Abbiamo fatto tanta strada, ma abbiamo ancora alcune miglia
da galoppare, oggi parliamo di questo: di viaggi. Bentornati al nuovo capitolo
della rubrica… King of the hill!
L’esperienza televisiva con il pilot di Deadwood, per Walter Hill è l’occasione per tornare a lavorare e a dirigere
qualcosa di legato al suo genere il riferimento, il Western. Per uno che si è
sempre definito essenzialmente un regista di film western, questa è ancora la
pista da seguire.
Duvall quando non è impegnato a portare la sua solidità di attore nei film?
Spesso produce e ancora più spesso va a cavallo e si prende cura di questi
animali nel suo ranch (storia vera), ecco perché durante i venticinque tormentati anni della sua produzione, in cerca di un
attore anziano che sapesse stare a cavallo, c’è stato un momento in cui anche
Terry Gilliam ha pensato di affidargli il ruolo di Don Chisciotte (storia
vera).
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Poi chiedetevi perché l’ultimo film da regista di Duvall si intitola “Cavalli selvaggi” (2015). |
Duvall sviluppa il progetto insieme a Alan Geoffrion e poi
sottopone l’idea al canale americano AMC, ma soprattutto si ricorda di quel
signore che lo ha diretto in Geronimo,
uno che per questa storia western potrebbe andare proprio bene. Per un po’ il
popolare canale americano, accarezza l’idea di fare di “Daughters of Joy” (il
titolo originale con cui nel 2005, venne presentato con alcuni minuti di anteprima
anche al Torino Film Festival) una serie tv, forse per rispondere proprio alla concorrenza
di “Deadwood” per il canale HBO. Ma in corso d’opera i piani cambiano, AMC
decide di farlo diventare una miniserie di due puntate, il primo film prodotto
dal canale americano e con il titolo definitivo di “Broken Trail” nel 2006,
sempre al Torino Film Festival abbiamo potuto gustarcelo in soluzione unica,
tre ore di cinema, perché di questo si tratta, puro cinema firmato da un grande
come Walter Hill.
grandi maestri del cinema finisce proprio in televisione, dopo il momento di
vistoso sbandamento delle grandi case di produzione di Hollywood negli anni ’70,
la culla del cinema americano è stata salvata da una banda di gatti senza
collare, la cosiddetta “New Hollywood” da cui provengono molti dei miei
preferiti e in parte anche un signore che abbiamo incrociato un paio di volte
nel corso di questa rubrica: John Milius.
a lavorare in tv (nella serie tv Masters of Horror), ma il percorso di Milius e
Hill è stato quasi parallelo, il primo ha diretto un episodio della serie tv “Roma”,
il secondo il pilot di Deadwood. E se
Milius ha diretto la miniserie televisiva “Rough Riders” (1997) Hill ha fatto
lo stesso con questa “Broken Trail”, può sembrare un finale inglorioso per un
maestro come il nostro Gualtiero, quello di finire a lavorare sul piccolo
schermo, in realtà, queste tre ore sono la prova che il cinema di Hill è vivo, vegeto
e ancora scalcia.
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Thomas Haden Church e BoJack Horseman, in una scena del film. |
Walter Hill inizia subito alla grande, raccontandoci una
parte del suo amato West che è un po’ meno nota, non tutti sanno che oltre ad
essere stato un fottuto massacro di uomini e nativi, la conquista della
frontiera è stata basata sul sudore di parecchi immigrati cinesi, impiegati
spesso per la costruzione della ferrovia e quasi tutti di stanza a San Francisco,
prima grande città americana che incontri, arrivando dal Pacifico.
Francisco del 1898 un gruppo di ragazze cinesi vengono vendute a quel
galantuomo del Capt. Billy Fender (James Russo) fermamente intenzionato a
sfruttarle per far soldi, costringendole a prostituirsi. Siccome il grande
cinema è quello che mostra, non quello che spiega a parole, è impossibile non
notare il modo in cui le ragazze vengano visitate e controllate, proprio come
si fa con i cavalli, con tanto di controllo allo stato della dentatura.
