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Blair Witch (2016): nuove tecnologie e vecchi spaventelli

Non si fa così,
eh! No no, è politicamente scorretto, lede al galateo e al buongusto, non si
fa. Non è tanto l’idea di un remake di “The Blair Witch Project” che mi urta,
ma è lo sputtanamento della carriera di Adam Wingard che proprio non riesco a
mandar giù.

Sì, perché
qualche tempo fa, tutto felice mi guardo il teaser del nuovo film diretto da
quel genietto del nostro Adamo, una roba di tipi nel bosco che con molta
fantasia si chiamava “The Woods”, come tutti i teaser che si rispettano, non si
vedeva molto e della trama si capiva poco o nulla, siccome Wingard è lo
stesso che ha saputo mandarmi a casa felice con l’home invasion “You’re Next” (2011),
ma soprattutto mi aveva esaltato tantissimo con lo strambo (nel senso migliore
del termine) The Guest (2014), vuoi
non dargli fiducia? Vai Adamo sei tutti noi! Ed io scemo proprio non ci ho
pensato che poteva essere una fregatura, ma con il senno di poi hanno tutti
dieci decimi di vista, porco mondo.
Arriva il
Comic-Con di San Diego, con tutta il suo tsunami di notizie sui prossimi film
in uscita e tra il dodicesimo film della fase 47 della Marvel, l’annuncio di
King Kong Vs Godzilla Vs Peppa Pig, la notizia forse passa un po’ troppo in
sordina, il nuovo film di Adam Wingard intitolato “The Woods” in realtà si
chiama “Blair Witch” ed è il remake di quell’altro film là, quello famoso. Io
comunque prendo bene la notizia.
Signora è inutile che continua a chiamare, abbiamo
già ricevuto sette chiamate in merito al pazzo che ulula disperato alla luna
sul tetto di casa sua, abbiamo già inviato una volante e avvisato la protezione
animali per farlo scendere, non serve continuare a telefonarci…
Non che io
sia mai andato pazzo per il film originale (
di Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez), ma è innegabile che alla sua uscita fu in grado di spostare
qualcosa ed ora mi sa che vi tocca allacciarvi le cinture, sta partendo il
treno del flashback diretto verso l’anno 1999…



“Sento che qualcuno sta per parlare di me…”.

Nell’anno
celebrato da Prince in un suo celebre pezzo, io sono già un infognato di film
e un maniaco di Horror, per vedere “The Blair Witch Project” di cui
parlava pure il vice bidello a scuola, parto dal mio paesello nebbioso, prendo
tipo quattordici pullman per andare nella sala grande del cinema Lux
di Torino, per altro, uno degli ultimi spettacoli prima che chiudesse
per restauri durati un’Era geologica e terminata da davvero poco tempo.

Insieme a me
ci sono due miei amici, uno ancora oggi schifa ogni genere di Horror, l’altro,
non vi so dire se abbia sviluppato una passione dopo quella serata, perché ci
siamo persi di vista, ma allora era uno di quelli che non concepiva un film che
non prevedesse due che si accoppiano in favore di telecamera. Lo so è dura da
digerire, fatevi forza.
Ora, che io mi
sia sobbarcato la trasferta ha una certa logica, sono malato di mente per i
film (e non solo) quindi ci sta, ma perché gli altri due miei compari avrebbero
dovuto fare lo stesso? Per la semplice ragione per cui “The Blair Witch Project”
era diventato un tale fenomeno mediatico che chiunque ai tempi voleva vederlo,
con la storiella del vero (finto) ritrovamento del filmato, Daniel Myrick ed
Eduardo Sanchez hanno mandato a segno un colpo notevole, considerando che nel
1999 eravamo ancora all’alba dell’Era di Internet.



“Voglio chiedere scusa per il rumore fastidioso del modem a 56K”.

Della visione
ricordo uno, che durante l’ultima concitata scena del film, si mette ad urlare
disperato in mezzo alla sala, ricordo di aver girato la testa di scatto in
direzione delle urla, a fine film con luci accese in sala, l’omino era
circondato dagli amici intenti a consolare la crisi di panico del poveretto,
unica volta in vita mia che ho assistito ad una scena che un pubblicitario
userebbe per vendere il film a chiunque.

Il film
originale non era nemmeno malaccio, il suo non mostrare nulla lasciava un senso
di inquietudine efficace, non ha inventato il found footage, quel
primato tocca a “Cannibal Holocaust” (1980) di Ruggero Deodato, se non
addirittura a “The Legend of Boggy Creek” (1972), ma la scampagnata nel bosco
si guadagna comunque il suo posto nella storia.



Una volta di questa potrei anche decidermi a riguardarmelo questo…

Il remake di
un film del genere metterebbe in difficoltà chiunque, ci vorrebbe qualcuno
capace di giocare con i generi per provare a dire qualcosa di nuovo, in questo
senso la scelta di Adam Wingard è impeccabile, peccato che il nostro, in
collaborazione con Simon Barrett sembra che si sia limitato ad un compitino:
volete il remake del vostro film famoso aggiornato all’anno 2016? Eccolo! Pronto
e servito. Anche perché parliamoci chiaro: la tecnica del found footage è stata
cucinata in tutte le salse, dagli horror ai
viaggi nel tempo, passando per film confezionati per sembrare dei videogames e il pubblico si è bello che rotto le
palle di traballamenti, urla e roba inquadrata poco e fuori fuoco.

