate nelle tante riedizioni della sceneggiatura del primo “Blade Runner”, l’altra faccia della medaglia è Michael Green, siete liberi di dirmi che ho il dente avvelenato nei confronti di Alien Covenant (avreste ragione!), ma i punti in comune tra i due film sono fin troppo visibili.
Non voglio fare paragoni diretti, proprio perché Denis Villeneuve si è impegnato ad evitarli e non è proprio mia intenzione, ma tutti i riferimenti biblici del primo film erano parte di un substrato più denso, ruotavano intorno al ritorno del figlio prodigo Roy Batty e poco altro, qui, invece, “Blade Runner 2049” proprio come “Covenant” la butta su una filosofia finto impegnata che questi due ragazzacci QUA hanno riassunto molto bene e che di fondo trovo piuttosto banalotta.
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«Mi ricordo di quei due, avevano da ridire anche su come mi vesto!» |
Si parla di “Miracoli” (avete notato come questa parola abbia proliferato in tantissime recensioni e commenti del film, curioso), di Salvatore e si porta in scena una specie di Gesù Replicante, giocando moltissimo con l’iconografia che vuole il Messia come biondo, con gli occhi azzurri e possibilmente maschio, un discorso che mi è sembrato fin troppo marcato, come a voler passare per profondi a tutti i costi, insomma esattamente come l’utilizzo della “Filosofia” (virgolette obbligatoria) in Alien Covenant.
Di suo Blade Runner 2(049) si gioca anche temi sci-fi forse già visti (la rivolta dei Replicanti, più umani degli umani) tenendoli, però, in secondo piano, il che secondo me è anche un bene, lo dico fuori dai denti: non sono interessato a vedere un “Blade Runner 2050” con i Replicanti in rivolta, mi accontento delle scimmie grazie!
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«Così mi chiamava la mia ex-moglie. Ryan Gosling, perché diceva che non avevo espressioni» (Quasi-Cit.) |
L’idea di una minoranza che lotta per la sua identità è attuale ora più che mai, la critica che mi viene da muovere a questo film è proprio il fatto di fregarsene di fare fantascienza che sia anche metafora del nostro incasinato mondo moderno (come invece accadeva spesso negli anni ’70) e preferisce giocarsi un discorso più d’elitè per cercare di passare per raffinato a tutti i costi. Trovo anche interessante mostrare un mondo in cui l’uomo che ormai ha creato la vita (i Replicanti) giochi a fare Dio, ma se poi dai un calcio al secchio del latte introducendo il personaggio di Jared Leto, allora non ci siamo.
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«Mi si nota di più se non vengo, o se vengo e vado sopra le righe?» |
Jared Leto una cosa sa fare quando recita: andare sopra le righe con la caratterizzazione. Ultimamente lo ha dimostrato, il suo personaggio, infatti, risulta luciferino (poteva mancare lo satanasso, in tutta questa storia semi religiosa?) ed oltre a parlare troppo è sempre in scena in tutti i momenti di troppo del film, ora io dico: serviva davvero una scena in cui un certo personaggio storico di Blade Runner torna, davvero solo per un momento, digitalizzato al computer? Cosa aggiunge quella scena alla storia? A mio avviso, niente se non concedere una grossa strizzata d’occhio ai fan. Per altro, dopo Carrie Fisher in Rogue One, un’altra attrice mantenuta giovane (e posticcia) grazie alla CGI, un po’ come a dire che Harrison Ford con le rughe e il capello sale e pepe va bene, ma le attrici devono restare giovane, magre e gnocche in saecula saeculorum.
Quindi, abbiamo una storia di padri e figli, un potenziale messia a capo di una rivolta mai mostrata, un sacco di chiacchierare biblico e il fuoco del film che lentamente, ma inesorabilmente passa dall’Agente K a Rick Deckard in corso d’opera, eppure il discorso sull’umanità e l’identità personale, che mi è sembrato quello più interessante di tutto il film, pare quasi passare in secondo piano, quando avviene il passaggio di consegna tra K e Deckard.
Io scherzavo sul fatto che il titolo “Blade Runner 2049” mi ricordasse “L’Uomo Ragno 2099”, eppure quando ho visto il personaggio di Ana de Armas, la seconda cosa che ho detto (la prima ve la risparmio, ma penso possiate intuirla) è che sono riusciti anche qui a mettere un personggio femminile sexy ed olografico, proprio come la Lyla assistente personale di Miguel O’Hara, lo Spider-Man dell’anno 2099!
