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Captain Marvel (2019): ora Thanos lo teniamo per le palle

Chiariamoci subito: guardate su per favore, fatto? Bene, per dovere di cronaca o per il semplice fatto che è il titolo del film, quella lassù sarà la prima ed unica volta in cui mi vedrete scrivere quella roba. Leggo fumetti Marvel da quando sono nato e per me il personaggio si chiama CAPITAN Marvel, finita la prima doverosa precisazione, passiamo alla seconda.

Magari ne avete sentito parlare di sfuggita, no, perché è una notizia che ha inciso sulla vita sulla Terra con un’importanza CAPITALE (si nota il tono satirico? No, perché posso fare anche di meglio se serve), per il fatto di avere un’eroina donna questo film è stato preso di mira da una serie di Troll in rete e non solo, molti dei quali caduti con tutte le scarpe nella notizia – falsa o vera che fosse, poco importa – per cui Brie Larson avrebbe voluto più giornaliste, possibilmente anche di colore, alla conferenza stampa del film. Una cosetta che ha agitato l’Internet come solo queste cose possono fare, ci sta che la questione abbia toccato nervi scoperti, ma tra quelli che sono arrivati a ritenere il film un attacco alla “supremazia del maschio bianco” (mi viene da ridere mentre lo digito, giuro) e quelli che hanno avuto modo di lanciarsi in un’altra crociata da tastiera, mi sembra davvero tutto molto esagerato.

Su IMDB è stata bloccata la possibilità di commentare il film, per via della solita campagna d’odio mediatica, se le persone impegnassero la metà delle energie che impegnano per sollevare questi inutili polveroni attorno a film dedicati a personaggi immaginari (ogni riferimento a fatti, cose, persone o film mosci e già dimenticati è puramente voluto), per dedicarsi a cose più interessanti non sarebbe un mondo più divertente? Voglio dire, ci sono tante cose che si possono fare impiegando bene il tempo libero, tipo insegnare ai cani a giocare a basket! Non sarebbe fighissimo? Già la vedo DBA, “Dog Basketball Association”, con campioni del calibro di LaBrador James oppure Kevin Dudalmata, dai che figo, facciamolo!

Ma si può fare anche con i gatti come Goose se volete: Stephen Catty e Cat Thompson i “Siamese Brothers”.

No, perché se c’è un personaggio che meno si presta alle accuse di “femminismo tossico” e altre amenità del genere è proprio Capitan Marvel, sì, perché il capitano della milizia Kree Mar-Vell è stato il primo supereroe a morire di una malattia del tutto umana come il cancro, in una toccante storia del 1967. Prima di essere sostituito da una valanga di personaggi tra i più disparati, qualche esempio? Una donna terreste di colore (Monica Rambeau che, per altro, è presente anche nel film), un capitano maschio generato in provetta, attorno ai primi anni ’90 (Genis-Vell, uno dei miei preferiti), per arrivare a Phyla-Vell, anche lei nata in vitro, donna e per di più bisessuale, ma per tutti i dettagli sul personaggio, consultate pure Omniverso che ha fatto un lavorone nel riassumere tutte le sue incarnazioni. Ma secondo voi i troll in rete che vivono e muoiono su queste polemiche lo sapevano? No, hanno pensato di prendersela direttamente con l’ultima incarnazione – anche cinematografica – del personaggio, Carol Danvers, la cui colpa è stata quella di essere una donna forte in un film, qualcosa che non è certo una novità assoluta, perché mi pare che le femmine toste nei film esistano da sempre, se poi da maschietti vi sentite minacciati da Ellen RipleySarah Connor, Laurie Strodel’Imperatrice Furiosa e tutti i personaggi femminili di tutta la filmografia di Hayao Miyazaki, beh, questo è un problema vostro, forse dovreste preoccuparvi di quanto siete tosti voi, oppure più semplicemente evitare di precludersi la possibilità di fare la conoscenza di un personaggio dell’immaginario che potrebbe anche piacervi. Se tutti i personaggi con cui siamo cresciuti fossero stati giudicati sulla base di questa filosofia di pensiero targata 2019, avremmo dovuto considerare Rocky e Daniel LaRusso stereotipi di immigrati italoamericani, Rambo un elogio all’interventismo e Robocop accanimento terapeutico che cammina (e spara) e dai su, facciamo i bravi!

La mia unica invidia? A me a carnevale toccava il costume da Cosacco (storia vera) mentre bambine e bambini di oggi hanno tutti i super eroi del mondo, beati loro.