Wingard e Barrett
partono da uno spunto anche interessante: James Donahue (James Allen McCune) da
diciassette anni è alla ricerca di sua sorella, che altri non è che Heather
Donahue, quella che smoccolava e piagnucolava in favore di telecamera nel film
originale. In pratica, il nostro protagonista è una specie di Fox Mulder, giusto
per stare in atmosfera anni ’90.
Tutti gli
indizi portano al famigerato bosco, quindi si parte, questa volta più
preparati, nel primo film i protagonisti avevano un vecchia videocamera, bene,
qui abbiamo walkie talkie, auricolari, telecamere che offrono il POV
(point of view) di ogni personaggio e persino un drone pilotabile, ce
l’avevate voi il drone volante nel 1999? Tiè! Beccati questo anno con troppi
nove!



“I nostri compari degli anni ’90 camminavano di più e facevano meno selfie”.
Tutto questo
armamentario è giustificato dalla volontà di fare un documentario sulla ricerca
della sorella scomparsa, quindi anche per questo remake la faccenda del found
footage l’abbiamo sistema, inoltre, Wingard e il suo sceneggiatore di fiducia Simon
Barrett fanno un lavoro decente con i protagonisti, creando subito attriti tra
la coppia di amici (neri) a supporto del protagonista e i due buzzurri
fanatici del mito della strega, che sfoggiano una bella bandiera confederata
in soggiorno, si propongono come guide, esperti del luogo della vedute
ristrette.
Apparecchiato
il tavolo, Wingard preme sull’acceleratore di tutto quello che fa “The Blair
Witch Project”: un sacco di omini di legno appesi agli alberi, un sacco di
gente che corre qua e là facendo traballare l’inquadratura gridando “Oh my
God!”, insomma la versione aggiornata del film originale, in cui, però, di
originale c’è davvero poco, perché tolti dall’equazione drone e GPS (con una
scusa da FACCIAPALMO), le novità latitano.



Quello che Wingard ha visto e capito del film del 1999.

Per un attimo
Wingard pare concentrarsi sulla sfiducia tra gli allegri (si fa per dire)
campeggiatori, un amorevole accusarsi uno con l’altro che poteva essere davvero
la novità del film, poi, improvvisamente, piazza l’unica differenza grossa del
film, ovvero la ragazza che si ferisce il piede nell’attraversamento del
ruscello, con questo assesta un clamoroso calcio al secchio del latte e
buonanotte… Al secchio tanto per restare in tema!

“Oddio non voglio morire proprio ora che ho i capelli come Faye Valentine!”.

Questa storia
della ferita al piede viene ribadita anche troppe volte, bisogna dire che la
scena in sé quando arriva al suo apice funziona e risulta anche piuttosto
schifosa grazie a ottimi effetti speciali, il problema è che da un film come
questo, ci si aspetta la paura di una minaccia costante, una scena di puro Body
Horror per quanto ben fatta, mi fate capire cosa serve nell’economia di un film
così? Infatti, risulta tanto bella quanto inutile. Ma la vera delusione arriva
dopo: la scena del cunicolo.

Senza
rivelarvi troppo, ad un certo punto un personaggio s’infila in un angusto
cunicolo, ho guardato l’ora per capire quanto durasse quella scena, perché sul
serio mi sembrava infinita, ma non per la noia, proprio per il senso di
fastidio, la scena è magistrale, Wingard utilizza alla grande il poco spazio e
davvero sembra mancare l’aria pure a te che te ne stai comodo in poltrona. Se
c’è una scena da salvare in questo film, è sicuramente questa, che per la
cronaca, dura la bellezza di dieci, interminabili e angosciosi minuti.



I claustrofobici sono pregati di astenersi.

Perché
deludente allora? Perché cacchio Adamo! Ma vedi che volendo qualcosa di buono e
giusto avresti potuto farlo anche con un idea nata morta come questo remake? Invece
nulla, il finale è la becera (e anche meno riuscita) fotocopia di quello
originale, con tanto di strega mostrata, trovata che ammazza ogni speranza di brividi
per sempre. Adam! Avresti dovuto distruggere i Sith non unirti a loro!!!

La sensazione
finale è quella di un compitino arrivato fuori tempo massimo, persino
l’inguardabile sequel di “The Blair Witch Project” (“Il libro segreto delle
streghe – Blair Witch 2” 2000) aveva più idee di questo moscio remake, che mi
getta nello sconforto non solo perché rappresenta un grosso passo falso nella
carriera di un regista molto promettente, ma forse è l’inizio della “Fase due”
della carriera di Wingard.



Signorina, le tonsille tutto bene, sta una favola.

Adamo e il suo
compare Simone hanno già annunciato di essere al lavoro sull’adattamento
cinematografico del manga “Death note” e sul remake americano di “I saw the
devil” che già non è uno dei miei preferiti tra quelli diretti da Kim Jee-woon.
Inoltre, Wingard si è detto interessato a dirigere il rilancio della saga di Halloween, che sarà prodotta da Jason
Blum. Insomma, mi sa che l’Era in cui Adam Wingard e Simon Barrett si
sbattevano cercando di produrre qualcosa di nuovo è già conclusa, spero
vivamente di sbagliarmi…

Pronto polizia. Ma di nuovo signora? Ancora il
pazzo che ulula disperato sul tetto? Sì signora, certo signora, interveniamo
d’urgenza…
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