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Candyman – Terrore dietro lo specchio (1992): oh, the Candyman can

Il mantra di un celebre classico di John Ford recitava che nel West, se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda. Al Cabrini-Green invece a vincere è la leggenda urbana, quella di Candyman.

Senza nemmeno doversi mettere davanti allo specchio a ripetere il suo nome cinque volte, Candyman sta per tornare sceneggiato da Jordan Peele, quindi mi sembra doveroso un ripasso del film che ha messo il regista Bernard Rose sulla mappa geografica.

Un oggettino davvero strano questo “Candyman”, tratto da un racconto breve, anzi brevissimo di Clive Barker intitolato “The Forbidden”, quasi interamente incentrato sulla protagonista Helen, in cui mancano molti degli elementi che hanno reso iconico il film, a partire dall’invocazione dell’uomo nero, pronunciando il suo nome allo specchio cinque volte di fila, che è tutta farina del sacco di Bernard Rose.

“Candyman” funziona così bene per tante ragioni, non ultima il suo essere arrivato per certi versi fuori tempo massimo, perché il film di Bernard Rose ha tutte le caratteristiche di un horror degli anni ’80, anche se è uscito nel decennio successivo e per sua stessa natura, risulta troppo romantico (parolone!) per lanciare per davvero un’icona horror come l’uomo nero con l’uncino che ha reso Tony Todd un attore di culto, anche perché ammettiamolo, Todd aveva un uncino nel suo destino, visto che nella prima scena del suo primo film da protagonista, il remake di La notte dei morti viventi diretto da Tom Savini, si presentava al pubblico proprio con un arpione in pugno (storia vera).

«Ha bisogno di appendere il cappotto signora? Serve una mano?»

Certo “Candyman”, da noi appesantito dal solito sottotitolo abbastanza inutile ha avuto un paio di seguiti, non proprio dei filoni, che hanno comunque permesso a Tony Todd di farsi una carriera nel cinema horror, ma il film di Bernard Rose gioca proprio in un campionato tutto suo. Per certi versi potremmo quasi considerarlo l’eterno scontro tra il potere della cultura popolare opposto alla logica della società, quella differenza di potenziale che genera mostri ancora oggi, visto che in tanti preferiscono affidarsi alle credenza popolari piuttosto che credere alla scienza, ma sarebbe un discorso fazioso da fare, si finirebbe per passare per uno di quei cinefili con gli occhiali e la pipa che devono per forza nobilitare un B-Movie che non ha bisogno di tutto questo, perché è già nobilissimo di suo.

Bernard si esibisce nella famigerata NUCam.

Già un B-Movie, il compositore Philip Glass si è rifiutato per anni di pubblicare il disco con la colonna sonora completa, una meraviglia sinistra e inquietantissima con quel suo xilofono, perfetta per l’atmosfera del film e che ha contribuito al successo del film impreziosendolo. Glass considerava “Candyman” solo lavoro, un filmastro horror con un assassino, il compositore ci ha messo anni a capire quanto il film fosse speciale, anche grazie alla sua notevole colonna sonora, che non ha nulla da invidiare con i grandi temi musicali, degli altri mostri come Freddy, Jason o Michael.

“Candyman” è una favola nera, in cui il riferimento al colore è particolarmente importante, infatti Bernard Rose apre la pellicola sul quartiere del Southside di Chicago, il più nero e popolare della città, che il regista inquadra dall’alto come se le case fossero un enorme alveare urbano di cemento, un luogo non abbastanza vecchio per avere dei miti e che quindi ha elevato a tali le leggende urbane.

«Gli uomini producono il male come le api il miele» (cit.)

Ma al Cabrini-Green nessun coccodrillo nelle fogne, qualcosa di ben più pericoloso, la leggenda di Candyman, l’uomo nero degli incubi che viene a prenderti con il suo uncino se pronunci il suo nome cinque volte di fila davanti allo specchio, infatti il film comincia proprio così, portando in scena una leggenda urbana con una baby sitter e quel mito di Ted Raimi, nel ruolo del “classico bravo ragazzo”.

