Trattare “Blob”, da noi noto anche come “Fluido mortale” è allo stesso semplicissimo e complicato. Forse per questo ci ho messo un po’ a decidermi, perché bisogna partire per forza da un punto controverso su cui però è stata fondata questa Bara: non tutti i film per fare la storia del cinema devono essere per forza autoriali, di altissima qualità e preferibilmente parte del circolo dei titoli sempre sulla punta della lingua dei critici con pipa e occhiali. Si può fare la storia della settima arte anche con un film bruttino come “The Blob”.
Si, ho detto bruttino, perché se ne facciamo una questione squisitamente cinematografica “The Blob” è tutto tranne che un buon film, sia per recitazione generale che per messa in scena, persino gli effetti speciali risultavano già poca cosa nel 1958, Padre Tempo poi non li ha aiutati. Eppure questa trametta elementare ha trovato il modo di diventare un archetipo narrativo in grado di imprimersi a fuoco nella cultura popolare, il tutto, partendo da una produzione indipendente di serie B, destinata al circuito dei Drive-In e per altro, come mi fa notare il mio amico Don Max, anche con alcuni punti in comune con “Uomini H” di Ishirō Honda, uscito nello stesso anno.
La storia è presto detta, in una cittadina della Pennsylvania precipita un meteorite da cui ciccia fuori della marmellata spaziale che avvolge il braccio di un vecchio agricoltore “toccone” che non riesce a tenere le ditine al loro posto.
Ad aiutare l’anziano portandolo di corsa dal medico, due giovanotti Jane (Aneta Corsaut) e Steve, intrepreta pensate un po’ da Steve McQueen al suo esordio. Al futuro divo, allora ventottenne, il regista Irvin S. Yeaworth Jr. ha chiesto di interpretare un diciasettenne, in fissa con due cose, la seconda le corse in auto, in pratica McQueen che interpreta se stesso, senza nemmeno un cambio di nome per il personaggio.
Visto che con Jane non si combina niente, tanto vale andar a mangiare, il tempo di lanciarsi nella versione locale di una corsa in auto con alcuni bulletti, a marcia indietro, quindi in odore di “Gioventù bruciata” (1955), prima che l’anziano e l’elemento horror/fantascientifico non precipiti – letteralmente – nelle loro vite. Fine, la trama è davvero tutta qui, perché questo filmetto era stato prodotto con un budget di centomila fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, pensato per essere il film “B”, appunto il “B-Movie” di un doppio spettacolo, l’altra pellicola da proiettare a ruota dopo il più riuscito “Ho sposato un mostro venuto dallo spazio”, titolo che ha seguito il percorso inverso rispetto a “The Blob”, malgrado sia qualitativamente migliore, ora lo ricordano solo i fanatici della fantascienza americana degli anni ’50.
McQueen venne pagato in sacchetti di pop-corn o il loro equivalente, la produzione credeva così poco in questo B-Movie che concesse al biondo attore una percentuale sugli incassi, con cui credo Steve, acquistò qualche auto da corsa costosa visto che “The Blob” grazie al passaparola, arrivò ad incassare quattro milioni di dollari, azzeccando il momento storico in cui uscire nei Drive-In, ma anche la colonna sonora, una bomba martella neuroni composta da Bacharach e cantata da Bernie Knee che ogni volta che vado a rivedermi il film, mi si incolla addosso peggio che quella marmellatona rosa spaziale, quindi è giusto che veniate inglobati anche voi, eccola!
Perché “The Blob” ebbe così tanto successo? Gli storici di solito puntano il dito sul METAFORONE: la minaccia se non proprio rossa, tendente al rossiccio, che invade gli Stati Uniti d’America inglobando la popolazione annullando l’identità personale che tanto sta a cuore ai nostri amici Yankee e che viene sconfitta a basse temperature. Non ci vuole un genio per leggerci un riferimento al Comunismo, che viene “freddato” dalla guerra fredda, ma limitarsi a questo non renderebbe giustizia ai veri meriti di questo piccolo B-Movie capace di imprimersi a fuoco nella cultura popolare, anche se va detto che il suo finale, con la gelatina spedita al polo Sud, al sicuro per tutti «Fino a quanto l’Artico resterà gelato» suona piuttosto inquietante oggi, in un epoca di surriscaldamento globale, la doppietta di parole spesso sostituita dalla meno terrorizzante “cambiamento climatico”, per cercare di non terrorizzarci, perché alla fine sempre di questo parliamo, spaventare le persone, in questo i film dell’orrore sono meno ipocriti, più diretti e svolgono la loro funzione sociale, anche per questo mi piacciono tanto.
