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Captain Fantastic (2016): Sweet Child O’ Mine

Sapete che
sono in terapia per disintossicarmi dai trailer vero? Ve ne ho già parlato e devo dire che questo mio percorso di
scoperta dei film senza nessun tipo di anticipazione mi ha regalato la seconda
gioia del 2016, s’intitola “Captain Fantastic” ed è bellissimo!

Il mio
percorso di sedute di terapia e tazze di caffè mi ha tenuto lontano dal trailer e a sentire cosa dice Aldo Magro ho fatto bene, anche perché non riesco a pensare ad un film più
complicato da etichettare e allo stesso tempo semplice da demolire con un
montaggio video di pochi minuti.
Ben (Viggo
Mortensen) vive isolato dal mondo nella foresta da ormai diversi anni insieme
ai suoi sei figli, ognuno con un nome che mettiamola così, non si trova tra i
santi sul calendario, scelto per preservare l’unicità del singolo individuo. Di
unico con ci sono solo i nomi dei ragazzi e delle ragazzi di età differente, ma
anche la loro routine giornaliera e il loro percorso d’istruzione.



Il percorso d’istruzione si percorre di corsa e senza pausa per rifiatare.

Ben Cash cresce
i figlioli con un improrogabile programma fatto di allenamenti fisici e studi
approfonditi, corsa nel bosco, flessioni e allenamenti per difendersi a mani
nude da un aggressore armato, va di pari passo con le conoscenze su caccia e
pesca e letture impegnate, i ragazzi leggono “Lolita” di Nabokov come voi ed
io leggevamo Tiramolla, un allenamento che li rende fortissimi fisicamente e
mentalmente, a differenza degli Americani, che Ben considera iper vitaminizzati
e scarsamente istruiti, ma non solo gli Americani Ben, tranquillo qui in uno
strambo Paese a forma di scarpa non va tanto meglio.

La svolta
arriva quando, sul loro camper famigliare (chiamato Steve) annunciati dalle
cornamuse di “Scotland the Brave” tornano nella nostra società e dovranno riunirsi
con il resto della famiglia, specialmente con l’ostile nonno Frank Langella,
per prendere parte ad un evento che non vi racconto, guardatevi il film e
scopritelo da soli perché Matt Ross, regista e sceneggiatore ha fatto un gran
lavoro.


Matt Ross spiega la prossima scena al suo direttore della fotografia (…Ehm forse).

Chi è Matt
Ross? Il nome potrà dirvi poco e magari anche il titolo del suo esordio alla
regia “28 Hotel Rooms” (2012) che non ho visto, ma la faccia è inconfondibile,
Ross ha recitato ovunque in tv (Oz, Six Feet Under) e al cinema dov’è stato
diretto da tutti Terry Gilliam (l’esercito della 12 scimmie), Scorsese (The
Aviator) e chi più ne metta, qui firma un titolo del tutto imperfetto, in
almeno un paio di passaggi, alcune sottotrame vengono bellamente dimenticate,
ma è un difetto secondario che mi sento pronto a perdonare, davanti ad un film
che miscela con sapienza comicità e dramma, che porta in scena tanti argomenti
grossi e che sa parlare delle contraddizioni che essere genitore comporta in
maniera intelligente e con il cuore in mano.



Per cercare di
darvi un’idea di che film abbiamo davanti, immaginate che il protagonista di “Into
the Wild” di Sean Penn, invece di morire malamente avvelenato da bacche sia
cresciuto, abbia trovato una compagna con cui condividere la felicità (che poi
era anche il messaggio del film) e abbia messo al mondo dei figli, che li
abbia tirati su con l’inflessibilità con cui il Signor. Eckert, ha reso Jed e Matt pronti a sopravvivere in ogni situazione, ma invece d’inculcargli il terrore per la minaccia Rossa, li
abbia lasciati liberi di leggere, studiare, informarsi, tanto che il figlio
maggiore Bodevan si definisce Maoista.

“Le bionde trecce gli occhi azzurri e poi…”.

“Captain
Fantastic”, se pur con un paio di perdonabili dimenticanze, si destreggia
parlandoci dello scontro generazionale tra padri e figli, più in generale tra
gli ideali giovanili e le responsabilità dell’età adulta, tutta roba che gli
ultimi dieci drammoni che avete visto non hanno saputo sviscerare con la stessa
completezza, ma, in compenso, vi hanno fatto venire un principio di orchite.

