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Bright (2017): orco mondo (che c’ho sotto i piedi)

Appena ho ricevuto la notifica da Netflix che il giorno 22 Dicembre sulla celebre piattaforma di streaming sarebbe stato disponibile “Bright” ultima fatica di David Ayer ho urlato “MIO!” (storia vera). Che scherziamo Ayer che dirige una storia di poliziotti? Mi sono convinto a vedere film per molto meno.

Potreste aver sentito parlare di “Bright” anche se avete passato gli ultimi mesi chiusi in una caverna, per due ragioni fondamentali: la prima è che Netflix ha leggerissimamente martellato con la pubblicità, ma proprio due righe, si tratta del primo blockbuster prodotto dal canale, quindi diciamo che ci tenevano a farcelo sapere, ecco.

L’altra ragione è più curiosa. Trovo sempre divertente vedere come le notizie si diffondano in rete, al netto di UNA (non seicento, una) recensione negativa di un critico americano, “Bright” è diventato di colpo il peggior film della storia o giù di lui, sapete come funziona, no? Nell’Era dei Social-Cosi ogni film è per forza “Capolavorò”, oppure” Cagata pazzesca”.


«Oh ragà, tenete giù la testa che là fuori è un inferno»

l primo giorno al mio ritorno al lavoro a gennaio TUTTI i miei colleghi mi hanno chiesto se avevo visto “Bright” e questo mi fa capire che Netflix ha cambiato il modo di guardare al cinema e alla televisione, in compenso a tutti loro ho risposto: un film tutt’altro che perfetto, ma ad avercene! Se lo avessi visto da bambino lo avrei consumato.

La storia è ambientata in una Los Angeles identica alla nostra dove, però, gli umani condividono il pianeta con ogni genere di creature fantastiche, suddivise tra loro in una rigida gerarchia, abbiamo le pestifere fatine e l’élite rappresentata dai ricchissimi elfi, alti belli biondi e con le orecchie a punta. Sul fondo della catena alimentare sociale ci sono gli Orchi, nessuno vuole bene ad un Orco.

 
«Ma perché mi trattate male? Guardate vi ho pure portato il kebab»

Quello che sappiamo è poco ammettiamolo, abbozzato tanto da restare una trama sul fondo: c’è stata una grande guerra contro un famigerato Signore Oscuro, gli Orchi erano i suoi soldati più fedeli e una volta sconfitti sono diventati i meno amati di tutti. Gli Orchi sono super resistenti, fortissimi fisicamente, ma lenti, spesso in più di un senso stretto di questa parola, inoltre al loro interno sono divisi in caste e ognuna di queste dentute creature ambisce a guadagnarsi sul campo il titolo di Sangue Puro, l’equivalente Orchesco del Ras del quartiere, ecco.

Per distendere la tensione tra le varie razze, il dipartimento di polizia di Los Angeles si gioca la carta raziale, dando il distintivo ad un Orco e non uno qualunque, il suo nome è Nick Jakoby si è limato i dentoni perché è una specie di paria per la sua razza ed è interpretato da un generosisimo Joel Edgerton che si sacrifica sotto l’ottimo trucco per fare la spalla al vero divo del film.

Ecco, il divo in questione è Will Smith che interpreta il poliziotto Daryl Ward, se avete visto più di due film nella vostra vita avrete già capito come continua, i due vengono accoppiati per pattugliare la città, non si piacciono, ma dovranno appianare le divergenze per risolvere un problema di elfi dissidenti, bacchette magiche e vecchie profezie. Ecco, proprio se avete visto un po’ più di due film in vita vostra, a questo punto dovreste essere già giunti alla mia stessa conclusione, “Bright” è Alien Nation con orchi e fate al posto degli alieni allergici all’acqua.

«Tu non sei allergico all’acqua vero?» , «No, ma alle pallottole si, quindi coprimi»

Il soggetto della storia, bisogna dirlo, si vende da solo ed è farina del sacco di Max Landis, il figlio del mio amicone John, uno che ha dimostrato di avere un sacco di pessime idee, ma mi ha anche stupito facendo un ottimo lavoro con Dirk Gently – Agenzia di investigazione olistica.

Ecco, qualche anno fa, quel nerd di Max, ha pensato di mettere su con qualche amico (alcuni anche parecchio famosi) la sua personale versione del celebre fumetto “La morte di Superman”, in questo simpatico video, ad un certo punto Simon Pegg, con occhiali tondi e barba posticcia, interpreta la parte del celebra papà di Max, ovvero il grande John Landis. Mettendo in scena quella che io m’immagino essere un normale dialogo padre/figlio a casa Landis, Pegg chiede come si può uccidere un vampiro in una storia, Max risponde: “Beh, con i paletti di frassino nel cuore, con la luce sol…”. Sbagliato! Se la storia la stai scrivendo tu, un vampiro lo puoi ammazzare come cacchio ti pare!

Questo giusto per dire che Max ha ricevuto da papà tutte le lezioni giuste su come scrivere una sceneggiatura solida poi, però, ecco, non le applica proprio tutte tutte. Sì, perché alla fine il problema grosso di “Bright” è il suo non prendere mai una vera direzione. Forse è anche vero che tutta la parte legata agli Elfi ribelli chiamati “Inferni” capitanati da Leilah  (un’ossigenata Noomi Rapace, ormai esperta di trasformismi qui in versione sorella di Legolas) non è proprio chiarissima, così come il funzionamento della magia, ma è un dettaglio che potrebbe restare sul fondo della trama se Landis Jr avesse deciso di dare un’impronta più decisa alla sua storia.

