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Censor (2021): chi controlla i censori?

Nei primi anni ’80 l’Inghilterra procedeva spinta dal
vento del rigore a gonfiare le sue vele, un periodo estremamente delicato in
cui non si muoveva una foglia se Margaret Thatcher non dava prima la sua
approvazione anche per la censura dei film, era il periodo dei video nasty.

Sono sicuro che sappiate tutti di cosa sto parlando, ogni
appassionato di Horror nella sua vita ha fatto in modo di trovare una copia di
tutti i film finiti in quell’elenco, ma più o meno è andata così: con la
diffusione del mercato dell’home video a metà degli anni ’70, molte famiglie
avevano a casa un videoregistratore e non avevano nessuna paura di usarlo per
portare il cinema nei loro soggiorni, una manna per il cinema horror
indipendente che aveva trovato un mercato tutto nuovo, almeno fino a quanto
alcuni bravi cittadini preoccupati non iniziarono a comportarsi come la signora
Lovejoy di turno: qualcuno stava pensando ai bambini?

L’obscenity act in vigore dagli anni ’50 era un tantino
datato, infatti prevedeva che i realizzatori di tali film venissero perseguiti
legalmente, ma questo avrebbe oltre che pesato sul sistema legale inglese anche
ammazzato il fervente mercato dei videonoleggi, una fonte di denaro che la Lady
di ferro non era intenzionata a perdere.

I film violenti rendono violenti! Perché nessuno pensa ai bambini!

Per questo motivo nel 1984 venne fondato il “British Board of Film Classifications”, con la responsabilità
di supervisionare e classificare quell’enorme quantitativo di film in VHS. Non
si trattava di un semplice lavoro di taglio e cucito (ma più che altro taglio),
quando la responsabilità di collaborare con gli autori, mediando tra la
sensibilità (piuttosto conservatrice, facciamo anche molto) dell’epoca e la
“visione” artistica dei registi. Furono centinaia i film, anche molto celebri,
che finirono nella famigerata lista dei Video nasty e che per decenni, non
uscirono mai in terra di Albione, ed ora sesto i panni del fastidio professorino per questa piccolissima lezione di storia del
cinema horror, solo per dirvi che la regista gallese Prano Bailey-Bond, al suo
esordio con un lungometraggio, ha avuto questa semplice ma brillante idea di
ambientare il suo “Censor” proprio in questo periodo.

Quindi dimenticatevi la moda, che in teoria avrebbe
dovuto essere stata disinnescata da Spielberg con Ready Player One (ma mantiene sacche di resistenza) dei film
ambientati negli anni ’80 stereotipati e colorati, delle BMX e dei Walkie-talkie.
Prano Bailey-Bond è stata bravissima a far capire l’aria che tirava in quel
particolare momento della storia inglese, con un film dall’atmosfera plumbea,
caratterizzato da uffici e sale di proiezione che di allegro non hanno nulla,
perché è dove i censori del titolo portano avanti il loro lavoro e nessuno lo
fa con più dedizione della protagonista Enid Baines, una bravissima Niamh Algar che si carica tutto il film
sulle spalle.

Occhiali sul naso e capelli legati, negli horror si comincia così…

Per certi versi “Censor” sembra la versione horror di un
film di un regista che non viene citato mai, mi riferisco a quel genietto di Paul Schrader. Nel
suo bellissimo “Hardcore” (1979) George C. Scott riconosceva la figlia
scomparsa in un filmino porno in 8mm e da lì cominciava una trama da thriller
drammatico che ha ispirato in parte anche “8mm” (1999) di Joel Schumacher.

Anche Enid ha perso la sorella misteriosamente e non
ricorda esattamente come sia accaduto, i suoi anziani genitori dopo una vita di
dolore cercando faticosamente di mettere la parola fine a questa ferita, Enid
invece ha ingoiato il rospo ma non dimenticato, diventata un implacabile
censore, porta avanti il suo compito come una missione, come dirà nel film ai
genitori: «Non è intrattenimento mamma, lo faccio per proteggere le persone.»

Intervallo (molto in stile Poltergeist)

Prano Bailey-Bond anche sceneggiatrice, fa un lavoro
veramente ammirevole, mescolando lo spunto di partenza della trama con la
totale finzione dove come regista, decide di portare storia e personaggi,
infatti la protagonista si ritrova a visionare, con blocco di appunti alla
mano, parecchi film reali tra cui “Deranged – il folle” (1974), ma
pian pianino la finzione della trama comincia a farsi largo. 

