Il famigerato terzo polo, ogni tanto qualcuno cerca di rilanciare il concetto in politica con poco successo, e si può dire lo stesso anche nell’industria dei fumetti americani. Nel corso degli anni tante case editrici hanno tentato di diventare l’alternativa ai colossi di Marvel e Distinta Concorrenza, ci ha provato l’Image Comics, la Dark Horse Comics e di sicuro, anche la Valiant.
Fondata da Jim Shooter nel 1989, la casa editrice ha basato la sua popolarità su uno zoccolo duro di personaggi resuscitati dagli anni ’60 come “Magnus: Robot Fighter” e “Turok”, diventato piuttosto famoso anche grazie ad una serie di videogiochi. Tra i personaggi simbolo della Valiant, deve essere citato per forza Bloodshot, che a ben guardare anche lui era un bel rimasti con, composto da parti del Punitore, di Venom e Wolverine più una spruzzata di Robocop e Terminator.
Oggi che esce un “Cinecomics” ogni due ore, anche la Valiant (diventata nel frattempo Valiant Entertainment) vuole una fetta della torta, e con “Bloodshot” tenta di lanciare quello che dovrebbe essere l’inizio dell’universo cinematografico Valiant. Suo alleato nella missione? Un grosso Nerd, nel senso che è un nome importante ma è anche grosso fisicamente, Vin Diesel che superati i cinquanta ha deciso che è stanco di ripetere solo «I Am Groot», ed è pronto a prendersi un ruolo da protagonista.
Mark Vincent Sinclair III in arte Vin Diesel, in amicizia Vincenzo Gasolio, oltre alla passione per le auto veloci e la palestra, ha un passato mai nascosto di giocatore di Dungeons & Dragons (ecco perché ha accettato di buon grado di recitare in “The Last Witch Hunter” del 2015), quindi non escludo che i personaggi della Valiant li conoscesse bene.
Il nostro Vincenzo interpreta Ray Garrison, soldato zelante e tosto, sempre pronto a tornare a casa dalla sua amata moglie fatta a forma di Talulah Riley, anche dopo le missioni più pericolose. Un duro Ray, ma un tipo di cuore, infatti lo vediamo portare la signora in vacanza sulla costiera Amalfitana a bordo della sua Mustang. Con un macchinone così su quelle curve e curvette pensate per una Fiat 500? Vabbè più facile mettere una Mustang su quelle strade che Von dentro un’utilitaria.
Dopo un assalto di sicari armati e un buon numero di ceramiche Amalfitane distrutte (usando la testa degli sgherri), Ray e sua moglie vengono catturati dallo specialista di ruoli da generico cattivo, Toby Kebbell che balla sulle note di “Psycho killer” dei Talking heads (cinematograficamente un po’ esagerato, ma musicalmente gran scelta) che in cerca di altrettanto generiche informazioni uccide la moglie di Ray sotto i suoi occhi, e poi completa il lavoro uccidendolo.
Fine del film? No perché Ray si risveglia nei laboratori della RST, società guidata con mano ferma – e pugno d’acciaio… Letteralmente, visto che il personaggio ha un braccio bionico – dal Dr. Emil Harting (un abbastanza svogliato Guy Pearce) e dalla sua prediletta, la soldatessa KT interpretata dal corpo bionico della bellissima Eiza González. Posso dirlo? L’effetto speciale migliore di tutto il film.
Il corpo di Ray è stato donato dall’esercito americano alla ricerca, l’operazione Bloodshot lo ha riportato in vita come super soldato potenziato in stile “Universal Soldier” ma con al posto del sangue, tanti piccoletti che zampettano qui e là come i globuli rossi di “Siamo fatti così”. Si tratta dei naniti, pronti a riparare ogni sua ferita anche la più drammatica, chiedono in cambio solo di essere ricaricati di energia su base regolare. Se mi fossi trovato nella stessa situazione, io avrei chiesto dove avevano intenzione di connettere il cavo per l’USB, ma il film si tiene a debita distanza dall’umorismo e gli sceneggiatori Eric Heisserer e Jeff Wadlow evidentemente sono meno grezzi del sottoscritto, anche se a giudicare dai film che hanno scritto forse non poi tanto.
Quando i poteri di Ray si scatenano al massimo, per effetto nei naniti nel suo corpo, sul petto gli compare una strana luminescenza rossa, e considerando la volontà del personaggio di riprendersi i suoi ricordi, la sua vecchia vita e di tornare a casa dopo essersi vendicato, possiamo dire che se E.T. telefonava a casa, Vin per tornarci preferisce farsi largo sparando. «Vin. Sparare. Casa».
“Bloodshot” è una storia di origini che comincia in modo molto canonico, ha una svolta interessante ma poi torna a battere situazioni già viste, di sicuro è un po’ più violento della media dei vostri “Cinecomics”, ma in generale con dieci minuti in meno (ma facciamo anche quindici), il ritmo sarebbe stato molto migliore e il film ne avrebbe giovato.
