Il pugnetto di Freddie Mercury… Partiamo da questo: il pugnetto in aria di Freddie. Avete presente, no? Un gesto caratteristico, quasi un segno distintivo, se avete visto una cover band dei Queen suonare dal vivo (e lo avete fatto di sicuro nella vostra vita) vi sarete trovati davanti un cantante che prende a pugni l’aria come faceva Freddie Mercury quando cantava, cavolo persino sotto la doccia cantando “Bohemian Rhapsody” (cosa che faccio spesso, storia vera) viene voglia di fare il pugno all’aria di Freddie.
Perché iniziare da questo gesto? Perché non sono capace di andare dritto al punto e sono nato senza il gene della sintesi, quindi per arrivare dove voglio portarvi parto da qui, da un cantante così carismatico e caratteristico, da generare una serie di imitatori più o meno devoti, più o meno professionisti ad imitarne stile e movenze, purtroppo non corde vocali, perché una voce così era davvero rara. Ora, arriva il doveroso paragrafo in cui l’autore del commento (o recensione se vi piace dare a queste righe più peso del necessario) prima di dire qualcosa su “Bohemian Rhapsody” di Bryan Singer Dexter Fletcher Bryan Singer deve mettere in chiaro il suo rapporto con i Queen? Ok, dai, facciamolo!
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Lo avete fatto tutti, anche in bagno usando la spazzola come microfono, dai vi conosco! |
Non sono un mega fanatico dei Queen, uno di quegli appassionati che sa TUTTO del gruppo, ma li ho sempre ascoltati, ad ovest delle colonne sonore, i Queen sono stati il primo gruppo con cui ho capito che questa cosina della musica faceva per me, anzi aggiungo un altro dettaglio: alle elementari avevo un compagno, lui sì, davvero appassionato, grazie al quale in classe abbiamo conosciuto tutti il gruppo. In un’era in cui Internet era un’utopia e le cose si venivano a sapere per sentito dire, la prima volta che ho scoperto che nel mondo uomini potevano amare altri uomini e per questo venivano etichettati come “Gay”, Freddie Mercury è stato il primo personaggio associato a questo concetto di cui venivo a sapere sommariamente e che nella mia testa ha sortito questo effetto: Freddie Mercury è gay. Mi piace come canta, le canzoni sono belle, quindi per me Freddie Mercury può fare quello che vuole. Può essere poco (lo è), ma per me tutta la questione omofobia si è risolta così (storia vera) e nel frattempo non ho mai smesso di ascoltare i Queen, fine del doveroso paragrafo.
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«Io mi siedo, ho già capito che questo post sarà una faccenda lunga» |
Il mio cercare di smettere di fare uso di trailer è un processo lento, con quello di “Bohemian Rhapsody” ci sono ricaduto, come hanno fatto in molti visto che è stato cliccatissimo in rete. Purtroppo, vedendo il film parecchi dei miei dubbi sono stati confermati e come ho sostenuto commentando Overlord, proprio questo è uno dei tanti film basati sulla malinconia che da qui ai prossimi mesi mi toccherà affrontare e, di certo, le difficoltà produttive si vedono tutte nel film.
Sì, perché in principio tutto era saldamente in mano a Bryan Singer, al ritorno su un film non fantastico dopo una lunga X-Parentesi, una buona scelta secondo me, confermata dall’annuncio che la sceneggiatura sarebbe stata curata da quello che al momento è il migliore nello sfornare biografie ben fatte Peter “The Crown” Morgan. Sacha Baron Cohen avrebbe dovuto essere il protagonista, il vecchio “Borat” era parecchio interessato alla vita sessuale del personaggio, ma si è ritrovato disoccupato quando è arrivata la notizia che l’argomento non sarebbe stato trattato, non con la dovizia di dettagli (e nani presenti alle feste) che voleva Cohen, peccato che da lì in poi tutto sia degenerato.

«A chi lo facciamo dirigere questo film? A te? A te? Oppure tu?»
