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Bleacher Bums (1979): take me out to the ball game

Tra i tanti nomi famosi che, purtroppo, ci hanno lasciato nel
corso dell’ultimo, disgraziato, anno, quello di Stuart Gordon, a mio avviso, non è
stato celebrato abbastanza. Ormai dovreste saperlo, non so stare a lungo senza
una rubrica monografica dedicata ad un regista e il vecchio Stuart era proprio
uno da Bara Volante, quindi vi do il benvenuto al primo capitolo di… Stuart
Gordon above and beyond!

Stuart Gordon nasce a Chicago nell’agosto del 1947, a
vent’anni presso l’università locale cominciò ad occuparsi anche di direzione
teatrale, la sua prima compagnia di attori aveva un nome che era tutto un programma,
la Screw Theater, grazie a questa banda di gatti senza collare Gordon si
guadagnò un po’ di attenzioni, ma anche il suo primo arresto: una notte al
fresco insieme al resto della compagnia, per aver portato in scena uno
spettacolo satirico di protesta nei confronti della guerra in Vietnam (storia
vera). Può sembrare una nota di colore, ma è fondamentale per comprendere lo
spirito di Stuart Gordon: sovversivo, dotato di estrema ironia e con una
propensione a raccontare i risvolti grotteschi della vita, dei suoi personaggi
e, soprattutto, della morte.

Sì, perché se Wes Craven è finito ad essere un Maestro del cinema Horror dopo aver fatto un
giro estremamente lungo, utilizzando i suoi trascorsi da professore
universitario, ha sempre riconosciuto ai film dell’orrore un certo ruolo
catartico, Stuart Gordon ha fatto lo stesso, con un approccio, ad una prima
occhiata, forse meno colto, ma altrettanto brillante, sua è questa frase, di cui
ogni fanatico di film dell’orrore dovrebbe andare molto fiero e farne un inno:
«Horror films are a rehearsal for our own deaths».

Genio al lavoro (nel suo ragguardevole ufficio)

Ma, oltre a farsi sbattere in cella offendendo la sensibilità
del pubblico, Stuart Gordon nel 1969 si sposò con un’attrice della sua
compagnia, Carolyn Purdy, che oltre ad essere la donna con cui ha passato tutta
la sua vita, è diventata anche una delle sue attrici feticcio, infatti la
trovate in quasi tutte le regie di Gordon, a partire proprio da “Bleacher
Bums”, l’esordio della compagnia di Stuart Gordon e signora che nel frattempo
aveva cambiato nome in Organic Theater e si era fatta un nome, gironzolando tra
Los Angeles e l’Europa.

“Bleacher Bums” è la prova che Stuart Gordon era un abitante
di Chicago al 100% e forse anche qualcosa in più, abbiamo affrontato la Windy
City qualche tempo fa in un post che trattava l’argomento,
una città con una sua musica, una sua cultura e ovviamente i suoi sport locali fra i quali il più americano di tutti è sicuramente il Baseball.

I “Bleacher Bums” ovvero i posti a sedere dove si trova il tifo più verace.

Lo sapete che sono un fanatico di pallacanestro, ma il
Baseball per certi versi è ancora più americano come sport, per il semplice
fatto che ad esclusione del Giappone (dove ne vanno matti) e un piccolo, ma
motivato movimento qui da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa, il
Baseball resta uno sport che ha attecchito poco altrove, perché i suoi miti e leggende
create sul diamante di gioco sono rimasti ancorati al territorio, proprio per questo fanno ancora parte di una
mistica Yankee fino al midollo, all’interno di questa mitologia, una squadra è
più leggendaria delle altre, i Chicago Cubs.

A differenza dei più vincenti e celebrati White Sox, con
divisa nera e bianca (si potrebbero fare facili paragoni calcistici locali, ma
non sono la persona giusta per farli), i Chicago Cubs sono stati la squadra che
solo un fanatico di Horror (e il cantante dei Pearl Jam) poteva tifare, perché per 107 anni sono stati afflitti
dalla famigerata “Maledizione della capra”, 107 stagioni di fila senza vincere
nulla, dopo quella volta che uno dei proprietari della squadra portò al Wrigley
Field, lo storico campo da gioco della squadra (e indirizzo finto di Elwood Blues) una capra benaugurante
che, invece, segnò l’inizio di un secolo di stagioni perdenti.

