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Cani arrabbiati (1974): cane mangia cane

Porto avanti questa tradizione che mi piace coltivare nel pieno della “Spooky season” e per la seconda settimana di fila, torniamo a trattare un film di un Maestro del cinema Horror, in una sua sortita, fuori dal genere Horror, ben tornati al nuovo capitolo di… Il Bava Volante!

Reazione a catena avrà anche inventato o comunque marchiato a fuoco il genere Slasher per come lo conosciamo, però alla sua uscita incassò noccioline, se a questo aggiungiamo la difficoltà del regista sanremese nel trovare fondi per i suoi film, problematica ben riassunta dallo scempio fatto al montaggio di Lisa e il diavolo, potete facilmente intuire come mai Mario Bava cercasse soggetti altrove, tipo nei gialli Mondadori.

Il soggetto che Bava padre, mostrò a Bava figlio, ovvero Lamberto, era il racconto “L’uomo e il bambino”, che per altro è diventato anche il titolo di lavorazione del film seguendo le abitudini del regista che non aveva memoria per i titoli definiti dei suoi lavori, tendeva a ricordarsi quelli di lavorazione, ma sfido chiunque a farlo, in particolare per questo, lasciatemi l’icona aperta, più avanti ci torneremo.

“L’uomo e il bambino” era un racconto in tempo reale, un’ora e mezza, proprio come un film, affidarlo ad Alessandro Parenzo e a Cesare Frugoni per trasformarlo in una sceneggiatura era una scelta naturale, tanto che le modifiche apportate di pugno da Bava furono bene poche. I problemi arrivarono dopo, non troppi in fase di riprese, perché per la fortuna del regista il tratto autostradale Civitavecchia-L’Aquila era in fase di costruzione, iniziando a girare il 20 agosto del 1973, Bava completò le riprese in tre settimane, girando le scene in ordine cronologico.

Proprio vero che si conosce qualcuno solo quando ci viaggi insieme eh?

Problemi: la prima scelta per il ruolo di Riccardo, l’attore Al Lettieri, venne licenziato in tronco dopo essersi presentato sbronzo sul set, nel cambio di stampo cestistico la parte finì a Riccardo Cucciolla che però non parlava inglese, per questo molte delle sue battute le ripeteva leggendole parola per parola da biglietti e cartelli tatticamente piazzati all’interno dell’abitacolo dove si svolge gran parte del film, i problemi grossi sarebbero arrivati tutti dopo.

Secondo il figlio Lamberto Bava i casini arrivarono tutti dal produttore Roberto Loyola, a suo padre mancavano giusto alcune scene di raccordo, qualche elicottero e un paio di inquadrature sulle auto della polizia, ma la produzione di Layola fallì facendo cadere il film in un limbo durato una vita.

Sembra che non possa esistere una recensione su “Cani arrabbiati” senza l’aggettivo maledetto, io non ho la pretesa di scrivere recensioni ma commenti, eppure questo film ha passato un vero calvario, invisibile e mitizzato, il suo contenuto e l’impossibilità di vederlo fino agli anni ’90 ha creato attorno a “Cani arrabbiati” una sacrosanta aurea da film mitico, ma qui è necessario fare un po’ di chiarezza, quell’icona lasciata aperta da chiudere mi torna utile.

«…E allora vieni con me, amore, sur grande raccordo anulare, che circonda la capitale»

Nel corso degli anni si sono accumulate versioni su versioni di questo film, addirittura sei, la prima è quella della “Spera Cinematografica” proiettata per la prima volta al MIFED di Milano nel 1995 con il titolo “Semaforo Rosso”, recuperata grazie all’intervento dell’attrice Lea Kruger, che nel film interpreta Maria (la prima delle due che compaiono nel film, quella con più minutaggio) che riuscì a riacquistare i diritti del film dopo il fallimento, grazie alla collaborazione del critico tedesco Peter Blumenstock, questa versione termina con un fermo immagine di Riccardo Cucciolla, con in sottofondo le sirene della polizia, insomma, una sorta di lieto fine, a suo modo, o per lo meno, quello che questa trama ultra cinica può concedere.

