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Bug – La paranoia è contagiosa (2006): ho degli insetti nella mia stanza

Questa Bara non si prende alcuna responsabilità se da qui alla fine del post, avrete quella fastidiosa sensazione di sentirsi “camminare addosso” da zampe e zampette, correte questo rischio con il nuovo capitolo della rubrica… Hurricane Billy!

Il problema con i medici è che quando cominci a frequentarli, inizi a parlare come loro. Insufficienza cardiaca congestizia, una delle cause poteva essere il diabete mellito non insulino-dipendente, effetto collaterale dell’operazione (della durata di sei ore) per una stenosi spinale a cui William Friedkin si era sottoposto. Non ci avete capito niente? Nemmeno io, ma detta in parole povere vuol dire malessere fisco e una crisi anche spirituale per il nostro Billy.

Ma quando piove grandina, ricoverato d’urgenza dopo una corsa in ospedale in ambulanza, Friedkin si ritrovò con un triplo bypass alle prese con il complicato recupero dopo una parziale rimozione e ricostruzione dello sterno, nella sua autobiografia Billy racconta che tutto quello che riusciva a pensare in quei momenti era oltre alla moglie Sherry, al fatto che in vita non avrebbe lasciato niente di duraturo in caso di dipartita. Permettimi di dissentire Billy.

Mesi di complicata fisioterapia per tornare quasi in forma, tutti caratterizzati dalla testardaggine che al regista di Chicago non è mai mancata, al ritorno al lavoro lo attendevano Puccini, ma anche “Sansone e Dalila” portato in scena a Tel Aviv nel 2005 e l’Aida, nello stesso anno a Torino, dopo The Hunted, però, le offerte dal mondo del cinema latitavano, ma fu proprio dal teatro che l’uragano trovò un altro modo per tornare a soffiare.

Ho degli insetti, ho degli insetti nella mia stanza / Insetti nel mio letto, insetti nelle mie orecchie

Degli amici di New York consigliarono al nostro Billy una pièce teatrale scritta da Tracy Letts intitolata “Bug”, prima dell’ultima replica nel Greenwich Village Friedkin si accaparrò un posto senza far perdere tempo alla sua signora, nel caso si fosse trattato di un bidone, era l’autunno del 2004 e nel lavoro di Letts il regista di Chicago ritrovò i tratti del miglior Pinter, quello da cui anche lui aveva cominciato.

“Bug” era la seconda opera di Tracy Letts, aveva vinto un sacco di premi off-Broadway ed era tutta ambientata in un singolo ambiente con una manciata di personaggi, la storia è quella di Agnes che tira a campare facendo la barista in un locale dell’Oklahoma, domiciliata presso una stanza d’albergo in stile Bates Motel dove vive nel terrore, il telefono suona a vuoto e lei sa che potrebbe essere l’ex marito violento, uscito di prigione che l’ha torturata per anni, almeno da quando sui figlio Llyod si è perso in un supermercato sotto gli occhi della madre, senza essere mai più ritrovato.

Nella vita di Agnes arriva Peter Evans, silenzioso, educato, quasi docile, uno che sostiene di essere stato un soldato durante la guerra del Golfo e che “loro” abbiano fatto su di lui terribili esperimenti, riempiendo l’incavo dei suoi denti di afidi potenziati geneticamente, allo scopo di controllare le persone, insomma ci manca solo il delirio sul 5G poi il quadretto è completo, ma Agnes, apparentemente tosta, ma fragile e scossa al suo interno, comincerà anche lei a credere ai deliri di Peter, perché, come sottolinea il ridondante sottotitolo italiano del film, la paranoia è contagiosa.

Le loro uova nella mia testa, insetti nelle mie tasche / Insetti nelle mie scarpe, insetto è come mi sento nei tuoi confronti

“Bug” era un’opera teatrale nata per sfidare le aspettative del pubblico, ha molto della “commedia della minaccia” che Friedkin ha imparato a maneggiare da Pinter e che fanno parte della poetica del regista di Chicago: drammi da camera chiusa (in fondo anche il suo film più famoso un po’ lo era), in cui di comico non c’è quasi niente, ma di minaccioso e inquietane sì, parecchio. A mio avviso, uno dei titoli più sottovalutati del nostro Billy, perché il suo “Bug” non somiglia a quasi nessun altro film, ma anche senza dover condividere una sola parola del contenuto dei deliri paranoici e cospirazionisti di Peter, resta un film in grado di farvi sentire sporchi, con tante zampette invisibili che vi camminano addosso, sospettosi dei confronti persino dei vostri cari, insomma “Bug” ha qualcosa di Kafkiano che ha attirato subito il regista delle zone d’ombra.

