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Cena con delitto – Knives Out (2019): signori, la noia è servita

Lo ammetto candidamente, non sono un grande appassionato di gialli classici. Questo non mi ha mai impedito di apprezzare tutti quei libri di Agatha Christie che ho letto in vita mia oppure i classici “Whodunit”, che da zio Alfred Hitchcock giù fino a “Invito a cena con delitto” (1976) ti trasformano in un piccolo investigatore improvvisato.

Ecco, proprio “Invito a cena con delitto” mi sembra il titolo più vicino a questo film, anche perché il titolo italiano ci da dentro di gomito (…Ciao Terry!) per accostare idealmente le due pellicole. “Knives Out” è il classico film che di solito in uno strambo Paese a forma di scarpa piace, perché le orge di attori al pubblico Italiano sono sempre gradite (questa frase mi è uscita inutilmente ambigua…), e bisogna dire che in questo film ci sono veramente TUTTI, il direttore del casting ha caricato la pellicola a pallettoni, con la precisa intenzione di tirare nel mucchio degli spettatori colpendo indiscriminatamente tutti, dalle signore che ai tempi guardavano Miami Vice (Don Johnson) fino ai ragazzi che oggi seguono Tredici (Katherine Langford).

Una foto a caso di Chris Evans, perché io penso alle lettrici della Bara Volante (tutte e quattro)

Chiaro che un giallo classico, con un cast che raduna molti dei miei preferiti abbia attirato anche me, salvo che alla scoperta del nome del regista, ero già pronto a passare ad altre attività più pericolose, tipo portare a spasso il cane. Avete mai portato a spasso un dalmata? È come legarsi volontariamente ad un treno in corsa, dovrebbe essere considerato sport estremo.

Penso che pochi nomi, siano in grado di sollevare sommosse popolari come quello di Rian Johnson. Parliamo subito dell’elefante nella stanza, il suo Episodio VIII era un pasticcio, ma non mi ha urticato come Episodio VII, però al maledetto GIEI GIEI Abrams è stato concesso tutto (anche dirigere un altro Star Wars con risultati imbarazzanti) mentre per Rian Johnson? Petizioni ridicole minacciate in rete per mettere fuori canone il suo film. Ma tanto è già al lavoro sulla prossima trilogia di Star Wars di cui lo ammetto candidamente (sono più in vena di trasparenza di Ana de Armas in questo film), mi interessa un accidenti, ormai ho occhi solo per The Mandalorian. Fine del paragrafo dedicato a Guerre Stellari, giuro! Tanto domani ne parleremo diffusamente.

«Una petizione ti rendi conto? Per far cancellare il film. Poi chiediti perché dilagano i terrapiattisti»

Rian Johnson ha diretto tre dei migliori episodi di Breaking Bad di sempre (“Fly”, “Fifty-One” e “Ozymandias”. Scusate se è poco) guadagnandosi un credito infinito tutto bruciato con “Looper” (2012). Se mi leggete da un po’ – poveretti voi – dovreste sapere che non sono uno di quelli che ama etichettare i film come “Capolavorò!” oppure “Cagata pazzesca” come invece è molto di moda presso molti cinefili in rete, ecco per “Looper” devo usare questi termini, perché il primo tempo era un film fighissimo che tutti vorrebbero vedere solo sulla base della sinossi, mentre il secondo tempo una porcata che non sapeva dove andare a parare.

Il buon Johnson è così, ha un buon occhio per la regia, ma secondo me quando una storia deve scriversela, si salvi chi può, perché ogni volta finisce per buttare dentro alla trama troppa roba, che ogni volta non utilizza o peggio, utilizza male, infatti “Knives Out” è la sagra dello spreco, in questo caso di attori. Trattandosi di un giallo, per non rovinare la visione a nessuno lo scrivo a chiare lettere, da qui in poi SPOILER!

Sapete quale sarebbe stato un bel finale? Si scopre che Plummer in realtà è Kevin Spacey!

La storia inizia come tutti i crismi del giallo classico, l’ottuagenario scrittore di gialli Harlan Thrombey (Christopher Plummer) muore in circostanze misteriose dopo una cena in famiglia che nel titolo italiano sembra centrale, molto più che nel film stesso, infatti per essere precisi avrebbero dovuto intitolarlo “Dopocena con delitto”. L’investigatore brillante e armato di favella assoldato da un misterioso mandante per indagare è Benoît Blanc, interpretato da un Daniel Craig che viene paragonato per via del suo accento impossibile al pollo dei Looney Tunes, peccato che se vedrete il film doppiato, non ve ne accorgerete nemmeno (il miglior doppiaggio del mondo!)

Daniel Craig in una delle rare volte in cui sembra addirittura vivo (a differenza degli ultimi 007)

Qui dovrebbe iniziare la parte in cui tutti i membri della famiglia Thrombey hanno un buon motivo per uccidere il vecchio e provare ad ereditare, peccato che Rian Johnson prima spenda parecchio tempo ed impegno per presentarci tutti i personaggi, salvo poi con una svolta, decida di passare come una pialla su tutti quanti, riducendo il tutto ad un giallino con tre personaggi.