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L’assistente personale olografica era destinata ad esserci. |
Ma a parte queste mie piccole Nerd-Soddisfazioni, ho trovato bellissimo il personaggio di Joy, certo occupa una porzione sostanziale della trama e spesso serve soltanto a sostenere il suo uomo, che dei due è quasi sicuramente quello più fragile, ma ho trovato brillante la fine dell’arco narrativo del personaggio. Ok, non solo perché Joi diventa un cartellone olografico gigante e la bellissima Ana de Armas in quella scena indossa giusto la parrucca color puffo, il che non è affatto un brutto vedere.
Ho trovato azzeccato che la rivolta di K sia stata punita in quel modo, che le sembianze della donna di cui lui era innamorato, quindi non una semplice infilata di 1 e di 0 digitali, vengano utilizzate come cartellone pubblicitario con chiappe nude alte 40 metri, esposte non solo al pubblico ludibrio, ma un modo per sottolineare anche a K che voi “Sintetici” non siete altro che merce ed è forse questo che spiega la decisione finale dell’Agente K… Certo che potevano dargli un nome cacchio, ogni volta che scrivo “Agente K” mi viene in mente la facciona di Tommy Lee Jones in “Men in Black”!
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La scena più sexy, ma anche la più triste di tutto il film. |
A proposito di facce, quella di Ryan Gosling davvero non cambia mai, è incredibile come quest’uomo riesca a trovare ruoli in cui funziona meglio quando non ha espressioni, anzi, quando la trama gli chiede specificatamente di non avere espressioni, anche in questo senso sembra un divo di un’altra era, proprio come questo film che nella sua tipologia ha poco da spartire con come si fanno i sequel in questi pazzi pazzi pazzi anni ’10.
Harrison Ford si prende piano piano lo spazio che ci si aspetta dal suo personaggio, bisogna superare lo shock di vederlo entrare in scena parlando di formaggio (una citazione a “L’isola del tesoro” di Robert Louis Stevenson), ma ancora di più al fatto che reciti con la maglia della salute addosso, per fortuna il passaggio di consegne tra lui e Ryan Gosling avviene in maniera abbastanza naturale, i due sono personaggi diversi, Deckard era un antieroe indurito dalla vita che qui invecchiando non è certo migliorato, mentre l’Agente K (non Tommy Lee Jones) è un puro, alla ricerca di se stesso, con un cavallino di legno al posto di un unicorno fatto di origami come indizio e animale guida.
Denis Villeneuve, però, riesce a smarcarsi dall’ombra lunga di Ridley Scott(o), il finale, oltre a ricordarmi moltissimo quello di Arrival (e non solo per le mani sul vetro) sembra il tocco di un autore che malgrado il ritmo solenne dei suoi film pare tenerci ad una scintilla di ottimismo, che non so quanta cittadinanza abbia nel mondo di “Blade Runner”, però è lì da vedere, apprezzo che un autore cerchi la sua identità, cosa che, purtroppo, non posso dire anche di Hans Zimmer, che in un paio di momenti strizza l’occhio a Vangelis, ma per quasi tutto il tempo si perde nella nebbia, fotografata da Dio da Roger Deakins, ma sempre nebbia.
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«Hans arrenditi! vieni fuori dalla nebbia con le mani in alto!» |
In generale, penso che Arrival sia un film che forse mi ha smosso di più, Blade Runner 2(049) doveva essere un grande spettacolo visivo e così è stato, di davvero sorprendente oltre ad Ana de Armas alta 800 metri c’è anche la volontà di fare un seguito come si dovrebbe SEMPRE fare, se si fossero liberati anche di quella voglia tutta Scottiana, anzi Scott(o)iana di passare per intellettuali senza esserlo avrei apprezzato di più.
Da questo film esco con due conferme, la prima che Denis Villeneuve è uno dei pochissimi in circolazione, anno di grazie 2017 (quasi 2019 Blade Runneriano) ad avere chiaro in testa come la fantascienza dovrebbe sempre essere fatta, ma anche che i film di Ridley Scott(o) non incassano, incredibile come gli appassionati del regista inglese, colpiscano anche se alla regia non c’è Dio Ridley.
Assurdo anche il fatto che “Blade Runner” che viene considerato il film preferito di quasi chiunque non paghi dividendi al botteghino, io ho rischiato di arrivare davvero all’anno 2049 per andare a vedere il film, ma qualcuno (tanti) ha fatto ben peggio di me.