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“Vi mangiate i cavalli? E poi criticate la cucina dei nostri ristoranti!?” |
Chi, invece, con i cavalli (quelli a quattro zampe) ci vive e
ci lavora sono i due cowboy dell’Oregon, “zio” Prentice Ritter (Robert Duvall)
e suo nipote Tom Harte (Thomas Haden Church) che ereditano dalla madre di Tom
una grossa somma di denaro che “Zio Print” pensa bene di trasformare in qualcosa
di più ardito, per provare a fare una vita meno amara, per dirla alla Nino Manfredi:
“Investire tutto in tre o quattrocento cavalli, da portare fino al Wyoming”, Stato americano che si pronuncia sbadigliando e noto per essere l’inferno
delle femmine e dei cavalli («Scopriremo se almeno uno dei due è vero») vendere
tutto e sistemarsi a vita, magari comprando un pezzo di terra, perché peggio di
un cowboy spiantato, può esserci solo un vecchio cowboy spiantato che cammina
piegato come un granchio e ha troppi dolori perfino per montare a cavallo.
delle cinque ragazze cinesi vendute come cavalli e degli uomini che, invece, dei
cavalli hanno un grande rispetto, figuriamoci della vita umana. Volete sapere
la mia? Secondo me dovreste vedere tutti “Broken Trail” già solo per godervi il
modo in cui Walter Hill dirige una mandria di cavalli in corsa per le praterie
americane, con Robert Duvall e Thomas Haden Church impegnati a farli filare.
Ogni muscolo teso, ogni colpo di zoccolo, con la regia di Hill e le musiche
composte da Van Dyke Parks e David Mansfield diventa un quadro in movimento
sullo schermo della vostra televisione ed io potrei anche chiuderla qui perché
non ci sarebbe altro da aggiungere, se non fosse che “Broken Trail – Un viaggio
pericoloso” (utilissimo sottotitolo italiano immancabile) è anche un
buonissimo film, parecchio coinvolgente.
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Walter Hill, lasciato libero di pascolare nello scenario del grande cinema western. |
Walter Hill firma una storia piccola, intima, quasi
romantica si potrebbe dire, con il piglio dei duri, di chi le cose non le dice,
le dimostra con i fatti e in tal senso Robert Duvall e Thomas Haden Church
sono impeccabili. Parliamo di due personaggi che conoscono il valore di un buon
lazo e che sanno che tante volte vale più quello, del figlio di put…rella che a
quello stesso lazo ci finisce appeso. Per il collo.
roba, ma qui Walter Hill tira fuori il meglio da uno che ha un corpaccione di
uno che potrebbe inseguire un tipo, solo per liberare la ragazza cinese che ha
rapito, ma dietro a quel grugno riesce a sembrare anche fragile, uno a cui pesa
fare la cosa giusta, ma se conta la farà. Come in una delle scene più potenti del
film, quella di cui Walter Hill ha confermato esserne più orgoglioso (storia
vera), ovvero la scena del cavallo ferito, uno di quei momenti alla “Un uomo
deve fare quello che un uomo deve fare” che vi farà esibire in un grosso «GULP!».
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“Occhio a dove punti quell’affare nonno, ci sono le mie orecchie qui sotto” |
Robert Duvall risponde con la prova di uno
che dopo aver pensato alla trama, essersi scelto il personaggio da interpretare
e il regista, si diverte come un bambino rimasto chiuso in un negozio di
caramelle durante la chiusura per il weekend lungo. Se per lui Geronimo era stato, per sua ammissione, “Una
lunga vacanza pagata”, qui risponde allo stesso modo con una grande prova che,
per certi versi, ricorda molto anche quella offerta nel sottovalutato “Open
range” (2003) di Kevin Costner. Bellissimo vederlo risolvere il problema
di comunicazione tra un vecchio Cowboy dell’Oregon e cinque ragazze cinesi,
chiamandole semplicemente numero uno (Jadyn Wong), numero due (Caroline Chan),
numero tre (Gwendoline Yeo), numero quattro (Olivia Cheng) e pensate un po’,
numero cinque (Valerie Tian) come il robot di Corto Circuito.