Il metodo
utilizzato da Ben è ammirevole, di fatto il padre di questa variopinta famiglia
non fa nulla per proteggere i suoi figli dal mondo reale utilizzando bugie di
comodo, anzi s’impegna a dar loro tutti i mezzi necessari per capire ed
essere pronti, quindi niente Natale, perché perdere tempo a festeggiare un folletto
immaginario che indossa i colori di una nota bibita gassata (come la
definirebbe Ben “Acqua sporca), quando puoi ricevere in dono un coltello da
caccia nuovo, nel giorno di Noam chomsky, filosofo che ha davvero fatto
qualcosa di concreto per il mondo?
Ad esempio, ho
amato tantissimo il fatto che per la famiglia Cash la parola “Interessante” sia
bandita, considerata una Non-parola, Ben spinge i figli ad argomentare anzichè a barricarsi dietro questa parola che in realtà non vuol dire nulla… Come
mi piacerebbe che questa regola valesse anche nel mondo reale, anzi, se
potessimo mettere al bando anche “Carino” ne sarei molto felice!


La gioia che solo una gita in famiglia può regalarti.

I metodi
istruttivi di Ben sono efficacissimi, ma anche piuttosto estremi, come nonno
Langella non perderà tempo a dimostrare, per tre quarti di film ti trovi a fare
un tifo pazzesco per la famiglia di protagonisti, addirittura a pensare che il
loro stile di vita possa essere quello definitivo e poi, in maniera sottile ed intelligente,
il film di Matt Ross introduce i dubbi, per Ben e per noi spettatori, ad un
certo punto realizzi che aver scelto il romanzo “Lolita” non è stato casuale,
Ben Cash è quasi come il professore del romanzo di Nabokov, si patteggia per
lui anche se le regole della società lo etichettano come un criminale.

Lo scontro
generazionale non è solo tra i personaggi di Viggo Mortensen e Frank Langella,
ma anche all’interno di Ben stesso, la frase fatta dice che essere genitori è
il lavoro più difficile del mondo, su cosa penso io di tanti genitori è meglio
che non vi dica, quello che posso dirvi è che essere genitore dev’essere una
continua situazione di paradosso, bisogna essere degli amichevoli Hippie che
lasciano i figli liberi, magari anche di sbagliare, ma allo stesso tempo degli
inflessibili Fascisti che impongono regole ferree (“Bisogna vestirsi per
mangiare”).

La migliore resta la bimba mascherata (“Are you my mummy?” Cit.).

Ben Cash
affronta lui stesso lo scontro generazionale tra i suoi ideali giovanili estremi, l’amore e la responsabilità per il bene dei propri figli, il finale che tanto
non vi rivelo (andate a vedervi il film, veloci!) mi è sembrato il più logico e
sensato possibile, il tutto condito da momenti in cui si ride, ma si ride sul
serio, si riflette sul fatto che siamo corpicini fragili pronti a finire in un’urna come cantava Elio e le storie tese e con del buon gusto musicale, la
sovra esposta “Sweet Child O’ Mine
” dei Guns ‘n roses qui assorge a
nuova vita.

Gli attori
funzionano molto bene, in particolare ho apprezzato George MacKay, ma anche la
rossa Annalise Basso che ultimamente è un po’ dappertutto. Ma staremmo qui a parlare della fuffa se non fosse per Viggo Mortensen, per la sua prova scomodo l’aggettivo del titolo:
Fantastic!
Viggo, ad un
passo dai sessanta in una condizione fisica da metterci la firma, per un ruolo
come quello di Ben Cash non basta il carisma e la presenza fisica che, comunque,
a Mortensen non mancano, ci vuole un vissuto per rendere credibile il
personaggio, al buon Viggo non manca nemmeno quello, nella sua lunga
(lunghissima!) gavetta prima di diventare famoso è stato il ribelle
Springsteeniano di “Lupo Solitario”, guarda caso, diretto da Sean Penn, per
chiudere il cerchio con “Into the Wild”. Un personaggio che avrebbe potuto
tranquillamente essere il Ben Cash giovane di un tempo, forse solo più
eccentrico e a Mortensen non manca nemmeno questa.



“Il festival di Cannes è il numero uno, vero ragazzi?”.

Forse la
sapete già perché è vecchia, ma resta il mio aneddoto su Viggo preferito. Tardi
anni ’80, Exene Cervenka
cantante degli X è fidanzata con Viggo, una
sera trova un grosso plico di fogli, sono le poesie scritte dal suo fidanzato
di suo pugno, solo una problema: il mucchio di fogli era ordinatamente
posizionato su un ripiano dentro al frigorifero (storia vera). A quel punto la Cervenka
fa l’unica cosa da fare quando scopri che la persona che vive con te è capace
di certe stramberie. Se lo sposa.

Insomma, la
prova di Viggo Mortensen, il fatto che il film ti prenda per il bavero e riesca
e ti tenga incollato allo schermo fino ai titoli di coda (sulle note di Bob
Dylan), facendoti ridere forte e riflettere in maniera non banale, fa di “Captain
Fantastic” il film sorpresa dell’anno, i difetti ci sono, ma me ne sbatto,
avercene di film come questo, avercene a coppie!
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