Singer licenziato per aver ritardato le riprese di dieci giorni (storia vera), sostituito al volo da Dexter Fletcher che dirigerà anche il prossimo “Rocketman” sulla vita di Elton John (prevedo una tragedia…) con la minaccia di Johnny Depp come protagonista, ma con il nuovo sceneggiatore Anthony McCarten quello del tedioso “La teoria del tutto” (2014) e di L’ora più buia, è tornato anche Bryan Singer, o per lo meno, alla fine il film è stato accreditato a lui e zitto. Insomma: un pastrocchio che emerge dal film finito. Purtroppo, Singer si è schiantato di faccia contro il mostro a due teste che aleggiava su questa pellicola e che mi preoccupava fin dall’inizio: i produttori esecutivi Bryan May e Roger Taylor.
Ero piuttosto sicuro che con i due ex Queen a bordo, il film sarebbe stato un “Santino” edulcorato buono giusto per portare avanti il marchio del pubblico e (magari) conquistarsi una nuova generazione di appassionati, risultato che di fatto è stato… Quanto mi secca avere sempre ragione (cit.)
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No, eh? Non si fanno certi gesti, stiamo facendo un film pulito mica una roba Rock. |
Di tutte le cose che si potrebbero dire su “Bohemian Rhapsody” la prima che mi preme dire è che mi è sembrato un film pensato per tutta quella grossa porzione di pubblico che dichiara il proprio amore incondizionato per i Queen, anche se poi del gruppo di fatto ha ascoltato solo i Greatest Hits I, II e III, troppo cattivo? Forse, ma intanto hanno avuto ragione loro, perché pur essendo un film non accurato nel mostrare gli eventi e con un finale più che paraculo (per le argomentazioni, continuate a leggere) al momento questa cosina ha portato a casa 500 milioni di ex presidenti spirati stampati su carta verde che, non solo ci dicono di quanto il gruppo inglese sia ancora amatissimo, ma anche che sparando nel mucchio, i produttori hanno ottenuto quello che volevano: Soldoni!
Per essere un film che s’intitola “Bohemian Rhapsody” bisogna dire che almeno la pellicola segue alla perfezione l’andamento del celebre pezzo omonimo: un inizio in cui viene da chiedersi “It this the real life or is just a fantasy” una parte centrale drammatica, degna di un’opera e un finale molto Rock, ma probabilmente è un caso, perché per spiegarmi come mai questo film non mi è piaciuto, parto proprio dall’inizio.
“Bohemian Rhapsody” ha diversi errori di continuità nella successione degli eventi che fanno un po’ a cazzotti con il fatto che gli undici minuti finali siano una ricostruzione fedelissima, inquadratura per inquadratura del concerto del Live AID del 1985, una contraddizione davvero rapsodica dovuta al cambio di regia, forse, ma più che altro ad una paraculaggine diffusa. Trovo un controsenso in un film che si gioca l’apice finale con una scena tanto curata, arrivare a quel punto giocando sporco su eventi che sono documentati, registrati e datati puntualmente, un esempio: che senso ha inserire durante il primo tour americano della band un momento in cui suonano “Fat Bottomed Girl” (anzi, del video della canzone ricreato sullo schermo con tanto di stessi costumi di scena) e poi nella lunga sequenza successiva, piena di “Galileo! Galileo! Galileooooo!” far vedere il gruppo impegnato a registrare l’album “A night at the opera” (1975), quando il pezzo sulle “Ragazze dal lato B abbondante” è presente nel disco “Jazz” del 1978? Sarebbe stato meglio inserire qualche pezzo bello dei Queen, tipo uno dei miei preferiti, “Great King Rat”, ad esempio, ma siccome nessuno lo conosce, meglio puntare su un pezzo contenuto in uno dei tre Greatest Hits e andare sul sicuro.
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«Great King Rat? Ma non era nel Greatest Hits» , «Ma che ti frega facciamo We are the champion così cantano tutti» |
Troppo puntiglioso? Vero, il film è pieno di errori ed errorucci come questo, ma sarei un ipocrita se mi scagliassi contro la pellicola solo per questa ragione, da sempre ritengo che il cinema non abbia il dovere di essere realistico, ci sta di prendersi qualche licenza poetica, magari anche per alimentare le frizioni interne al gruppo per portare del dramma sul grande schermo (certo, magari non risolverle per ben DUE scene di fila con una litigata che finisce con la composizione di una hit, prima “Another one bites the dust” poi “We will rock you”) lo posso capire, il cinema fa questo, se penso ad una biopic molto simile (protagonista in prova di mimetismo, grandi pezzi musicali) come “The Doors” (1991) anche Oliver Stone si era preso delle grosse libertà lo posso accettare finché l’intento resta quello di fare un film, un’opera d’arte pensata per cogliere l’essenza, l’emozione e non un manifesto anche un po’ bacchettone buono giusto per far contento chi è affetto da malinconia congenita per i tempi andati, quindi passo al resto della mia critica al film, ecco che arriva.