Insetti alla mia finestra che cercano di entrare / Non vanno da nessuna parte, aspettano, aspettano

Tracy Letts, autore della sceneggiatura insieme a Friedkin si lasciò convincere dal nostro Billy che con un paio di scene fuori dalla stanza (il bar dove lavora Agnes e un flashback sulla scomparsa di suo figlio), la sua opera teatrale sarebbe stata benissimo anche al cinema, anche perché lo stesso Letts aveva tentato in passato di fare l’attore  (un’audizione per “Love Boat” e poco altro), mentre sua madre Billie aveva scritto un best seller intitolato “Where the heart is” (storia vera), quindi un grande uomo di cinema come Friedkin con la testa sulla spalle, poteva essere quello giusto per portare “Bug” la cinema, ora ci voleva solo qualcuno disposto a finanziarlo un film tanto assurdo.

La Lionsgate aveva tutte le caratteristiche, una casa di produzione specializzata in horror era molto interessata a produrre un film, anche solo per poterlo pubblicizzare come “Dal regista di L’esorcista”, bastava incassare abbastanza prima che il pubblico si accorgesse che l’orrore di “Bug” era più psicologico che fatto di vomiti verdi e teste rotanti, su un punto Tracy Letts e Friedkin erano irremovibili, però: il ruolo di Peter Evans doveva essere affidato all’attore che interpretava così bene il personaggio anche a teatro, uno dei prediletti di questa Bara, Michael “Capoccione” Shannon.

Insetti sul mio soffitto, hanno affollato il pavimento / In piedi, seduti, in ginocchio, alcuni bloccano la porta

Con esperienza in una ventina di piccoli ruoli senza aver mai sfondato per davvero, secondo Friedkin, Shannon era l’attore più concentrato mai diretto da lui in carriera, capace di scattare in un attimo ai due poli opposti dell’emotività umana, anche se la Lionsgate avrebbe voluto qualcuno di decisamente più famoso per il ruolo, la mediazione trionfò grazie alla scelta della protagonista, Ashley Judd per la casa di produzione era un nome abbastanza di richiamo, Friedkin dopo il provino la ritenne perfetta, perché aveva davvero capito il personaggio di Agnes, inoltre Ashley Judd aveva recitato in “Qui dove batte il cuore” (2000), il film tratto dal romanzo scritto dalla madre di Tracy Letts (storia vera). Se io fossi un Peter Evans a questo punto, vi tirerei su un pippone paranoico per dimostraci che tutto questo fa parte della LORO cospirazione.

E ora la domanda è: li uccido? Divento loro amico? Me li mangio? Crudi o ben cotti?

Siccome il rurale Oklahoma era un po’ costoso, per contenere i costi Billy andò a girare in Louisiana, stato che grazie ad una politica sulle tasse favorevole, incentiva le tropue a girare da quelle parti, assoldando personale e manovalanza sul posto creando così impresa, basta dire che la stanza d’albergo dove si svolge buona parte del film è stata ricostruita in un liceo locale, per altro, andato distrutto dopo il passaggio dell’uragano Katrina che colpì quelle zone poco dopo la fine delle riprese. Anche qui, ci sarebbe un bel gancio per un po’ di teoria del complotto, consideratevi fortunati.

Il cast si completò con due attori scovati dal direttore del casting: Lynn Collins nei panni di R.C., l’amica che tenta invano di salvare Agnes dal gorgo della paranoia più nera e Brían F. O’Byrne che entra in scena nei panni del misterioso Dr. Sweet, anche se è divertente ricordare come Billy abbia trovato l’attore giusto per il ruolo del violento ex marito della sua protagonista. Ad una festa tra amici a Las Vegas, Friedkin finì a chiacchierare con Jill Goodacre, molto interessata agli aneddoti sulla realizzazione di L’esorcista e per altro ex modella di Victoria’s secret, Billy si sentì battere un ditone sulla spalla, era l’attore Harry Connick Jr. due spanne più alto del regista che gli disse: «Non pensi di aver parlato abbastanza con mia moglie? Ma no scherzo ti prendevo in giro!», Billy non ebbe dubbi e affidò a Connick Jr. il ruolo del marito di Agnes (storia vera).