La colpa della Marvel quale sarebbe? Aver fatto uscire il film l’8 marzo? Perché se fosse uscito il 29 febbraio non avrebbe spaccato i botteghini come ha fatto, aspettate che verifico… Sì, lo ha fatto. Forse più della Distinta Concorrenza la Marvel Comics ha sempre saputo guardarsi intorno per capire che facce avessero i loro lettori, per quale tipo di eroi avrebbero potuto fare il tifo. Se negli anni ’70, nel pieno della febbre per i film di arti marziali del maestro Bruce Lee, lanciava personaggi come Shang-Chi e Iron Fist, oggi fa lo stesso al cinema con Black Panther che a me non è piaciuto, ma è un personaggio che ha avuto un impatto culturale facilmente quantificabile, basta dire che i “fratelli” dall’altra parte della grande pozzanghera, sono usciti pazzi per tutto quel: Wakanda forever!

Ormai il pubblico dovrebbe anche aver capito che la Marvel, replicando se stessa al cinema, ha riprodotto sul grande schermo anche la struttura seriale dei fumetti di supereroi che sono tutti interconnessi tra loro sotto l’egida della famigerata “Continuity” Marvel, quindi “Captain Capitan Marvel” aveva svariati compiti da svolgere, nessuno particolarmente semplice, bisogna dirlo.

Con una manovra degna di Maverick, Brie Larson ci spiega come si è infilata nella continuity Marvel.

Il primo tra tutti, raccontarci le origini del personaggio annunciato in una delle scene dopo i titoli di coda di Avengers – Infinity War, qualcuno che dev’essere abbastanza potente da potersi opporre ad uno quasi onnipotente come Thanos, non proprio pizza e fichi, quindi.

Ma “Capitan Marvel” (con la “i”) è un’operazione di retro-continuity ben fatta che si pone come antefatto, non solo per il prossimo “Avengers – Engame”, ma per tutto l’universo Marvel cinematografico. Quindi, il suo primo compito il film lo svolge alla grande, introducendo un personaggio nuovo, però come se fosse sempre stato parte del grande disegno organizzato da Kevin Feige per l’MCU, il tutto anche grazie ad un’ambientazione in pieni anni ’90 – 1995 per la precisione – che oltre a farmi sentire vecchio come la merda, serve a spostare in avanti la decade della malinconia… Guardati le spalle terza stagione di Stranger Things! Il revival degli anni ’90 al cinema è ufficialmente cominciato!

Tastiera e mouse bianchi, monitor con tubo catodico, il rumore del 56k: Anni ’90 bellezza, siamo tornati!

Il film è stato scritto e diretto dalla coppia di registi Anna Boden e da suo marito Ryan Fleck, due che arrivano da drammi e commedie più facili da trovare nei film festival, quindi non proprio a loro agio con il PUNG! PAM! BANG! delle super calzamaglie al cinema, un dettaglio che, bisogna dirlo, si nota, ma nemmeno così tanto, al netto del risultato finale, l’ultima scena è una caciara in cui parte a caso – ma in maniera abbastanza esaltante lo ammetto – “Just A Girl” dei No Doubt a fare da colonna sonora alle botte finali che, forse, sono anche la parte più debole del film, ma trovo che Anna Boden e Ryan Fleck se la siano cavata molto meglio rispetto alla povera Patty Jenkins, in visibile difficoltà quando le è stato chiesto di dirigere come se fosse Zack Snyder.

L’altro compito del film era quello di introdurre proprio il personaggio della “Capitana”, per farlo la storia semplifica i vari passaggi arrivando subito a Carol Danvers (Brie Larson) saltando e, come già fatto per l’Antico di Doctor Strange, fa cambiare sesso ad un personaggio chiave della vicenda, mossa molto azzeccata, perché regala un modello da seguire alla protagonista, più che altro bisognerebbe parlare di difetti veri, tipo lo zampino del “miglior doppiaggio del mondo” che ci mette decisamente del suo, come non adattare “Supreme Intelligence” con una traduzione degna di Google, ovvero Suprema Intelligenza, fregandosene del fatto che nei fumetti da trent’anni il personaggio si chiama “Intelligenza Suprema” – anche se poi nel film veste come Fonzie, ascoltando “Come as you are” dei Nirvana come un adolescente e con un atteggiamento che ti fa un po’ dubitare di tale supremazia – dài, andiamo! Nessuno in italiano dice “Suprema Intelligenza”, esattamente come nessuno direbbe mai Atomica Bionda.

Una capitana, c’è solo una capitana! Una capitanaaaaaa!

Ma il miglior doppiaggio del mondo non si limita a questo, in un momento di genio pensa di tradurre la password del vecchio AOL con “Password del wi-fi”, una scelta del tutto anacronistica per il 1995, bravi, bel colpo, avete chiesto un consulto all’Intelligenza Suprema? Anzi, chiedo scusa, alla Suprema Intelligenza.