Bisogna dire che il regista esordiente Dave Wilson ha un buon occhio, il film costato circa quaranta milioni di fogli verdi con sopra le facce di altrettanti presidenti defunti, sembra molto più costoso, quindi sicuramente un pregio. La vendetta di Ray si consuma molto presto (in termini di minutaggio) nel corso della storia, in una lunga sparatoria in una galleria, fotografata solo con luci rosse e blu alternate e caratterizzata dai soliti rallenty, che sembra non possano proprio mancare nei film di super calzamaglie (specialmente in quelli della Distinta Concorrenza).
Ma di suo “Bloodshot” ha alcuni problemi logici, tu hai appena potenziato un “Cristone” come Vin Diesel no? Che infatti mette subito alla prova i suoi poteri, prendendo a pugni le colonne di cemento nemmeno fosse Tong Po. Bene e poi cosa fai? Lasci che se ne vada in giro a vendicarsi dell’uomo che ha ucciso sua moglie senza provare a fermarlo? Andiamo!
Chiunque abbia visto più di due film in vita sua capirà subito che il personaggio di Guy Pearce è più che sospetto, anche perché affidarlo proprio all’attore Australiano è un bel modo per spararsi in un piede da soli, non lo avete visto Iron Man 3? Non lo avete visto “Memento” (2000)? Non ho capito se affidare a Pearce un ruolo così era un omaggio alla sua carriera, oppure la scelta di casting più pigra di tutti i tempi.
Nel secondo atto, “Bloodshot” avrebbe la possibilità non dico di diventare una sorta di Atto di Forza, non pretendo tanto, ma almeno di fare un discorso interessante sulla memoria, sulla sua capacità di essere alterata facilmente, e con un po’ più di coraggio, anche un minimo di critica nei confronti del potere, dell’industria delle armi. Ma che ci volete fare, Paul Verhoeven non è mai stato così lontano da Hollywood come ora, quindi quando potrebbe distinguersi (e mordere), “Bloodshot” ripiega le ali e si avvia comodo e placido lungo percorsi già tracciati e ben poco originali, appesantiti anche dall’inutile spalla comica, un esperto di computer chiacchierone che non fa ridere nemmeno per errore, ma che entra subito a far parte della nuova “Famiglia” di Vin Diesel.
Nel finale la storia e il regista Dave Wilson sembrano seguire pagina per pagina il manuale dei film d’azione, inserendo scene che sembrano uscite da altri titoli più famosi, con il risultato che invece di prendere il meglio di tutti i mondi, tutto diventa di colpo la sacra del riciclo. Degli sgherri armati inseguono il protagonista a piedi per strada, tra i vicoli delle case con in un Point Break senza dinamismo, Vincenzo Gasolio fa ruotare su sé stessa un’automobile mentre spara, come faceva Bruce Willis in “Red” (2010), e dopo la sparatoria, un camionista scende dal suo mezzo per chiedere al protagonista se sta bene, e quello lo guarda con mezza faccia devastata, si esatto, come in Terminator 2. Tutta roba che, ammucchiata in questo modo, annoia invece che creare ammirazione.
Anche lo scontro finale con i cattivoni potenziali, che prevede ascensori e salti spettacolari è girato molto bene, davvero nulla da dire in tal senso, ma ha un senso di già visto incredibile, sembra l’ultima scena di Venom, con i naniti al posto del simbionte alieno. Anche se trovo piuttosto ironico che Vin Diesel abbia scelto di fare un film così, proprio in questo momento della sua carriera, considerando la sua “faida” a distanza con The Rock (secondo me tutta organizzata, un giorno lo scopriremo), se da una parte il Wrestler con ambizioni presidenziali nel suo Hobbs & Shaw ribadiva in modo caramelloso la superiorità degli umani rispetto alle fredde macchine, Vincenzo Gasolio sembra voler dire «Ah sì? Ed io divento l’uomo macchina per farti il culo al botteghino tié».
Certo però che sfiga, causa pandemia globale, “Bloodshot” è scivolato tra le uscite in digitale a noleggio, saltando a piedi giunti l’uscita in sala, dove avrebbe guadagnato sicuramente, considerando la popolarità del genere e quella del vecchio Vin. Ma anche il nuovo “Fast & Furious” è tra i titoli la cui uscita è slittata, quindi al momento la faida vede ancora in vantaggio il sorridente Rock, ma sono sicuro arriveranno presto nuovi capitoli e si spera, momenti migliori per le uscite in sala.
In generale “Bloodshot” sembra rappresentare in pieno l’intenzione di Vin Diesel di diventare il Robert Downey Jr. di menare della Valiant, solo che il suo film invece di essere un Iron Man più violento e critico nei confronti dell’uso irresponsabile della tecnologia, sembra solo un Venom biomeccanico con un personaggio anche meno interessante del V-Man.
Sarebbe proprio il momento di portare al cinema un altro tipo di super eroi (e di personaggi a fumetti in generale), ma per quel terzo polo delle super calzamaglie forse ci sarà da aspettare ancora un po’, per ora l’alternativa ai super eroi, sono ancora i super tamarri di Toretto e della sua famiglia, quelli che ai mantelli e le tute aderenti, preferiscono le canottiere e la birra Corona. Che poi sarebbe anche l’unica Corona di cui vorremmo tutti tornare a sentir parlare.
Non perdetevi il romanzo-novelization dalle pagine di Gli Archivi di Uruk.
Sepolto in precedenza martedì 31 marzo 2020
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