Li inganno? Non penso siano così stupidi / Mi unisco a loro? Mi sa che questa è quella giusta

Cinque attori, l’angosciante colonna sonora di Bryan Tyler, una stanza d’albergo ricreata ad arte che, grazie all’intuizione geniale dello scenografo Franco-Giacomo Carbone, si trasforma progressivamente in una trappola per insetti con carta moschicida dalle pareti e stagnola per schermare i segnali (ad un certo punto Ashley Judd e Michael Shannon sembra che stiano recitando all’interno di un Kebab a porta via), insomma la tavola era apparecchiata perché William Friedkin potesse tornare ad essere un regista cinematografico, perché il nostro Billy è così: dato puntualmente per (artisticamente) morto, ogni tanto piazza una zampata come “Bug”.

La cosa più banale da dire su questo film è che si tratta di una lenta discesa nella follia, più corretto sarebbe dire che è una di quelle storie che si guarda per capire dove voglia andare a parare e senza nemmeno accorgersene, ci sei già impantanato dentro con tutte le scarpe, invischiato proprio come Agnes, anche perché William Friedkin utilizza tempi, spazi e attori con una maestria affilata negli anni grazie a tanti drammi da camera, allenato a parlare del male in grado di “possedere” le persone in preda alle loro ossessioni sempre più brucianti, mai come in questo caso mi sembra l’espressione più indicata.

La stanza d’albergo è una rappresentazione dello stato mentale della protagonista: fuori la desolazione del deserto dell’Oklahoma, dentro un posto tutto sommato sicuro, un piccolo spazio dove trovare una tregua (armata) dalla minaccia del marito e dal senso di colpa per il figlio scomparso. In questo ambiente non proprio asettico, ma stabile, arriva il virus di Peter che (come tutte le infezioni) si manifesta come ben poco minacciosa, educato, silenzioso, quasi una presenza rassicurante che pian piano prende il sopravvento.

Ho degli insetti sulla mia pelle, stuzzicano la mia nausea / Lascio che succeda di nuovo, prevalgono sempre loro, li vedo che mi circondano, li vedo

Quando Agnes fiuta la fregatura cerca anche di cacciarlo via, ma grazie alla sua confessione di ex soldato in fuga da terribili esperimenti, Agnes gli apre letteralmente la porta, in questo caso del bagno dove si era barricata (perché Friedkin è bravissimo a fare anche della stanza d’albergo quasi un personaggio nella storia) e da qui in poi “Bug” diventa un sassolino che rotola fino a creare una valanga. Sembra quasi che più Ashley Judd diventi piccola e fragile cedendo ai racconti paranoici di Peter, più Michael Shannon salga di colpi, il suo capoccione diventa sempre più grosso, la sua prova di recitazione più energica, trascinante, sempre in equilibrio tra l’essere spaventoso e quasi fragile, mentre racconta quello che “LORO” gli hanno fatto, anche quando parla di macchine che puoi sentire sempre in movimento mentre dormi, oppure quando elenca la differenza tra le cimici e gli afidi.

Il tutto mentre l’ambiente intorno ai protagonisti diventa sempre più sudicio e disordinato, più Peter parla di uova di afidi nascoste in capsule dentro ai denti, più ci sembra di poterli quasi vedere quei dannati affari pieni di zampette, a camminare da tutte le parti. Persino la scena di sesso tra i due protagonisti, viene diretta da William Friedkin sulle note della colonna sonora alienante di Bryan Tyler, come se fosse un esperimento scientifico, come il rituale di accoppiamento di due insetti, per altro, con un utilizzo della musica davvero micidiale.

