Ho sempre ammirato il lavoro di Neil Marshall per svariate ragioni, una in particolare la continuità, ma prima di tutto, benvenuti al nuovo capitolo della rubrica… Marshall Love!
Il nostro maresciallo Neil avrebbe potuto cominciare a sfornare film fotocopia di The Descent, invece la sua decisione di svoltare verso un genere diverso (ma sempre orgogliosamente beh, di genere) come Doomsday è stata accolta con un livore giustificabile in parte solo dal non aver compreso gli intenti del film o peggio, proprio non aver compreso la coerenza dei temi cari ad un autore come Neil Marshall.
Avete presente il Grunge? Non aveva un’unità musicale, i singoli gruppi della scena Grunge potevano avere uno stile differente uno dall’altro, ma era l’unità tematica e di luogo a renderli parte di un unico movimento. Stessa cosa per i film di Neil Marshall, di base le sue sono storie di guerrieri, spesso soldati il più delle volte donne, l’unità di luogo invece è garantita dall’ambientazione, con una punta di sciovinismo Inglese rappresentata dal nord dell’Inghilterra.
Infatti trovo abbastanza inspiegabile il fatto che attorno al 2010, a Neil Marshall non si stato affidato l’unico film che avrebbe garantito proprio quella continuità tematica, magari dando più visibilità al suo cinema, ma il produttore Robert Rodriguez ha preferito affidare Predators a Nimród Antal, anche se lo zio Neil è stato brevemente tra i più seri candidati per la regia (storia vera). Vi lascio il tempo per assimilare la botta e per pensare ad un mondo dove esiste un film della saga di Predator diretto dal nostro.
In compenso zio Neil non è rimasto con le mani in mano, già al lavoro su “The Ninth legion”, titolo di lavorazione poi modificato in “Centurion”, il maresciallo ha trovato il modo di raccontarci un’altra delle sue storie di guerrieri, cambiando genere senza cambiare nulla del suo stile e del suo cinema. La storia è quella delle Nona legione dell’esercito Romano, scomparsa oltre il vallo di Adriano nel 117 D.C. Le istruzioni per l’uso sono abbastanza chiare, se volete l’aderenza e il realismo storico, leggetevi “L’ultima legione” (2002) di Valerio Massimo Manfredi, nella versione di Neil Marshall la storia punta ad altri obbiettivi, il mio non essere particolarmente legato al genere Peplum mi ha aiutato, ma è chiaro che questo “Sandalone” è condito in salsa di Albione, lo capite nel dialogo non proprio storicamente accurato (e piallato dal doppiaggio) del legionario che sogna una villa in Toscana oppure dal fatto che tutti i personaggi pronuncino i nomi di ceppo latino all’inglese, per non dire proprio all’americana (come Aigor!), visto che il film è stato frettolosamente etichettato come la solita parabola sulla guerra, metaforone dell’ennesimo conflitto inizio dagli Yankee in qualche luogo del mondo che non sanno indicare su un mappamondo. Lettura che ci può stare, visto che nei primi anni del 2000 molti film erano un’elegia alla guerra, ma nel caso di Marshall, concediamogli un’analisi un po’ più dettagliata povero Neil!
I guerrieri di Neil Marshall di base sono ispirati al cinema dei decenni precedenti, in particolare a quello degli anni ’70 e ’80 con John Carpenter e Walter Hill come Nord magnetico verso la quale puntare, ma ci aggiungerei anche tra le ispirazioni la passione per le tipe toste di James Cameron, anche se Neil Marshall qui ci ha messo decisamente del suo.
Bisogna essere onesti, i personaggi del maresciallo non hanno molto tempo a disposizione per il sesso, sono il più delle volte impegnati a restare vivi, forse anche per questo i suoi personaggi femminili sono spesso spogliati dell’elemento erotico, a differenza di altri registi la cui idea di tipa tosta è una ragazzina mezza nuda che zompetta in giro, le donne guerriere di Neil Marshall sono prima di tutto personaggi femminili credibili come quelle di The Descent, anche nel caso della Eden Sinclair di Doomsday, nessuno sano di mente (e con gli occhi funzionanti) potrebbe mai mettere in discussione la femminilità di Rhona Mitra, ma il suo personaggio non era guidata dal senso materno come Ellen Ripley o Sarah Connor, sfoggiava la stessa risolutezza certo, ma a tratti era indistinguibile da Kurt Russell.
