Chi può uccidere un generale nel suo letto? Rovesciare i dittatori se sono rossi? Fottutissimo uomo! Uomo della CIA! Con questo inizia in musica vi do il benvenuto al nuovo capitolo della rubrica… Coen, Storia vera!
La parte più succosa di un post su “Burn After Reading” (con, come al solito, inutile sottotitolo italiano annesso) sarebbe raccontarvi di quella volta in cui a Venezia, dopo la sfilata sul tappeto rosso con Clooney color “terra di siena bruciata” in viso per il trucco (ma perfetto nelle foto) e una totalmente ignorata Tilda Swinton, che firmava anche le cambiali, con la sfiga di sfilare dopo il generatore di urla femminili umanoide Brad Pitt, i miei compari ed io (Ciao Elisa, ciao Sergio!), con la sola volontà di tornare ognuno al proprio albergo, ci siamo ritrovati incastrati nel mezzo della festa in spiaggia organizzata da George Clooney, storia vera, talmente assurda da sembrare quasi sceneggiata dai Coen.
Quell’anno al Lido, come da loro abitudine, i fratellini portavano una nuova commedia “defaticante” ma strapiena di cinismo che aveva tutti gli occhi addosso dopo il successo di Non è un paese per vecchi, come al solito quando i Coen tornano alla commedia, qualcuno storce il naso, anche in troppi, perché “Burn After Reading” non ha nessuna colpa, se non quella di fare veramente ridere e farti pensare: «Ma davvero siamo tutti così scemi?» In tal senso la risposta dei fratelli del Minnesota è lapidaria.
Per questo film il regista a due teste raduna tutta la banda, unico cambio in stile cestistico la fotografia, siccome amano viziarsi, questa volta i Coen hanno potuto lavorare “solo” con Emmanuel Lubezki, robetta, sapete, tocca accontentarsi. “Burn After Reading” inizia da molto lontano, dallo spazio, per zoomare tramite inquadrature che ricordano volutamente i satelliti spia, sulle vite dei personaggi fino ad arrivare al dettaglio, le scarpe di John Malkovich che stacchettano sul pavimento degli uffici della CIA, il suo analista Osbourne Cox viene chiamato a colloquio dal capo, per quello che è il più classico dei licenziamenti passivo aggressivi, una scena esilarante in cui il personaggio offre una nuova definizione di mormone e si esibisce nella crocefissione. Un vero peccato che Malkovich non sia entrato a far parte in pianta stabile degli attori feticcio dei Coen, qui forse è stata l’ultima volta in cui il suo calibro si è fatto valere, prima di imboccare una filmografia di apparizioni in filmetti.
Chi invece faceva già da tempo parte della “Factory” di attori coeniani è Richard Jenkins, l’unico altro personaggio insieme a Osbourne Cox a non essere mossa apparentemente da manifesto egoismo. L’analista della CIA cerca con il suo memoriale di ribadire al mondo di aver avuto una vita e una carriera importante, anche se così non è stato, il gestore della palestra Ted Treffon, impersonato da Jenkins prova un sincero sentimento nei confronti della collega Linda Litzke (la solita, bravissima, Frances McDormand) e proprio in virtù di quello, verrà tirato dentro ad un non-complotto delirante e finirà per pagarne il prezzo.
Come al solito nei film dei Coen i personaggi sono mossi dai soldi e dall’avidità, Osbourne Cox e Ted Treffon, sembrano gli unici personaggi incongrui in un mondo di idioti che in quanto tale, sembrano comandare, o per lo meno, mettere in modo gli eventi, si va dall’algida moglie di Cox, Katie (Tilda Swinton), che non appena fiuta le dimissioni/licenziamento del marito con nuove ambizioni da scrittore, si cerca un avvocato divorzista per poter essere libera di mantenere il suo stile di vita piccolo borghese, con tanto di inevitabile amante, Harry Pfarrer (George Clooney), patetico sessuomane che nel poco tempo libero che gli resta tra le scappatelle extra coniugali, il sesso occasionale con donne single conosciute sui vari siti di incontri e l’ossessione per la corsa, è impegnato a costruire qualcosa di apparentemente minaccioso nello scantinato di casa, in gran segreto dalla moglie, che anche lei a ben guardarla, sembra una fotocopia di Katie Cox, per lo meno negli intenti e nello stile di vita.
“Burn After Reading” ha potuto contare su una bella pubblicità fornita proprio dal cast, la presenza di Clooney è stata cavalcata, tanto che questo film rappresenta il terzo ed ultimo capitolo della “Trilogia dell’idiota” iniziata con Fratello, dove sei? dove Clooney era in fissa per i capelli, Intolerable cruelty (no il titolo italiano non lo uso) dove era ossessionato dai suoi denti e conclusa qui, dove il personaggio è un pavone che pensa sempre a consumare le sue energie.