Li vedo decidere il mio destino, oh, quello che una volta, una volta dipendeva da me, ora è troppo tardi

A sottolineare quanto la stanza d’albergo si trasformi con il passare dei minuti nella fossa sempre più stretta scavata dagli stessi protagonisti, ci pensano l’uso della musica fatto da Friedkin e il montaggio sonoro: nelle poche scene all’aperto si sente un costante ronzio di elicotteri in sottofondo, che diventa sempre più forte con il passare dei minuti, come a voler sottolineare che qualcuno stia davvero tenendo d’occhio i protagonisti, inoltre spesso la musica fa capolino in modo diegetico nella storia, come quando si sente dell’Heavy Metal nel momento più drammatico del dente, solo per scoprire che è la musica che arriva dall’autoradio di una macchina appena parcheggiata davanti alla stanza. In 102 tiratissimi minuti, Friedkin tumula vivi i suoi protagonisti in una stanza che è la perfetta metafora della loro condizione, facendo crescere in noi spettatori un senso di claustrofobia che levati, ma levati proprio.

Il film rende alla perfezione l’attaccamento di una mente in cerca di risposte a domande complesse, a chi pensa di averle tutte, in linea con gli studi che sottolineano come in un gruppo, a prendere il comando siano sempre i soggetti dal profilo psicologico più contorto, per quello che mi riguarda, poi, trovare una coppia di attori più azzeccati di quelli pescati da Friedkin era quasi impossibile, capisco anche perché abbia fatto quadrato intorno a Michael Shannon, autore di una prova monumentale e più o meno da questo film, uno di quelli che vorrei veder recitare in tutti i film.

Il crollo verticale della sanità mentale della protagonista, condotta per mano già nella tana del bianconiglio, insieme ad uno Stregatto paranoico e capoccione, è uno di quei film che ti s’incolla addosso, ti fa sentire sporco e ti fa guardare il mondo con più sospetto, il suo finale è quanto di più Kafkiano possibile, la conclusione del delirio di onnipotenza vede i due protagonisti, unici perché unici nel sapere la verità, al centro del mondo, anzi di un mondo fatto di paranoie che si sono scavati da soli, l’unica soluzione per loro è già segnata fin dall’inizio. Ecco perché, allo stesso modo, noi spettatori, quando iniziamo a guardare “Bug”, non possiamo più staccargli gli occhi di dosso, tirati dentro il gorgo dal gioco cinematografico creato ad arte da Friedkin.

Ho degli insetti nella mia stanza, uno contro uno / Questo era quando avevo un’occasione

“Bug” uscì in un numero limitato di copie, da noi direttamente per il mercato dell’home video, pubblicizzato come da intenzioni della Lionsgate come “Un horror dal regista di L’esorcista”, scelto per partecipare fuori concorso al festival di Cannes, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, quella che, come sottolinea ironicamente lo stesso Billy nella sua autobiografia, di norma è dedicata ai giovani attori, il film si portò a casa applausi e un premio per il nostro, classe 1935, con buona pace della gioventù. Anche se Michael Shannon e Tracy Letts per essere accanto al loro regista, dovettero pagarsi di tasca loro il biglietto aereo per la Francia, perché la Lionsgate aveva terminato i budget disponibile per questo film sugli insetti (stora vera).

“Bug” è uno dei titoli più riusciti e coerenti con le tematiche care al regista di Chicago, un film in grado di restarti incollato addosso, a detta del regista la tipologia di progetto che da qui alla fine della sua carriera vorrebbe sempre dirigere, sbattendosene del botteghino, perché tanto ormai gli anni di gloria Billy sa bene di averli sorpassati da tempo.

Ora mi fermerò, mi metterò nudo, e con loro diventerò una cosa sola.

Ecco perché un giorno, nell’estate del 2009, mentre Billy era impegnato con il Trittico di Puccini, ricevette una telefonata proprio da Tracy Letts. Già, perché “Bug” era la sua seconda opera teatrale, ma la prima, scritta alla tenera età di venticinque anni nel 1991 aveva un altro titolo, seppure molto simile alla tipologia di film che piacciono tanto a Friedkin: «Ehi Bill, ti potrebbe interessare un film tratto da “Killer Joe”?» (storia vera).

In linea di massima Billy era interessato, ma di questo parleremo tra sette giorni, ultimo venerdì dedicato a William Friedkin, ultimo capitolo della rubrica “Hurricane Billy”, non vorrete smettere di leggere proprio ora, no?

Sepolto in precedenza venerdì 4 febbraio 2022

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