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Blood Father (2016): Bentornato Mad Mel

Mi rendo conto
che continuare a volgere lo sguardo agli anni ’80, avrebbe anche abbastanza
rotto le palle e no, non mi riferisco in maniera più o meno diretta a Stranger Things. E’ anche vera un’altra
cosa, purtroppo, che molti dei nostri eroe dell’infanzia provengono proprio dal
decennio delle spalline larghe e dei jeans a vita alta.

Per molti di
loro non c’è mai stato un vero ricambio generazionale, quindi Sly e Arnold
giocano la partita delle vecchie glorie (anche nota come “The Expendables”) per
vera mancanza di alternative, risultato è che i nostri eroi con le rughe, sono
ancora qui a darci sotto, qualche volta muovendosi il meno possibile, cosa di
cui ha beneficiato Liam Neeson, che ha come nuova arma letale il telefono.
Di riffa o di
raffa sono sempre loro, qualcuno vince premi per la recitazione, qualcun altro
cerca di rilanciare i suoi storici franchise, altri hanno problemi con la fibra
ottica (SOB!) e poi c’è uno che è sempre stato il più matto di tutti, forse
l’unico che è riuscito a restare in auge anche negli anni ’90, ecco, non è
andato proprio tutto bene bene bene, tra arresti ubriaco alla guida, accuse
vere o presunte di anti semitismo e la sua grande amicizia con l’onnipotente,
pare abbastanza chiaro che la scintilla di follia negli occhi di Martin Riggs e
“Mad” Max Rockatansky, forse non era solo merito della recitazione di
Mel Gibson.



“Voi credete che io sia pazzo?! Lo volete vedere sul serio uno pazzo?” (Cit.)

Eppure, oggi,
2016, anno della scimmia secondo il calendario cinese, non c’è ancora nessuno
in grado di caricarsi un film sulle spalle come fa lui, controverso quanto
volete, ma cacchio trovatemi un altro che sa bucare lo schermo come fa lui!

“Scusate le spalle”.

“Blood
father”, tratto dal romanzo omonimo scritto da Peter Craig, qui anche
sceneggiatore, è il ritorno ad un ruolo da protagonista per Mad Mel, dopo le
parentesi da cattivo in “Machete Kills” e “Expendables 3”, il film è diretto da
un’altra mia vecchia conoscenza che avevo perso di vista da un po’:
Jean-François Richet.



Gianfrancesco
Riccetto stranamente non è uno dei tanti usciti dalla scuola di Luc “Tu Vuò Fa’ l’Americano” Besson, ma è uno dei pochi che ha saputo dirigere un remake
guardabile di un film del Maestro John Carpenter, il suo “Assault on Precinct
13” (2005) lo ricordo come una decente rielaborazione del capolavoro Distretto 13 – le brigate della morte.
Il suo doppio
film dedicato a Mesrine (Nemico pubblico N. 1 – L’istinto di morte / L’ora
della fuga, 2008) iniziava abbastanza bene poi degenerava in troppi fronzoli e
split screen inutili, infatti ero già pronto a chissà che arzigogolo registico
per questo “Sangue paterno”, invece Richet resta asciutto e tutto sommato fa un
buon lavoro.



“Non ricordo, sarai stata concepita sul set di Maverick o quello di Braveheart?”.

John Link (Mel
Gibson) oltre ad avere il miglior nome da eroe d’azione vecchia maniera, vive e
tatua nella sua roulotte in mezzo al deserto, va agli incontri degli alcolisti
anonimi e cerca di rigare dritto per non violare la libertà vigilata, ha anche
un vicino che gli fa da sponsor per superare la sua dipendenza, è gentile, ha i
baffi, non si chiama Ned Flanders, ma Kirby, anche se ha il faccione di William
H. Macy che in un eventuale film con attori sui “Simpson” sarebbe un perfetto
Flanders.

“Salve salvino vicino, ho portato un fucilino!”.

Può durare
questa calma? Ovviamente, no. Perché un giorno riceve una chiamata dalla figlia
dispersa da tempo che gli dice: “Papà, avrei bisogno di soldi per pagarmi il
primo volo più lontano possibile dal cartello della droga messicano che mi dà
la caccia”. Ovviamente, John dovrà riprendere le vecchie abitudini criminali per
salvare la figlia.