La seconda edizione in home video del 1998 “Lucertola Media” mantiene lo stesso finale, ma con l’aggiunta di un prologo, con una donna che piange alla finestra impersonata da Fabrizia Sacchi, la stessa donna che rivedremo nel terzo montaggio del film, quello in cui la donna torna per una telefonata finale che chiarisce la sua identità e apre scenari completamente nuovi. Tenetevi forte, le prossime curve saranno un po’ toste ma siamo a metà del percorso.

Una delle sei versioni del film, sostegno visivo a questa mia tirata.

La quarta versione aggiunge minuti nel finale, Riccardo che sale sulla seconda auto, l’Alfa Romeo rossa e se ne va, facile, la quinta è quella più corposa, perché è il montaggio firmato da Lamberto Bava seguendo gli appunti paterni, con inseguimenti pescati da altri polizieschi dell’epoca, il nuovo doppiaggio e una colonna sonora rivista dallo stesso Stelvio Cipriani. Questo montaggio numero cinque è uscito anche con il titolo “Kidnapped”, malgrado tutti abbiano riconosciuto l’impegno profuso da Lamberto Bava nel preservare l’eredità di famiglia, resta un’edizione che ha fatto discutere, l’ultima invece, trasmessa anche da Sky, è per mia fortuna la prima che vidi ai tempi, non potete mancarla è quella con l’inquadratura nel bagagliaio, per molti e per il vostro amichevole Cassidy di quartiere, anche quella definitiva.

Nel caso vi venisse voglia di rivederlo, al momento in cui vi scrivo lo trovate comodo su Amazon Prime Video, nella versione numero tre, ma se pasticciate tra gli extra, troverete anche la versione giusta con il bagagliaio, quindi occhio.

“Cani arrabbiati” è un viaggio all’inferno, inizia come un poliziesco (smettiamola con il termine “Polizioettesco”) e poi in questa specie di “Road movie” si scava nell’orrore dell’animo umano, solo un regista Horror poteva renderlo speciale, infatti “Cani arrabbiati” è uno di quei “Sudore Movie”, dove percepisci il caldo, lo schifo, lo guardi e alla fine hai voglia di andare a farti una doccia per il malsano che riesce a lasciarti addosso, invisibile per anni ma diventato fondamentale lo stesso, la prova che un film non deve essere perfetto per fare la storia, i film così qui alla Bara hanno un nome e un logo: Classidy!

La trama è semplice, a Roma una banda di criminali composta da Dottore (Maurice Poli), Trentadue (George Eastman) e Bisturi (il cantante del cuore di mio suocero, Don Backy), in fuga dopo una rapina prendono in ostaggio Maria (Lea Kruger), si lasciano morti, feriti e sgommate sull’asfalto nella loro fuga e saltano a bordo dell’auto di Riccardo (Riccardo Cucciolla) padre che sta cercando di portare il figlio malato e avvolto in una coperta all’ospedale. Buona parte del film è tutto ambientato dello spazio ristretto dell’abitacolo, lungo il percorso ci sono poliziotti da evitare, CID da non firmare, rifornimenti da fare e nel mezzo, un immancabile bisogno fisiologico che è la ciliegina su questa torta di schifo umano che Bava riesce a rappresentare così bene in 94 minuti.

Il cantante del cuore di mio suocero. E niente, fa già ridere così, aggiungo solo Storia Vera.

Iniziamo dalle facce, i personaggi saranno tutti degli archetipi, niente di particolarmente originale, ma sono affidati alla persona giusta e grazie ai dialoghi, riusciamo anche a capirne il passato senza bisogno di spiegoni o scene flashback, il Dottore di Maurice Poli è chiaramente il cervello dell’operazione, un calcolatore con la faccia da Antonello Venditti con una sua sorta di etica, che si affida a due tizi decisamente feroci come Bisturi, ben riassunto dal suo soprannome e da Trentadue, quello grosso del gruppo impersonato da uno degli attori feticcio di Joe D’Amato e in fissa con la patata, inutile girarci attorno.