Il Wrigley Field casa dei Cubs (e di Elwood)

La maledizione della capra è stata sfatata nel 2016 con la
vittoria dei Cubs nell’ultima partita della stagione (l’unica che conta), ma
essere fan dei Cubs è qualcosa che evidentemente forma il carattere, deve aver
voluto dire far parte di una famiglia allargata, tenuta insieme dalla passione
e dalle comuni sfortune, per certi versi come una compagnia teatrale.

“Bleacher Bums” è andato in onda nel 1979 su WTTW una tv
locale di Chicago, questo giusto per dare l’idea di quanto i Cubs possano
essere una sorta di mitologia a chilometro zero. Gli attori dell’Organic
Theater, diretti da Patterson Denny e Stuart Gordon (che si ritaglia anche una
comparsata come venditore di gelati sugli spalti) hanno portato in scena una
ricostruzione del Wrigley Field durante l’ultima partita della stagione 1977
dei Cubs, un’annata in cui la squadra stava andando piuttosto bene, gonfiando
così le speranze dei suoi tifosi, ma ricordate: 107 anni, la capra non perdona.

I titoli di testa, come da tradizione della rubrica (non proprio in 4K)

Oddio, sono stato magnanimo parlando di ricostruzione del Wrigley
Field, in realtà il set dove recitano gli attori è ben descritto dal titolo,
“Bleacher Bums” è il nomignolo che è stato appioppato ai posti popolari dello
stadio, anzi ben più che popolari, diciamo impopolari perché per pochi dollari
potevi dire agli amici di essere andato allo stadio, ma per via della loro
posizione infame, la partita potevi seguirla solo armato di binocolo e di crema
solare, perché nell’infame loggione finivi a prendere più sole di una
lucertola, esattamente come fa Melody King (Roberta Custer) la popputa
bionda che sembra pensare più alla tintarella che alla partita.

Per il pubblico italiano “Bleacher Bums” può essere
interessante come per uno spettatore a caso del Wyoming, guardare uno sketch di
che so… Aldo, Giovanni e Giacomo legato alle sfortune calcistiche dell’Inter, eppure
a livello di facce note il film ci offre qualche gancio, ad esempio l’invasato
Zig ha il faccione e la parlata smascicata di Dennis Franz, il leggendario Andy
Sipowicz della serie tv “NYPD – New York Police Department”. La moglie di Zig,
la pazientissima Rosa è interpretata da Carolyn Purdy-Gordon mentre tra i vari
“bleachers” è facile riconoscere nel ruolo di Decker l’attore Joe Mantegna,
l’uomo che ha sostituito Mandy Patinkin in “Criminal Minds” ed è rimasto a
bordo di quella serie per 200 e passa episodi.

David Rossi impegnato a trovare l’assassino (dell’ennesima stagione dei Cubs)

Tra i coloriti spettatori impegnati a sudare e tifare spicca
anche Richie (Patrick Williams) un nerd vecchio stampo, uno di quelli che
proviene dall’era in cui questa parola non era un modo per essere alla moda, ma
un sinonimo di sociopatico. A completare questa colorita banda di matti non
manca Marvin (Richard Fire) pronto a scommettere e vincere su qualunque
cosa, uno che va allo stadio per scucire soldi agli appassionati veri che, come
boccaloni, sperano di tirare su due soldi per portare la moglie in qualche
ristorante raffinato per festeggiare la vittoria dei Cubs, ma finiranno solo a
gonfiare il portafoglio di un approfittatore come Marvin.

“Bleacher Bums” è 85 minuti di notevole lezione d’Inglese
(lo trovate per intero QUI), se
volete farvi allenare la vostra comprensione dell’accento di Chicago non
troverete niente di meglio, ma oltre a questo il film ha la capacità di
trascinarci sui torridi posti a sedere del Wrigley Field, tra Hot Dog e birre,
tra vestiti appiccicati addosso dal sudore e dialoghi interrotti da giocate sul
campo che non vediamo, se non nelle reazioni degli attori.

Dennis non trattarla male, quella è la moglie del regista!