A guardarlo
questo “Blood Father” sembra un episodio di “Sons of Anarchy”, senza i buchi di
sceneggiatura di Kurt Sutter, ambientato nella polverosa Albuquerque di
“Breaking Bad”, è davvero tutto qui, non c’è nulla da aggiungere, il
classico B movie che se sai come dirigerlo può essere un intrattenimento più
che decente, oppure degenerare nella noia del già visto, nel caso di Gianfrancesco
Riccetto barrate “A”, anche perché il Francesino ha abbastanza sale in zucca da
capire che se in un film come questo, hai Mel Gibson, davvero non ti serve
altro.



Ridin’ through this world, all alone…

Mel Gibson si
carica figlia, roulotte e film sulle spalle e tira dritto come un trattore fino
ai titoli di coda, barba lunga ormai più bianca che sale e pepe, tatuaggi,
alterna la canottiera alla camicia a quadri che fa subito classe operaia, si
tira su le maniche e fa tutto quello che serve, nella prima sparatoria elenca
tutti i reati che sta infrangendo mentre protegge la figlia, poi pian piano
riaggancia i contatti in vista dello scontro finale.

Difetti? Forse
il fatto che il cattivo che viene ucciso nella prima scena della figlia, torni
nel pre finale, ma non è uno SPOILER, perché se lo fai interpretare al
mediamente famoso Diego Luna, è chiaro che non potrà certo morire dopo cinque
minuti di film. Bisogna anche dire che la protagonista femminile, alterna
momenti in cui sa recitare i dialoghi, ad altri in cui fa solo facce e
faccette, ma cosa vi aspettate da uno che entra in scena in shorts, ma con il
cappello di lana in testa nel mezzo del deserto di Albuquerque?



Ragazza penso che tu abbia qualche problema di temperatura corporea.

Per altro, mi
sono arrovellato il “Gulliver” a capire dove l’avevo già vista, per un po’ ho
pensato che Alison Lohman avesse trovato il modo di tornare indietro nel tempo
ad una versione giovane di se stessa, poi mi sono ricordato che Erin Moriarty,
faceva una particina in Jessica Jones.

Tra le facce
note, come non sottolineare la presenza di Michael Parks, nella parte di un
“Predicatore” con la propensione alla vendita di cimeli di guerra Nazisti,
insomma un simpaticone. Anche qui Jean-François Richet si dimostra astuto,
d’altra parte se hai Parks nel film e non interpreta la solita parte da
sceriffo che Tarantino gli affida nei suoi film, vuol dire che gli devi far
fare un paio di monologhi da pazzo con gli occhi sbarrati, tanto si è allenato
in “Red State” e Tusk di Kevin Smith.
Menzione
speciale al sicario con i tatuaggi in faccia interpretato da Raoul Trujillo,
uno che in precedenza aveva fatto una parte in “Apocalypto” diretto da,
aspettate che controllo, tale Gibson, Mel. Ah, ecco, ora tutto torna!



Faccio brutto, anzi le do del lei, faccia brutta.

Ma lo
spettacolo qui lo fa tutto Gibson “Mad” Mel che, comunque, risulta ancora più
credibile di altri suoi coetanei nei panni dell’eroe d’azione, in certi momenti
gli basta davvero cacciare fuori gli occhi per mangiarsi scena e film. C’è un
momento in cui a Michael Parks non risponde nemmeno, lo guarda e gli urla in
faccia, in quell’urlo capisci tutto il trascorso del personaggio, un riassunto
del “Non ti ammazzo perché comunque ti rispetto in virtù del nostro passato, ma
se non fosse per quello ti ammazzerei ora subito ed anche molto male”. Tutto
questo, in un urlo: 2016, anno della scimmia per il calendario
cinese, ancora non c’è nessuno capace di riempire lo schermo con una tale
presenza come fa Mel Gibson.



L’Urlo di Mel terrorizza anche… TUTTI!

Ribadisco,
forse quella scintilla di follia negli occhi non è soltanto recitazione, sul
fatto che sia un fanatico religioso e tutte quelle altre dicerie sul suo conto, non
entro nemmeno nel merito, se ne facciamo una questione puramente
cinematografica, il cinema ha ancora bisogno di Mel Gibson davanti alla
telecamera a nobilitare B movie altrimenti anonimi come questo e anche dietro,
ma è un discorso che per ora mi tengo nel taschino, prometto di riprenderlo,
quando uscirà la sua prossima fatica registica, “Hacksaw Ridge” che, ovviamente,
non vedo l’ora di vedere. 

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