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“Ma perché io mi devo chiamare come un robot degli anni ’80?” |
“Broken trail” è un western crepuscolare, classicissimo
nella forma e asciutto nella sostanza, dove i sentimenti affiorano e
coinvolgono, in modo proporzionale a quanto siete (pre)disposti a questo tipo di
narrazione “da duri”, in cui le cose si fanno e si dimostrano con i fatti e i
gesti, più che con le parole. Il personaggio di “Zio Print” di Robert Duvall
diventa bellissimo quando si perde nei ricordi e si riscopre con innato istinto
paterno e incredibilmente anche in vena di romanticherie, con la prostituta
maltrattata tirata a bordo ed interpretata da una convincente Greta Scacchi.
ai protagonisti e nel finale sembra di rivedere la conclusione di Strade di fuoco, con una piccola, ma
sostanziale variazione che è la fine che, in fondo, uno spera per un personaggio
come quello di Thomas Haden Church, compassionevole con le ragazze e risoluto
con i bastardi.
di tipi tosti insieme un po’ per caso, che battibecca non proprio come Jack e Reggie, ma i loro dialoghi sono,
comunque, riusciti e molto efficaci. Inoltre, quando l’azione scoppia, lo fa in
maniera veloce e potente, l’ultimo duello è una sparatoria grezza, ma efficace,
specialmente dopo tre ore in cui ormai, a questo personaggi e ai loro destini,
un po’ ti sei anche affezionato.
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Un’altra coppia di duri, nel cinema del nostro Gualtiero. |
Per la seconda volta nel corso della rubrica dopo Wild Bill, mi ritrovo a citare il
recente romanzo di Joe R. Lansdale “Paradise Sky” che mi è tornato in mente
guardando “Broken trail” perché parecchi capitoli li dedicava anche al rapporto
tra un tosto cowboy (nero) e alcune ragazze cinesi, solo che il libro di
Champion Joe è del 2015, mentre la miniserie televisiva di Walter Hill del 2006
e quando dico che il nostro Gualtiero è un pioniere in grado di battere per
primo la strada che altri seguiranno, mi riferisco anche a cosette come questa.
contribuito al genere western con capolavori come I cavalieri dalle lunghe ombre e che, per tutta la sua magnifica fotografia, ha continuato a cavalcare
per le praterie del West in diverse forme,
in diversi generi, più moderni oppure
più classici, anche in trasferta sul
piccolo schermo non perda l’unica caratteristica che per un regista conta
davvero – per uno di quelli bravi per lo meno – ovvero il cinema.
“Broken Trail” si è portato a casa un Emmy nel 2007 come
miglior miniserie televisiva e anche i due protagonisti sono stati premiati,
rispettivamente come miglior attore e miglior attore non protagonista, ma la
verità è un’altra: “Broken Trail” puoi vederlo in tre ore di fila sullo schermo
del Torino film Festival, puoi sparartelo in due parti sulla televisione di
casa (che sia AMC oppure sul DVD), ma la grandezza del cinema di Walter Hill non
si lascia influenzare dal formato, come i nativi americani, lo sguardo di Hill
è abituato ai grandi spazi, per questo appartiene al genere western, per questo
appartiene al grande cinema.
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Il Rock ‘n’ Roll di tutti i generi cinematografici: Il Western! |
Prossima settimana – purtroppo – il viaggio di questa
rubrica arriverà alla fine, ma abbiamo ancora un ultimo capitolo da affrontare prima
e se per tutta la vostra vita siete stati afflitti dal problema di un nome
imbarazzante da portarvi dietro, tra sette giorni conosceremo qualcuno messo
peggio di voi, credetemi. Non mancate!