Ho trovato urticante il modo in cui Roger Taylor e Brian May sembra si siano voluti riprendere alcuni meriti, mettendo i puntini sulle “i” alle spalle del loro celebre cantante che, purtroppo, non è più qui per dire la sua (e state sicuri che lo avrebbe fatto!). Uno sforzo nel sottolineare come l’unico dalle cattivi abitudini (Roger Taylor cambia una fidanzata DONNA, in ogni scena in cui compare, lo avete notato?) fosse davvero solo Freddie Mercury, un personaggio che si è sempre scagliato contro l’omertà di certi atteggiamenti e da sempre impegnato in attività di beneficenza, che qui non viene mai definito omosessuale, anzi, per tutto il film la fin troppo lunga sottotrama con Mary Austin (Lucy Boynton) sembra una infinito tira e molla per riportare Freddie sul lato etero della Forza.
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«Torna con noi Freddie, ad ogni tua mossetta fai piangere Adinolfi» |
I famosi festini (con i nani solo citati in una riga di dialogo) a cui tanto teneva Sacha Baron Cohen sono estremi come una bicchierata al centro anziani, mentre tutta la parte legata all’omosessualità del personaggio è trattata in modo davvero bacchettone, quindi negazionista, per altro con enormi buchi logici, voragini che gli sceneggiatori lasciano il compito di colmare al pubblico. Possibile che Roger Taylor e Brian May avessero così paura che se il grande pubblico generalista, quello che conosce i Queen giusto per i tre “Greatest Hits”, avesse visto sul grande schermo qualcosa di scomodo sul grande cantante, non avrebbe più ascoltato la musica del gruppo? A questo mi sono risposto da solo: quando andai a vedere “Ray” (2004) una volta riaccese le luci in sala a fine pellicola, i due signori davanti a me (ben più anziani del sottoscritto, quindi facilità per età anagrafica a conoscere la musica di “The genius”) si sono guardati dicendo: «Bel film, non lo sapevo che lui faceva uso di droga» (storia vera) e i 500 milioni d’incasso nel mondo, evidentemente fanno di me una voce (stonata) fuori dal coro.
Dopo aver dato una picconata alla ricostruzione fedele degli eventi e aver tradito molto del personaggio di Freddie Mercury e dei suoi valori (nel film sembra che s’incazzi per il Live AID solo per volontà di brillare sul più grande palcoscenico del mondo e non perché fosse seriamente interessante all’evento benefico) cosa resta di questo film? Gli undici minuti finali? A quelli ci arriviamo tra poco, lasciatemi l’icona aperta.
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«Rami devi spostare di sette millimetri il braccio e ruotare il capo di due gradi, ok ora sei uguale» |
Resta il fatto che di sicuro non è un film diretto male e nemmeno recitato male, il cast è ottimo e Rami Malek, detto Luigi (perché? In sintesi perché ha la faccia da Luigi) fa una buona prova, certo i dentoni e i baffi lo fanno scivolare in molti momenti in “Zona Cosplayer”, ma anche se non mi ha convinto in pieno, bisogna dire che lui ci crede molto, si vede che ha sentito davvero la responsabilità di interpretare un personaggio così amato come Freddie Mercury e si è molto impegnato, quindi bravo Luigi, quando poi farai finalmente outing te la vivrai molto meglio, ma questa è solo una mia speculazione.
Veniamo, quindi, alla fine di questa “Rapsodia” che come dicevo lassù (sì, sto chiudendo l’icona, eccomi che la chiudo) si completa con una parte finale molto Rock, ovvero la ricostruzione inquadratura per inquadratura dell’esibizione del gruppo sul palco del Live AID, una scena ruffiana e, a mio avviso, anche abbastanza ridicola. “Perché rifare scena per scena, un’esibizione che è parte della cultura popolare in questo modo?” mi sono chiesto. Ricordate il pugnetto di Freddie di cui scrivevo lassù in cima? Che senso ha trasformare un gesto fatto da un cantante in uno di quei momenti di trasporto totale che solo la musica può regalarti in un’imitazione? Perché trasformare un’esplosione di entusiasmo dettata dalla gioia della musica, in una fredda coreografia eseguita passo per passo da Luigi il Cosplayer?