Tutta la parte iniziale della storia vede protagonista l’infermiera del signor Thrombey, Marta Cabrera (una Ana de Armas bellissima e perfetta nel ruolo) che ha un piccolissimo problema: la ragazza di fronte ad una menzogna pronunciata oppure anche solo ascoltata, vomita compulsivamente. Quindi qui le cose sono due, se in un giallo hai un personaggio che grazie a questo trucchetto è fisicamente impossibilitato a mentire, o sta dicendo la verità, oppure sta mentendo spudoratamente anche sulla sua condizione. Considerando che tutta la parte iniziale ruota attorno a Marta, nel gioco del “Whodunit”, vi dico subito che la mia soluzione del giallo, era una trama molto meno banale di quella scritta da Rian Johnson, e visto che escludo di essere diventato di colpo il più grande giallista del mio condominio, direi che la strada scelta da Johnson non è proprio la migliore.

Una foto a caso di Ana de Armas, perché io penso ai lettori della Bara Volante (tutti e nove)

Si perché di fatto la prima tesi, raccontata in prima persona dalla vicende di Marta, invece di venire rigirata, capovolta e rivoltata come dovrebbe accadere in un giallo classico, di fatto viene solo confermata, al massimo aggiungendo dettagli in corso d’opera, ecco perché ad esclusione dell’infermiera, del detective di un personaggio che entra in scena con l’etichetta “CATTIVO” appiccicata sulla fronte, il resto del nutrito cast è solo costosa tappezzeria.

Prendiamo ad esempio solo i miei tre prediletti? Iniziamo per cavalleria dalla signore. Jamie Lee Curtis complici gli occhiali, sembra il suo personaggio nella serie tv Scream Queens, però con un completo rosa invece che nero, il registro con cui Jamie Lee recita è quello grottesco e sopra le righe della serie tv di Ryan Murphy e Brad Falchuk, ma dopo una sfuriata piuttosto comica, Jamie Lee finisce in panchina in attesa dell’assegno.

La tappezzeria più costosa in circolazione.

Toni Collette, che solitamente è una specie di barometro umano della (buona) qualità di un film, qui forse va anche più sopra le righe di Hereditary, anche per lei sembra di vedere la continuazione del suo personaggio di “Velvet Buzzsaw”, dopodichè, grazie per essere stata con noi Toni, gli assegni verranno consegnati alle undici.

«Alle undici? Non si era detto alle dieci e trenta?»

Michael Shannon, ha la faccia del principale indiziato solo per il fatto di essere Michael Shannon, ma l’aspettativa disattesa del pubblico, sembra più merito del direttore del casting che di una geniale mossa di Rian Johnson.

Sospettato numero uno, due, tre e mille.

Si perché se vai a vedere un film come “Knives Out” te lo aspetti anche di vedere il detective di Daniel Craig fare il monologo finale con tanto di “spiegone”, ma il problema è che la parte comica non mi ha fatto molto ridere, anzi quasi per nulla, perché la scena dell’inseguimento in auto più lento del mondo, è divertente solo sulla carta, non tanto per il (non) ritmo che Rian Johnson prova a donarle.

Inoltre “Knives Out” che ha una solo svolta (la lettura del testamento) che però sembra ancora parte della sinossi del film, resta una trama piatta e senza guizzi, basta dire che i cani di casa Thrombey, avevano già identificato buoni e cattivi fin dal primo minuto, come nota subito il detective. Solo che lui é stato pagato per investigare, i cani anche se più efficaci e meno verbosi, nemmeno un osso da masticare.

Quindi cosa serve avere un cast del genere, se poi non lo utilizzi? Cioè Frank Oz erano vent’anni che non compariva come attore da questa parte della macchina da presa, hai anche lui ma invece di fare un film corale, riduci tutto ad una storiella con tre personaggi, in cui ogni svolta è spiegata per filo e per segno. No, non ci siamo.

«Ma questa è FCD, feniclidine. Polvere d’angelo. Tu lo sai l’effetto che ha sui ragazzi?» (Cit.)

Niente Rian, mi dispiace ma io e te proprio non ci troviamo, il che è un peccato, perché nel panorama del cinema americano contemporaneo, popolato di biopic di cantanti defunti e super calzamaglie, trovare un film originale, non tratto da nessun’altra fonte scritto e diretto dal regista del film, ormai è una rarità totale. Però alla fine l’unica trovata positiva di questo film, è che mi ha fatto venire una voglia matta di andarmi a rivedere “Signori, il delitto è servito” (1985), quello sì un film che davvero sapeva giocare con le caratteristiche del giallo classico, sfruttando al meglio il suo nutrito cast e con addirittura tre finali possibili. Questo film invece? Sto già iniziando a dimenticare il suo unico finale, fate un po’ voi.

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