Non serve nemmeno conoscere le regole del Baseball per
seguire “Bleacher Bums”, non perché la partita non si vede, più che
altro perché la vera partita sono le vicende umane dei grotteschi personaggi
che per 85 minuti animano gli spalti, come ad esempio le incursioni di Keith Szarabajka,
nel ruolo della “cheerleading”, il fan invasato, nel senso più molesto e
urlante del termine.

“Bleacher Bums” mette subito in chiaro il talento di Stuart
Gordon nel portare in scena personaggi credibili, estremamente umani e
realistici anche nel loro essere volutamente grotteschi e sopra le righe, una
cifra stilistica che accompagnerà il cinema del regista di Chicago per tutta la
sua carriera. Quell’occhio allenato nel guardare le storture e le brutture
umane, Stuart Gordon lo ha allenato a teatro, ma forse anche sforzandosi di
vedere il gioco sul diamante, cotto dal sole negli infami posti a sedere tra i
“bleachers”, dove si trovava l’umanità più vera e ruspante, tutto materiale da
romanzo, avrebbe detto Honoré de Balzac, materiale umano che Gordon ha fatto suo
per la sua carriera nel cinema.

“Vogliamo scommettere su quanto sarà lungo questo post di Cassidy?”

Tra scommesse sulla prestazione del prossimo battitore,
soldi puntati per scoprire il nome della bionda e piccoli e grandi drammi
umani, gli spalti di “Bleacher Bums” diventano un microcosmo, di “mostri” da stadio
con una loro spiccata umanità: il viscido Marvin, ad esempio, quello che sfrutta
la squadra e i tifosi per guadagnare qualcosa, a fine partita magari uscirà
dallo stadio con un bel gruzzoletto, ma non ha la dignità che, invece, sfoggia lo
Zig di Dennis Franz, sua moglie Rose che gli resta accanto malgrado tutto e
soprattutto non ha la passione di Greg (Michael Saad), l’unico forse davvero a
suo agio anche seduto in un posto dove non si vede il campo, perché in quanto
non vedente, lui i Cubs non li vede, li sente.

Proprio a lui tocca il monologo finale dopo l’ennesima
bruciante sconfitta della squadra, un’impossibile tirata in cui s’invoca il
ritorno in campo del leggendario Ernie Banks (giocatore simbolo dei Cubs),
quasi la profezia di un saggio cieco che, in quanto tale, può vedere più lontano
degli altri, oltre i 107 anni di durata della “maledizione della capra”, perché
come cantava Eddie Vedder nell’inno composto apposta per i Chicago Cubs, someday we’ll go all the way e, forse,
Greg era l’unico a saperlo prima di tutti.

Uno che alla fine è davvero andato ovunque, sopra e oltre
(così ho dato una logica anche al titolo della rubrica, tiè) è stato proprio
Stuart Gordon che grazie al buon riscontro di pubblico di “Bleacher Bums” su
WTTW (che è stato rifatto nel 2001 in una sorta di rifacimento intitolato “The
Cheap Seats – Tifo da stadio”), ha capito che la regia televisiva prima (e
cinematografica subito dopo) poteva essere la strada, prima dirigendo alcuni
episodi della celebre “E.R. – Medici in prima linea” (serie medica ambientata
dove? A Chicago ovviamente) e poi al cinema.

“… Ed è un fuoricampo!”

Con i fondi ricavati da questi lavori per la televisione,
Stuart Gordon fondò insieme al socio Charles Band la casa di produzione Empire
Pictures, il suo primo film? Il frutto dell’incontro con due personaggi che
terranno banco nel corso della rubrica, il regista e sceneggiatore Brian Yuzna
e il solitario di Providence, H.P. Lovecraft, il risultato finale è stato il
primo, clamoroso Horror della carriera di Gordon, quella meraviglia oscura e
carica di umorismo nero di Re-Animator,
se volete leggerne, consideratelo già parte della rubrica.

Visto che ho già affrontato la grottesca vicenda del Dr.
Herbert West, faccio come Ernie Banks e vi indico il punto dove sparerò la
palla la prossima settimana, perché tra sette giorni andiamo veramente oltre,
anzi “from beyond”, non mancate.

Take me out to the ball game / Take me out with the crowd

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