Ma orrori di doppiaggio a parte, bisogna dire che “Capitan Marvel” (non ve la scrivo più la questione della “i”) sacrifica parecchio il ritmo nella parte iniziale del film, perché ha il compito di introdurre la guerra tra gli alieni Kree e i verdastri mutaforma Skrull, un nome che a me ha sempre fatto ridere, perché beh, sono una brutta persona.

«TVovi Visibile il nome SkVull?» (Quasi-cit.)

I Kree non potete mancarli, sono quelli che sul loro pianeta natale si muovono in metropolitana (evidentemente l’impero Kree si estende fino all’Hinterland milanese) e possono avere la pelle azzurra oppure la stempiatura di Jude Law che qui interpreta Yon-Rogg, il mentore della protagonista. Mentre gli Skrull sono verdi, hanno le orecchie giganti, il mento strambo e possono prendere le sembianze di quasi chiunque, tranne che di uno schedario, dettaglio che nel film ci tengono a precisare (storia vera).

Ed è qui che “Capitan Marvel” si gioca il suo primo colpo da maestro, perché un verdastro alieno mutaforma con una fama da cattivone spaziale dev’esserlo per forza, no? Così come accade a Carol è tutta la vita che ti ripetono che quelli sono i cattivi e il loro capo è interpretato da Ben Mendelsohn, uno che è specializzato in ruoli da cattivo in tutti i film. Il direttore del casting dei film Marvel si merita un aumento per trovate brillanti come questa!

«Ma così penseranno che tu sei il cattivo», «Proprio quello che vogliamo Mignolo»

“Capitan Marvel” si gioca un umorismo che in alcuni momenti funziona («È un gatto, mica Hannibal Lecter!»), mentre in certi altri mostra un po’ il fianco, nel senso che non tutte le battute sono proprio a fuoco e fanno ridere per forza, qualcuna sembra messa dentro perché uno l’umorismo in un film della Marvel se lo aspetta, eppure alcune dinamiche tra personaggi filano alla grande, per una buona porzione di film Carol Danvers e Nick Fury funzionano come la strana coppia di un “Buddy Movie” davvero niente male, poco importa se riescono a trovare subito il faldone giusto in un magazzino pieno di faldoni, perché complice il viaggio in auto e la presenza di Samuel L. Jackson, in alcuni momenti sembrava quasi di guardare una versione supereroica di Spy che, essendo scritto da Shane Black, non è proprio una brutto paragone per Anna Boden e Ryan Fleck dai, oppure si, dipende dai vostri gusti.

Avendo a disposizione letteralmente tutti i soldi del mondo, la Marvel ne approfitta per alzare ancora un po’ l’asticella e se in Ant-Man e Wasp avevano potuto ringiovanire con la CGI Michelle Pfeiffer e Michael Douglas, qui fanno lo stesso con Samuel L. Jackson che, non solo è uno dei volti più noti probabilmente del pianeta Terra, ma qui è in scena per un numero considerevole di minuti e su di lui il De-aging – il nome di questo lifting computerizzato – si nota meno rispetto all’agente Coulson di Clark Gregg, con risultati che sono in parti uguali strabilianti e un po’ inquietanti. Una volta si cercava un attore giovane somigliante, ora, invece, la CGI sembra quasi pronta a mandare in pensione gli attori in carne ed ossa, anche se prima bisognerà risolvere la questione dei capelli, sarà per via dell’ambientazione anni ’90, ma qui Samuel L. Jackson si ritrova con una chioma posticcia degna di Silvio Berlusconi, brr!

«Di’ un po’, Bettino Craxi che aspetto ha?»

Bisogna dire, però, che questa versione di Nick Fury (capelli a parte) a me è piaciuta molto, il Fury – mai Nicolas, mai Joseph – di questo film è più giovane e con meno esperienza, vuoi anche per tutta l’ambientazione anni ’90, gli alieni mimetizzati tra gli umani e un gattone rosso – Goose, già mitico anche grazie al suo nome che strizza l’occhio a “Top Gun – in possesso di un artefatto molto importante, il film imbrocca tutta un’atmosfera quasi alla “Men in black” (1997) dove questo Nick Fury Junior (questa la capiranno solo i Marvel-Zombie la fuori) non stona di certo. Anzi, ho apprezzato molto il fatto che l’iconografia di quello che insieme a Tony Stark, è il personaggio simbolo dell’MCU, sia stata un po’ smitizzata, anche lui proprio come Carol qui, è un personaggio che deve ancora diventare il duro di cui il mondo avrà bisogno domani.