Il mitico Ted Raimi in versione Fonzie, hey!

Le leggende metropolitane sono proprio al centro dello studio sul folklore moderno, portato avanti dalla studentessa universitaria Helen Lyle, interpretata dalla bella Virginia Madsen, qui nel ruolo della donna più bianca d’America, magneticamente attratta dalla storia tragica di uno schiavo torturato e ucciso in modo brutale, tornato come Candyman, pagano difensore di un quartiere dimenticato da tutti, dove vivono gli ultimi degli ultimi, talmente decadente da non meritarsi nemmeno uno Spider-Man qualunque, ma l’uomo nero delle fiabe, quello con cui si minaccia il sonno dei bambini, lo sconosciuto da cui non accettare le caramelle, Candyman appunto. Anche le riprese non sono state affatto semplici, come Walter Hill per i suoi Guerrieri della notte, anche Bernard Rose e la produzione sono dovuti scendere a patti con gli unici in grado di garantire la sicurezza sul set, ovvero le bande locali, pagate per evitare furti e danni che comunque, gli ultimi giorni di riprese sono avvenuti lo stesso (storia vera).

Il peggior bagno della Scozia del Southside di Chicago (quasi-cit.)

Helen Lyle incarna alla perfezione il ruolo della scettica, la Dana Scully di turno, i suoi studi sulle leggende metropolitane la porta al Cabrini-Green dove risulta un pesce fuori d’acqua ma nemmeno poi così tanto, visto che un suo posto nel mondo Helen non lo ha per davvero, troppo bianca per il pericolosissimo quartiere, ma comunque fuori posto anche dal mondo ricco e intellettuale da cui proviene. Proprio lei più di tutto può riflettersi (occhiolino-occhiolino) nella tragica storia d’amore tra una donna bianca e uno schiavo di colore tragicamente e brutalmente ucciso, tornato come spauracchio, ultimo baluardo per chi non ha niente e deve affidarsi all’uomo nero dei miti nella speranza di avere qualcuno dalla propria parte.

Come detto “Candyman” è un film sospeso nel tempo, i suoi seguiti non sono riusciti nemmeno ad avvicinarsi alla bellezza di questo riuscitissimo B-Movie, proprio perché il suo strano equilibrio tra le parti che lo compongono era una formula molto difficile da replicare. Bernard Rose è bravissimo a replicare una caratteristica propria della prosa di Clive Barker, un autore che come pochi altri ha sempre avuto a cuore gli ultimi della società e che nelle sue storie (e nei suoi film) ha sempre saputo elevare quel serpeggiante senso di malsano a forma d’arte.

Nelle fauci della follia (occhiolino-occhiolino)

Bernard Rose ha saputo portare sul grande schermo quella sensazione di malsana decadenza alla perfezione, il Cabrini-Green è un luogo pericoloso e fatiscente, dove gli innocenti sono pochi e vivono barricati, sembra un incrocio tra la Baltimora di “The wire” e la Whitechapel di Jack lo squartatore. Eppure Helen fuori posto nel suo mondo, per certi versi ha più legami con questo posto che con la porzione di società di cui in teoria, dovrebbe far parte. Inevitabile quindi il suo passaggio attraverso lo specchio, come l’Alice di Lewis Carroll, anche se il coniglio è tutto tranne che bianco e amichevole.

«Quindi fammi capire, cosa dovremmo dire esattamente? Redrum?»

L’entrata in scena di Candyman si lascia attendere, per creare il giusto livello di suspense, ma Tony Todd risulta davvero fighissimo, con il suo cappotto da scafista e l’uncino in una mano che sembra dire ad Edoardo Bennato levati, ma levati proprio.