In buona sostanza “The Blob” piacque tanto ai giovani del 1958 perché parlava direttamente a loro, il cinema di genere lo aveva capito prima di tutti, in quel periodo era normale imbattersi in film che fin dal titolo, mettevano in chiaro il loro pubblico di riferimento: “La strage di Frankenstein” (in originale “I Was a Teenage Frankenstein”) del 1957 e “I Was a Teenage Werewolf” dello stesso anno. Quando oggi sentite parlare di rappresentazione nei film e vi suona come qualcosa di strano, ricordatevi che nella vita, nella società e nel cinema (suo riflesso) è tutto ciclico, è accaduto in passato agli adolescenti e “The Blob” in tal senso è stato importante.
Più che un METAFORONE sulla minaccia Comunista, Irvin S. Yeaworth Jr. manda a segno un METAFORONE sull’incomunicabilità tra generazioni, quasi un monito ad ascoltare i giovani, caratterizzato da poliziotti con la schiena dritta che odiano questi giovinastri e altri, un po’ più democratici, che se ne escono con frasi come «Avere diciotto anni non è un crimine», anche se il risultato è lo stesso: i giovani capiscono per primi la minaccia ma non vengono ascoltati, almeno fino a quando la marmellatona non inizierà ad inglobare gli spettatori di un cinema dove si trasmette un film con Bela Lugosi, anche se il nome del divo ungherese compare in bella vista nell’iconica scena in cui si vede il cartellone pubblicitario del cinema, ma gli spezzoni in sala arrivano da “Dementia” (Daughter of Horror, 1955) in cui non recitava Lugosi.
Annotazioni da precisino a parte, questo non cambia il fatto che “The Blob” sia davvero tutto qui, nel secondo atto si sprecano scene di dialoghi con genitori e poliziotti (l’autorità) che interroga e non crede alle parole dei giovanotti, senza quasi che l’elemento horror fantascientifico sia parte delle sequenze, in qualche modo il film di Irvin S. Yeaworth Jr. cerca una sorta di pacificazione tra le generazioni in odore di lieto fine, per un film che come detto, ha fatto la storia diventando un Classido!
«É la cosa più orribile che io abbia mai visto!», quante volte avete sentito questa frase? Tutte le volte che avete visto “Blob”, il programma di un cinefilo colto e amante del cinema di genere come Enrico Ghezzi che ha preso il nome proprio da questo film, entrando così a far parte della cultura popolare e dei modi di dire, almeno qui da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa. Ma in generale quanti sono i film che hanno replicato lo schema, piuttosto classico, reso celebre dal successo di “The Blob”? Un’infinità, perché è chiaro che i ragazzi che nel 1958 corsero nel Drive-In più vicino a vedere questo film, poi una volta diventati a loro volta registi e creatori di storie, hanno replicato quella trama, qualche esempio?
Un professore dei film classici come Joe Dante non ha raccontato la stessa dinamica utilizzando dei Gremlins al posto della marmellatona rosa? Per non parlare dei fratelli Chiodo, che hanno letteralmente basato il loro Killer Klowns from Outer Space sulla trama di “The Blob” inserendo dei Clown, che poi, in senso lato è quello che ha fatto un altro figlio della fantascienza degli anni ’50 come Stephen King. IT alla fine non è la storia di un branco di ragazzini inascoltati che devono cavarsela da soli contro una minaccia ignorata dagli adulti? Gli esempi sono tanti e se trent’anni dopo, proprio negli anni ’80, il cinema per ragazzi era la normalità, forse lo dobbiamo anche al passaggio della marmellata rosa dallo spazio, che ancora oggi, penso fosse sul fondo della testa anche di Ivan Reitman quando ha diretto la melma umorale nel seguito dei suoi Acchiappa-fantasmi.
Per certi versi “The Blob” rappresenta la quinta essenza del film in stile Bara Volante, ad una prima occhiata in quella massa gelatinosa non dovrebbe esserci dentro nulla di culturalmente rilevante, in realtà per chi ama trattare i B-Movie con lo stesso rispetto che si deve ai classici conclamati del cinema, l’importanza di questo film è sotto gli occhi di tutti. Ora che ho sbrigato la pratica del film del 1958, posso finalmente concludere una faccenda che avevo aperta da fin troppo tempo, ma per questo, ci rivedremo qui su questa Bara tra qualche giorno, non mancate e ricordate… Beware of the blob, it creeps and leaps and glides and slides, across the floor.
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