Gli anni ’90 sono un fattore in “Capitan Marvel”, per quelli come me che considerano il 1995 come mercoledì scorso, ve lo dico con il cuore in mano: amici miei siamo vintage! Siamo come il Jukebox ristrutturato che il vostro amico ricco vuole piazzarsi in soggiorno, “Waterfall” delle TLC e “Only happy when it rains” dei Garbage che fino alla scorsa settimana stavano nel vostro walkman ora fanno atmosfera e se ancora avete qualche vhs da restituire a Blockbuster, vi toccherà prenotarvi un volo per l’Oregon, oppure ritrovare il negozio di questo film, in una scena in cui Carol se la prende con la sagoma di cartone di un film di Schwarzenegger, che mi ha fatto pensare che John McTiernan aveva già capito tutto prima del tempo, su che direzione avrebbe preso il cinema nel futuro.

Se volete un salto indietro negli anni ’90, il sito ufficiale del film merita una visitina.

Sapete, invece, chi sembra un po’ refrattaria ai momenti comici, facendo spesso la figura di quella seria della coppia? La nostra Brie Larson. E sapete cosa vi dico anche? Che proprio per questo è una Capitan Marvel perfetta, proprio perché è prima di tutto una Carol Danvers veramente azzeccata, se il direttore del casting vuole considerare questo post uno spunto per chiedere un aumento, sarebbe molto meritato.

Carol Danvers nel fumetto è una molto sexy per essere un maschiaccio (il suo costume da Ms. Marvel con cui esordì, forse è sparito per sempre anche per quello), una cresciuta nell’aviazione, quindi un ambiente prettamente maschile, ma mantenendo una mentalità da femminista tosta, a ben guardarla il tipico personaggio al limite del cliché che potrebbe far piagnucolare qualche “Maschio bianco supremo”, oppure dovrei scrivere “Supremo maschio bianco”? Non so dovrei chiedere consulenza al direttore del doppiaggio.

Per vestiti e sguardo incazzato, sembra Codice Magnum Larson.

Carol nel fumetto è una che il senso dell’umorismo lo ha lasciato nel suo vecchio costume di Ms. Marvel, una eterosessuale con un’amicizia etero al 100% con Jessica Drew (la Donna Ragno) che fa comunque chiacchierare tutto l’universo Marvel, giusto per ribadire che essere donna non è semplice nel 2019, nemmeno quando sei fatta di carta. Brie Larson, malgrado il fatto che si chiami come un formaggio, in tutto questo è semplicemente perfetta, perché non solo sembra una che non prende bene un certo tipo di umorismo – non a caso quasi tutte le gag con Goose, sono in carica a Sam Jackson – ma è molto brava a far trasparire la fierezza del personaggio, una che qui si conquista i suoi colori di battaglia, recuperando i propri ricordi e ospitando una ragazzina destinata (almeno nei fumetti) a diventare a sua volta una supereroina, una che ha sempre combattuto con le mani legate dietro alla schiena, come dice lei stessa, in una frase che qualcuno potrebbe trovare sfoggio di femminismo, mentre per me riassume la risolutezza di un personaggio per cui viene voglia di fare il tifo, non vedo l’ora di vederla usare entrambe le mani, per prendere a sberle Thanos.

«Sei forte ragazzina, colpisci più duro di quel mollaccione di Thanos»

Sì, perché da maschio, bianco, eterosessuale e soprattutto nerd, di fatto nel 2019 sono parte della maggioranza che mi piaccia oppure no, infatti non mi piace, perché in vita mia non mi sono mai sentito “supremo” nemmeno quando leggevo le vecchie storie dello “Squadrone Supremo”. Però sono cresciuto con un paio di convinzioni, la prima è che se mi racconti una storia appassionante, io starò ad ascoltarti, l’altra, invece, è che l’eguaglianza tra uomo e donna non era nata per essere una gara per la supremazia di una parte sull’altra, ma il sacrosanto diritto per chiunque di potersi esprimersi al meglio delle proprie possibilità, libero da vincoli e pregiudizi.

In questi casi di solito si aggiunge solo: Excelsior!

Per quanto vedere Stan Lee leggere la sceneggiatura di “Mallrats” è un’emozione, il momento migliore di “Capitan Marvel” è una singola scena, in cui Carol cade, ricade e poi ancora, solo per rialzarsi ogni volta, forse qualcuno potrebbe vederci un paraculo messaggio femminista in tutto questo, io ci ho visto un personaggio che rappresenta la capacità tutta umana di rialzarsi davanti alle difficoltà, un tipo di caratteristica che ammiro nei personaggi dell’immaginario, perché sono quelli che hanno il compito di ispirare. Se un giorno guardandovi intorno vedrete bambine e bambini con lo zaino della “Capitana” personalmente non ci vedo niente di minaccioso in tutto questo. Avercene di personaggi che risolvono la disputa applicando il vecchio principio del massimo risultato con il minimo sforzo, come faceva Indy contro il tipo armato di sciabola.

Questa Capitana non deve dimostrare niente, al massimo sono tutti quelli che hanno ritenuto “tossico” un buon film e un personaggio per cui vale la pena fare il tifo, a doversi fare due domande.

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