La prima falla della muraglia impenetrabile di Enid
arriva quando pur eseguendo il suo lavoro di censura in modo scrupoloso ed
attento, un film da lei approvato diventa ispirazione per un massacro,
perpetuato da un omicida che come lei, afferma di non ricordare niente degli
eventi. Possibile che ci sia un legame tra i vuoti di memoria dell’assassino e
il suo non ricordare nulla della scomparsa della sorella, che Enid malgrado
tutto è convinta che sia ancora là fuori, viva e vegeta? 

Il tarlo del dubbio si insinua e “Censor” mena il suo
colpo più duro, se i censori sostengono che la violenza sia pericolosa, che
effetto può avere su di loro guardare violenza tutto il giorno per mestiere? Prano
Bailey-Bond quindi inclina il pavimento sotto i piedi degli spettatori e
introducendo un elemento fantastico nella sua storia così realistica, ovvero il
film “Dont go in the church” del regista immaginario Frederick North,
riuscendo a portare la storia tutta in un’altra direzione, decisamente più onirica
per non dire proprio lisergica. 

… Per poi finire sfatti e ricoperti di sangue.

In “Dont go in the church” Enid vede scene che la
fanno stare male facendo leva sui suoi ricordi frammentari, ma soprattutto sembra riconoscere la sorella scomparsa, quindi
mettendosi in proprio decide di fare come Susanna, la protagonista del romanzo
“Tutto quel nero” di Cristiana Astori, mettendosi a caccia di pellicole, nello
specifico dei VHS dei precedenti film di North, imbattendosi così in un altro
film immaginario intitolato “Asunder” con protagonista tale Alice Lee, in tutto
e per tutto identica alla sorella scomparsa. E qui Paul Schrader si ferma e
comincia l’horror quello vero. 

Se Niamh Algar è bravissima, non è da meno Michael Smiley che ci dà dentro nel
ruolo del laidissimo regista di film al limite dello snuff che Prano
Bailey-Bond è bravissima a portare in scena, tra piccole strizzate d’occhio a Evil Dead (anche lui a lungo nelle lista
dei Video Nasty, storia vera) la regista fa un otti. O lavoro, pur stringendo il formato
al glorioso 4:3 delle VHS, riesce a mostraci un mondo dove il colore è ben più
presente rispetto alla tetra realtà dove vive Enid, anche se il più delle volte
è quello del sangue finto (finto?) degli horror.

Uno chalet nel bosco proprio come in uno dei film più famosi nella lista dei Video Nasty.

Ho sempre avuto una fissazione per le frasi di lancio del
film, quella di “Censor” è impeccabile perché centra in pieno il senso del
film: “You can’t edit the reality”. Tutto il film è raccontato dal punto di
vista di una fredda burocrate come Enid, che progressivamente per via del suo
senso di colpa si distacca dalla realtà perdendosi letteralmente nei film,
quando la sua capacità di distacco dai quintali di violenza (finta) che guarda
per lavoro tutti i giorni salta, dentro di lei qualcosa si rompe
definitivamente e la diga tracima. 

Sottilmente ma in maniera riuscitissima, “Censor” riesce
a parlarci di quanto sia più facile censurare l’arte, per creare l’illusione di
stare sradicando il male e l’immoralità dal mondo, quasi un modo di accanirsi su
qualcosa che puoi controllare, quando invece il vero orrore, quello su cui non
hai controllo è la realtà attorno a te, quella che non puoi tagliare o
modificare a tuo piacimento. Il censore del film quindi si erge a difensore di
un mondo in cui il perbenismo di facciata è appunto solo quello, un’illusione
di controllo, la finta sicurezza di chi si atteggia a difensore della
morale.

Nostalgia portami via.

Nel finale “Censor” non prende più prigionieri e come
detto, sfocia quasi nel lisergico, ma Prano Bailey-Bond dimostra di avere per
tutto il tempo le idee così chiare da meritarsi solo gli applausi, in 84 minuti
non solo riesce a mandare a segno il suo messaggio forte e chiaro, ma anche il
film, uno dei più riusciti tra quelli che ho visto di recente, vi assicuro che
un’occhiata la merita. Senza censure tranquilli.

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