«Trentadue non si riferisce alla taglia delle scarpe, capisci a me»

“Cani arrabbiati” è un film in tempo reale, che mette i suoi protagonisti davanti ad una serie di problemi, il principio hitchcockiano del far sempre succedere cose, in questo caso su vari fronti, interni ed esterni al gruppetto dell’affollato abitacolo, un riassunto del fermento e della rabbia – nemmeno celata – dell’Italia degli anni ’70.

Da un certo punto di vista si resta in pena per Maria, Riccardo e suo figlio, dall’altra vorremmo vedere i tre criminali farla franca evitando i vari problemi, perché sappiamo che dal loro arrivare a destinazione in tempo, è legato il destino dei poveretti che hanno avuto la sfortuna di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato, perché alla fine “Cani arrabbiati” è un thriller con caratteristiche da noir che banalmente, riesce ad inchiodarti allo schermo, malgrado lo schifo manifesto dei personaggi.

Quando Trentadue e Bisturi tormentano Maria costringendola ad urinare davanti a loro, la scena non è uno stupro, non fisico almeno, ma è come se lo fosse, proprio per questo il film risulta sgradevole per contenuti, come un Rape senza per forza la Revenge perché i vari montaggio del film non fanno che sottolineare sempre più il contenuto, sono cani arrabbiati che finiranno per sbranarsi tra di loro in un film grezzo perché non ha niente di carino da dire, e nessuna intenzione di farlo.

Senza “Rape” e senza “Revenge”, ma in ogni caso sgradevole lo stesso.

Bava per la sua regia indugia sui primi piani per trasmettere tutta la ferocia, la paura e il sudore dei personaggi, spesso fa un casino con i contro campi, che normalmente dovrebbero fornire l’immagine speculare, l’altra metà, dove finisce il campo dovrebbe iniziare il controcampo, mentre spesso il regista sanremese li fa sovrapporre all’estremità del campo visivo, una roba da Punk che suona senza conoscere note e strumenti, non il caso di un tecnico come Bava, che non fa altro che rendere l’angoscia di dover stare a breve, se non brevissima distanza in uno spazio minuscolo con persone tanto feroci e pericolose.

Più che ai polizieschi degli anni ’70, “Cani arrabbiati” è stato modello per il cinema venuto dopo, per ritrovare qualcosa di simile, abbiamo dovuto aspettare alcuni modelli americani ma anche qualche film orientale per tornare artisticamente dove Bava era già stato, ancora una volta, prima di tutti, dopo aver creato il Giallo all’italiana (e poi definito), il nostro Gotico, lo Slasher, i Cinecomics ed aver influenzato “Alien”, qui ricorrendo a ben pochi dei colori accesi della sua fotografia (essenzialmente solo la canottiera di Trentadue), Mario bava ha fatto scuola ancora una volta.

Si suda anche a scrivere di questo film!

Nello stesso anno, lui e Sam Peckinpah hanno firmato due film che hanno fatto da modello ai Fratelli Coen e sicuramente a Quentin Tarantino, a partire dal riferimento ai canidi del titolo, Le iene ha pescato da qui anche per l’inquadratura che ha reso celebre e citatissimo il regista di Knoxville, avremmo mai avuto la celebre inquadratura dal bagagliaio di QT senza “Cani arrabbiati”? La risposta la conosciamo tutti.

Spero apprezzerete lo sforzo di non rivelare nulla, ma capite perché la mia versione preferita del film sia l’ultimo montaggio, quello che mette in chiaro quando “Cani arrabbiati” si un film di nerissimo, di un cinismo senza pietà, se sei innocente sei un bersaglio, l’unico modo per sopravvivere è mordere con il doppio della ferocia altrimenti lo faranno gli altri, se aveva un motivo per essere “maledetto” questo film, era nel suo riassumete così lucidamente la natura umana, non potevo non portare questo titolo sulla Bara in occasione dei suoi primi cinquant’anni.

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