Per certi versi la lupa di “Centurion”, Etain il personaggio interpretato da Olga Kurylenko porta il discorso ad un altro livello. Pur non avendo un fisicone ultra muscoloso, Etain è una macchina da guerra indistinguibile dai maschi che la circondano, che si merita un’entrata in scena tosta come e forse più dei suoi colleghi, visto che il legionario Titus Flavius Virilus (interprpetato da Dominic “Fuckin McNulty” West) entra in scena come un Colonial Marines, impegnato con il braccio di ferro e le risse, mentre il Quintus Dias di Michael Fassbender, si presenta come narratore (non affidabile) della storia («Il mio nome è Quintus Dias, e questo non è né l’inizio né la fine della mia storia») ma nella prima scena scappa legato tra la neve, mezzo nudo per la gioia delle sue tante ammiratrici.
Etain non parla, come la chiama Lucius la “Pitta pittata” ha il bel faccino di Olga Kurylenko, ma è un mastino della guerra indistinguibile dai lupi a cui viene associata, non è un caso che tra le fila dei soldati Romani, passi il suo tempo seduta accanto al cane piuttosto che alle bestie in armatura, mandati a rompere lo stallo con i Pitti che dura da vent’anni.
Dopo un timido tentativo di avance (come potrebbe intenderle un Legionario che non vede una donna da mesi nel 117 D.C.), la sessualità del personaggio scompare, nessuno si pone più la questione relativa al suo genere, Titus la prima volta che la vede fa una mezza battuta che cade presto nel vuoto e quando proprio Etain si fa avanti per sfidarlo, non si pone la questione che sia proprio lei a rispondere all’invocazione: «C’è qualche uomo pronto a sfidarmi!»
Da questo punto di vista Neil Marshall fa un lavoro incredibile sulla questione parità di genere, almeno finché resta concentrato, finché racconta le sue guerriero e i suoi soldati zio Neil è nel suo, appena si sposta da quel solco, vengono fuori personaggi didascalici come Arianne interpretata da Imogen Poots, considerata una strega dai maschi che non capiscono i suoi talenti nell’arte di curare le ferite, questo porzione di storia va a finire dritta tra le parti meno riuscite di “Centurion”.
Che resta un film dal ritmo ondivago, quando Neil Marshall tiene la macchina da presa sui suoi guerrieri, arrivano delle tonnare grondanti sangue che ci ricordano che l’horror è sempre la miglior palestra per il talento, per certi versi questo film è il Southern Comfort di Neil Marshall, però in costume e ambientato oltre il vallo di Adriano, per altri anticipa The Grey ma senza tutta la parte laica su Dio, anche perché di fatto i protagonisti sono braccati dalla lupa Etain che li stana uno dopo l’altro, anche perché è chiaro che la storia non possa finire proprio benissimo, altrimenti la Nona legione Romana non sarebbe nota anche come la legione scomparsa.
Per rompere l’incantesimo della storia, Neil Marshall si prende svariate licenze poetiche, anche perché ammettiamolo, il suo intento non è dirigere un accurato film storico, ma portare avanti la sua poetica dei guerrieri, macchine da guerre destinate a combattere per salvarsi la pelle. D’altra parte se lo Scott sbagliato fa un film sui gladiatori pieno di errori storici e comparse in jeans, diventa un titolo di culto ma poi dobbiamo scassare le palle a Neil Marshall? Essù fate i bravi.
Per nostra fortuna “Centurion” a parità di libertà e inesattezze, è distante come stile da “300” (2006), per fortuna manca quella lettura omoerotica nella forma e omofobica nella sostanza, anche perché i personaggi femminili di Marshall non sembrano mai donne scritte da un uomo, questo spiega perché il cinema di Zack Snyder non mi ha mai preso più di tanto, non può piacermi se già apprezzo così tanto il suo opposto, ovvero quello di Neil Marshall.