Con questa ci siamo guadagnati l’attenzione di Lucius Etruscus.

La costruzione di questo mondo alternativo al mondo è davvero pigra, Elfi, Orchi, umani e strambi poliziotto cavallo convivono insieme come se fosse tutto perfettamente normale, come se fosse sempre stato così e questa convivenza non avesse portato ad uno sconvolgimento delle abitudini di vita di tutti.

In questo mondo abbozzato, esistono gang criminali di Orchi conciati in stile Hip Hop chiamati Fogteeth, però, ad esempio, i criminali “Latini” sono normalissimi Messicani tatuati che potreste trovare in ogni storia di poliziotti che si rispetti, oppure per le strade della vera Città degli angeli, insomma un discreto pasticcio, specialmente se cerchi anche di gettare nella mischia una metafora dei nostri complicati tempi moderni.

Straight outta Compton Mordor.

Vuoi usare il fantasy per mostrare un’America divisa tra bianchi e neri? Fallo Max! Fallo! Sarebbe stato fighissimo usare gli Orchi come la minoranza odiata e temuta come potrebbero essere le persone di colore negli Stati Uniti (e non solo), tutti impegnati a odiarsi anche tra di loro dandosi dello “Zio Tom” collaborazionista dei bianchi. Invece, niente, tutto questo è solo tratteggiato tanto che persino avere un attore nero a rappresentare gli umani nel film, diventa un’occasione sprecata.

Sì, perché Will Smith ormai interpreta sempre lo stesso stramaledetto personaggio, che stia recitando in “Sette anime” (2008) o in Suicide Squad, lui fa sempre il bravo padre di famiglia attento ai suoi figli. Personaggio che, per altro, qui un po’ stona, perché non è chiaro come mai ad un certo punto gli dicano che l’unico compagno che può avere è l’Orco che nessuno vuole, perché nessuno vuole fare coppia con lui, ma come? Un minuto prima hanno festeggiato il suo eroico ritorno al lavoro dopo la ferita riportata in azione? Bah!


«Vai avanti tu, non posso farmi sforacchiare, ho dei figli» , «Io avevo un cane, non conta?»

Detto questo, per quanto mi riguarda i difetti di “Bright” sono terminati, voi direte: “E cacchio! Mica sono pochi!”, vero, ma per il resto funziona molto bene, sembra una di quelle pellicole fatte dal sarto per assecondare la mia passione per i film con le strane coppie di sbirri, anzi su questo argomento potrebbe arrivare anche una mini rubrica a tema (prossimamente su questi schermi…), giusto per dire quanto mi sono divertito a guardare “Bright”, merito che va quasi tutto esclusivamente al lavoro di David Ayer.

Lo avevamo dato per artisticamente defunto dopo il disastro di Suicide Squad, ma il regista di Fury ha ancora parecchie cose da dire, certo “Bright” non è la sceneggiatura più solida per tornare in pista dopo la Suicidiosquadra e, forse, sarebbe consigliabile rompere la società formata con Will Smith, perché quanto di buono c’è in “Bright” è quasi tutto merito di Ayer.

«Ok, inquadrati da qui i casini di Max non dovrebbero vedersi troppo»

Il regista impone il giusto ritmo alla storia, ci sono almeno un paio di scene d’azione davvero niente male e il look generale è molto più credibile della storia stessa, guardatevi i bellissimi titoli di testa, con i graffiti che scorrono sulle note di “Broken People” di Rag ‘N’ Bone Man, in un attimo ci si ritrova trasportati in questa LA alternativa.

Inoltre, Ayer si conferma un regista capace di lavorare con gli attori, qui dà lo spazio giusto a dei dialoghi che comunque filano via molto bene e suonano anche fighi, roba tipo «Pensavo fossi morto», «No ho troppe bollette da pagare», oppure lo scambio di battute sull’odio verso gli Orchi con il collega latino: «Se la prendono ancora con i Messicani per Alamo», insomma, dialoghi buoni, quello che non dovrebbero mancare mai in un film di poliziotti!

David Ayer anche sbagliando i film, si sta confermando un regista solidissimo con una sua coerente idea di cinema, che siano i carristi di Fury, gli sbirri di “Bright” o di “End of Watch” (2012), oppure i militari di “Sabotage” (2014) il suo cinema è fatto di fratellanze cementate sul campo, di amicizia virile e revolverate, lasciamo fare questo ragazzaccio e forse un giorno, filmografia alla mani, parleremo di lui come uno dei registi più cazzuti passati sul grande schermo.


Los Angeles Police Ogre Department.

Menzione speciale per il personaggio di Nick Jakoby, un trucido a suo modo candido, uno che considera “Hammer Smashed Face” dei Cannibal Corpse una bellissima canzone d’amore. Ho apprezzato l’idea dietro a questo Orco schifato da tutti, uno che si considera migliore di come tutti lo etichettano e a testa bassa dimostra che è davvero così, inoltre non so quanto attori sarebbero disposti a scomparire dietro quel trucco, ma Joel Edgerton si mette proprio al servizio della storia. Lo dico sempre: sto ragazzo ha il fisico giusto per i personaggio d’azione e anche se deve fare la spalla molto spesso riesce a bucare lo schermo lo stesso.

Insomma, “Bright” è tutt’altro che impeccabile, ma è uno di quei film de panza che si guardano di gusto, Netflix ha già annunciato un seguito, a cui non prenderà parte Max Landis, non vedo l’ora e non possiamo dire che il servizio clienti di Netflix non accolga le lamentele.

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