A completare il quadretto abbiamo l’irresistibile prova di Frances McDormand nei panni dell’iperattiva Linda Litzke, superati gli ‘anta pensa solo alla chirurgia estetica per reinventarsi, il CD-Rom con il memoriale di Cox perso nella palestra dove lavora, diventerà l’occasione per trovare i soldi per tutta la sua liposuzione e mastoplastica.
L’agente del caos con i capelli brutti qui, non è impersonato da Javier Bardem, ma dall’altro nuovo arrivato nella scuderia dei Coen, un Brad Pitt che sembra il primo a divertirsi nei panni dello scemissimo Chad Feldheimer, quello che per non restare indietro si ritrova sulla linea del fronte dell’assurdo piano messo su da Linda. Inutile girarci attorno, Pitt è anche al centro di tutte le scene più riuscite e divertenti del film, il balletto, l’assurda telefonata notturna a Cox, ma soprattutto l’operazione da infiltrato, volete il singolo momento più da sganasciarsi del film secondo me? L’assoluta e totale faccia da fesso che mette su Brad Pitt quando spunta dall’armadio, un attimo prima che i Coen facciano i Coen, trovando il modo di spargere sangue malamente anche in questa commedia, per quanto molto caustica.
“Burn After Reading” funziona alla grande anche perché i due fratelli del Minnesota come al solito, dimostrano di conoscere i generi cinematografici e di poterli anche smontare a loro piacimento, il film è costellato di momenti in cui come spettatori, siamo totalmente calati nel linguaggio cinematografico tipico del genere spionaggio, qualche esempio? Clooney che per strada correndo, si ferma e si volta a guardare un’automobile che accelerando di colpo, sembra che lo stia pedinando, oppure l’inquadratura alle spalle della moglie di Harry Pfarrer, che sembra stare scrivendo qualcosa di fondamentale al computer, osservata dal punto di vista di un personaggio esterno (che poi è anche il nostro, quello degli spettatori) mentre in realtà sta solo cercando informazioni sul marito. Tutti momenti da finta Spy-story che sottolineano la natura idiota dei personaggi e che per certi versi, sembrano dire a noi spettatori: avete presente tutte quelle scene di tensione al cinema che vi piacciono tanto? Spesso sono dei grandissimi niente, solo con la musica e il montaggio giusto.
Il mondo messo su dai Coen in “Burn After Reading” non ha nessun senso, è una favola comica senza morale ma costellata di momenti assurdi, perché assurda è la natura umana, non è un caso se la chiosa finale, l’ideale epilogo sia affidato ad uno che in teoria, dovrebbe essere esperto di intrighi e che in realtà, nemmeno lui ci ha capito nulla («Cosa ci ha insegnato questa storia? Niente») ovvero il direttore della CIA in persona, fatto a forma di J.K. Simmons che è la perfetta conclusione di un film che non a caso, si conclude come è iniziato, con uno “zoom out” verso la Terra, vista dallo spazio, che continua a ruotare, anche se è popolata da idioti. La critica dei Coen non avrebbe potuto essere più chiara di così.
Personalmente devo aggiungere che tra tutte le commedia firmate dai Coen, “Burn After Reading” forse non sarà la più memorabile, perché ha la colpa di essere stata orchestrata (il che vuol dire, scritta, montata e diretta) così bene da sembra uno di quei titoli che chiunque potrebbe girare con gli amici nel fine settimana, niente di più sbagliato. Inoltre ha una carica satirica impressionante, dietro ogni sorriso e azione sciocca dei personaggi, oltre al risultato di riuscire a far ridere nell’immediato, si nasconde una critica spudorata alla razza umana, questo film è il riassunto di quello che i fratelli Coen pensano quando guardano la nostra società e il risultato, non è certo uno sguardo benevolo, tutt’altro.
Menzione speciale al geniale pezzo sui titoli di coda, il brano dei The Fugs del 1967 intitolato “CIA Man” che non ho mai smesso di canticchiarmi ogni tanto, così a caso, dalla prima volta al Lido dopo la proiezione di questo film (storia vera). Un pezzo dall’anima beatnik, dalla struttura semplice, il contenuto altamente irriverente e capace di piantarsi in testa a lungo, non riesco a trovare un paragone migliore per descrivere anche “Burn After Reading”.
Who can kill a General in his bed?
Overthrow dictators if they’re Red?
Fucking-a man!
CIA Man!
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