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«Chi è il miglior cosplayer di Freddie Mercury?» , «Luigi! Luigi! Luigi! Luigi!» |
Siediti al piano, volta il capo verso sinistra, mima un bacino, guarda avanti, inquadrature sulle Pepsi sul piano, prendi l’asta del microfono, scivola a destra, passo, passo, questo ha fatto Rami Malek, studiarsi come se fosse una coreografia di ballo qualcosa che era dettato dall’enfasi del momento, trasformandolo in finto, freddo, riproduzione in serie pensata per ottenere che il pubblico pagante esploda in un: «Ma è uguale!»
Ma davvero da spettatori vi potete esaltare perché qualcuno ha pagato degli attori, per rifare una esibizione che potreste vedere identica, eseguita dai veri autori riguardandovi comodamente a casa vostra il concerto del Live AID? Per me l’arte (in questo caso il cinema) dovrebbe cogliere l’emozione del momento, anche prendendosi licenze poetiche sulla cronologia degli eventi, questo che cos’è? Cos’è?! Per me è il riassunto di come si fa il cinema nel 2018, non importa che funzioni, l’importante è che somigli a qualcosa che il pubblico conosce, anche sommariamente e per cui prova così tanta malinconia da essere disposto a pagare un biglietto. Per me quegli undici minuti finali sono l’apice non di quello che dovrebbe fare il cinema (emozionare raccontando la storia di un personaggio), ma un’operazione pensata a tavolino per dare al pubblico quello che vuole, ovvero l’immagine di un personaggio che hanno salvato nella loro mente, Luigi il Cosplayer che esegue alla perfezione il Meme di Freddie Mercury, in questo senso la presenza di Mike Myers che cita se stesso, è davvero significativa, anzi, penso che lo abbiano assunto per il ruolo solo per fargli dire quella frase, ne ero sicuro anche prima di vedere il film, quando ho scoperto che era nel cast di questo film.
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Cosa direbbe Garth se ti vedesse ridotto in questo modo? |
Ecco cos’è “Bohemian Rhapsody”: un meme pensato per piacere alla porzione di pubblico che i Queen li conosce per i tre “Greatest Hits” e Freddie Mercury per quella volta che ha visto una sua foto in posa con una corona in mano o perché no, sul palco del Live AID. Ditemi cosa volete, ma per me il cinema dovrebbe avere altri intenti che, sicuramente, non coinvolgono la produzione di Meme per Internet e per quanto straordinarie no, non mi basta risentire le canzoni dei Queen per uscire contento dalla sala, quelle per fortuna, posso ascoltarle quando voglio in qualunque momento.
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«Stavano urlando BIS, noi lo abbiamo rifatto, che male c’è?» |
Sapete dove funziona per me “Bohemian Rhapsody”? Nei momenti assolutamente favolistici, appena smette di proteggere il marchio “Queen” per far contenti i produttori, oppure di sfornare gli undici minuti finali di meme per far dire al pubblico: «ma è uguaaaaaaale!», questo film resta, a singhiozzo, la storia di un ragazzo che cerca il suo posto nel mondo. Per assurdo, gli unici momenti che ho apprezzato davvero del film, sono vedere Rami Malek dimostrare di aver capito davvero il personaggio, anche in scene tremendamente stucchevoli come quando porta Jim a casa, oppure ancora meglio, quando parla con i suoi gatti mentre mette alla prova l’ugola sofferente in bagno, lì si vede un attore che recita, lì si vede il cinema che racconta un punto di vista inedito su un personaggio pubblico, rispettando, una cosa a cui ha sempre tenuto Mercury in vita: la sua privacy. Succede per forse cinque minuti, ma quello è cinema, il resto sono meme, li lascio a chi li apprezza, a me piace solo quello su Yao Ming.
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La mia faccia quando sento qualcuno che dice che “Bohemian Rhapsody” è un bel film. |