«No, non sono il capitano Uncino, solo molto più stiloso»

Le api poi, che già di loro per molti rappresentano motivo di terrore, sembrano le migliori amiche di Candyman, anche se sul set hanno creato non pochi problemi: Virginia Madsen allergica a questi insetti, aveva a disposizione sul set un’ambulanza con a bordo tutta l’attrezzatura necessaria in caso di puntura, Tony Todd invece per sua fortuna, non è mai stato allergico alle api visto che sul corpo ne ha avute centinaia e l’unica protezione disponibile per lui, era quella necessaria ad evitare che gli insetti gli si infilassero in gola nella scena in cui Candyman ha la bocca piena di api (storia vera). Perché era il 1992, Spielberg non aveva ancora cambiato il mondo del cinema con i suoi dinosauri digitali, ma in ogni caso Bernard Rose non poteva contare sul budget faraonico alla James Cameron, quindi dimenticatevi le api in CGI, tutto realizzato alla vecchia maniera.

Questa nella classifica del coraggio si piazza subito dopo il ragno in bocca a Sharon Stone.

“Candyman” è una fiaba nera, in cui la protagonista a cavallo tra due mondi, finirà per abbracciarne uno nell’unico modo possibile, perdendo il senno come il protagonista di un racconto di Lovecraft. Questa storia d’amore tragica, con tutte le caratteristiche di uno slasher sovrannaturale degli anni ’80, però uscito all’inizio di un decennio che per l’horror, non sarebbe stato tutto pieno di sangue e sbudellamenti, o per lo meno si lo sarebbe stato, ma il più delle volte timidi e mostrati il meno possibile. Questo fa del film di Bernard Rose un oggettino fuori dal tempo, sospeso a mezz’aria tra gli anni ’80 e i ’90 proprio come la sua protagonista tra i mondi, un titolo diventato di culto con il tempo.

«Baciami stupido», «Non posso, sei allergica alle api»

Si perché nel corso degli anni il personaggio di Candyman si è creato il suo zoccolo duro di appassionati, specialmente tra il pubblico di colore, quello storicamente più bistrattato dal cinema Horror. Il vecchio clichè per cui il nero muore per primo lo conosciamo tutti no? Quindi è piuttosto normale che la comunità abbia elevato Candyman a suo mito, qualche esempio? Nell’NBA i soprannomi per i giocatori vanno forte, quindi è una bella gara a chi si accaparra il più cazzuto, anche per motivi squisitamente commerciali, vuoi mettere poi vendere scarpe e magliette a tema? Ogni tanto il nome Candyman fa capolino, qualche volta timidamente appioppato a qualche giocatore dal tiro particolarmente “dolce” nel rilascio del pallone, ma l’unico che è stato ricordato sul parquet, più per il soprannome che per il gioco è stato Michael Olowokandi, per anni in maglia Los Angeles Clippers dopo aver giocato anche qui da noi in Italia, il giocatore venne soprannominato “Candyman” per via di una presunta somiglianza con Tony Todd o per un’assonanza del cognome. Ma secondo me perché il buon vecchio “Kandi”, era grande e grosso ma tenerone, per via del suo gioco non propriamente da duro.

Il cinema Horror ha lasciato poco ma incisivo spazio alle persone di colore, non sarebbe male fare una panoramica su questa tipologia di titoli, ma finirei per andare eccessivamente fuori tema, quindi diciamo che Candyman si è guadagnato il suo spazio e il suo stato di personaggio di culto. Era inevitabile che prima o poi incrociasse il suo uncino percorso con quello di Jordan Peele, staremo a vedere cosa verrà fuori da queste coppia.

Ed ora, costine per tutti!

Nel frattempo sono felice di avere finalmente questo culto qui sulla Bara e ci tengo a far notare che abbiamo sfatato un mito: nel corso del post ho invocato il nome di Candyman ben più di cinque volte e come vedere non è successo nie… Cassidy si sente battere sulla spalla da un uncino.

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