Il vero trucco utilizzato dal maresciallo Neil per smarcarsi dalla Storia con la “S” maiuscola, è quello cinematografico di rendere il suo Quintus Dias un narratore non affidabile, infatti trovo simbolico che l’ultima freccia, scoccata in direzione del legionario disertore che ormai non crede più alla guerra di Roma, quella che potrebbe ucciderlo, visto che il suo destino è quello di scomparire insieme alla Nona legione, nel film venga scoccata proprio da Neil Marshall, in un cameo nei panni di un arciere Romano che è l’ennesima conferma che pochi hanno assimilato la lezione Carpenteriana meglio di lui, volete un esempio?
Vi ricordate quando in Fuga da Los Angeles, Jena Plissken prende finalmente il controllo del film e diventa lui il padrone della storia? La sua fuga dalla struttura stessa del film culmina con lo sguardo in camera prima dei titoli di coda. Il cambio di passo per il personaggio avviene quando qualcuno fuori dall’inquadratura lancia al personaggio una palla a spicchi e con la scena della pallacanestro. Da qui in poi Jena sale in cattedra e si libera dal suo destino di eterno fuggitivo, il fatto che il Basket sia lo sport preferito di Carpenter non è un caso.
Qui Neil Marshall fa quasi la stessa cosa, è proprio lui a non uccidere Fassbender, prima come regista crea l’enfasi tale da farci pensare: «Ecco ora lo ammazzano!» ma poi con il suo cameo concede la grazia al suo protagonista e lo libera dal destino del resto della Nona legione. Vi sfido a trovare qualcuno che si è impelagato in un’analisi di questo tipo, su un film che è stato frettolosamente etichettato e dimenticato, e che malgrado i problemi di ritmo io trovo sempre una visione molto interessante, proprio grazie alla continuità tematica di zio Neil.
Purtroppo sono stato uno dei pochi – anche ad andare a vederlo in sala alla sua uscita – visto che gli incassi modesti hanno dettato una lunga e a mio avviso immeritata battuta d’arresto per la carriera di Marshall, almeno sul grande schermo.
Solo un segmento dell’antologico Tales of Halloween ha brevemente interrotto una deriva televisiva per la carriera di Marshall, badate bene, Re incontrastato sul piccolo schermo ma quasi un esilio per uno del suo talento. A suo modo una scelta forzata perché Hollywood ha avuto l’occasione di affidargli la regia del remake di Conan, ma ha preferisco scegliere un cretino come regista piuttosto che il nostro (storia dolorosamente vera).
Nella lista delle tante serie impreziosite dal talento di Marshall abbiamo due degli episodi più memorabili di Giocotrono, la puntata “2×09 – Blackwater”, ma anche quello che per me resta la miglior puntata di sempre di quella serie, l’episodio “4×09 – The watchers on the wall”, guarda caso un’altra storia di guerrieri impegnati a combattere per la propria vita e non accetto discussioni, quella era la migliore puntata in termini di tensione e regia di “Giocotrono”, le altre erano telenovelas.
Gli episodi 1×01 e 1×03 di Black Sails, le puntate 1×01 e 1×06 di “Constantine” (2014), oltre alle puntate più fighe di Hannibal (3×08) e Westworld (1×03). Di “Lost in Space” (2018) invece ho apprezzato solo l’episodio pilota, quando ho letto sui titoli di coda “Directed by Neil Marshall” ho anche capito il perché (storia vera).
Hellboy e The Reckoning hanno riportato il maresciallo dove merita di stare, ovvero al cinema, giusto ieri (nel momento in cui vi scrivo) Marshall ha pubblicato sul suo profilo social la foto del primo ciak del suo nuovo film “Duchess” attualmente in lavorazione, quindi spero non passi troppo tempo prima di poter aggiungere nuovi capitoli a questa rubrica dedicata al regista Inglese.
Sepolto in precedenza venerdì 22 luglio 2022
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