Sapete solo suonare o sapete anche sparare? Spero sappiate fare entrambe le cose, perché torneranno utili nel nuovo capitolo di… Un mercoledì da Leone!
Se i primi capitoli della “trilogia del dollaro” di Leone sono stati un enorme successo commerciale, Il buono, il brutto, il cattivo resta un punto d’arrivo, il western che conoscono tutti, anche quelli che non l’hanno mai visto. L’occasione perfetta per il regista per chiudere con il genere e passare ad altro, ad esempio adattare per il grande schermo quel romanzo che gli piaceva tanto “Mano armata” (1952) di Harry Grey, la storia di un criminale durante l’era del Proibizionismo, un progetto che a Leone sta molto a cuore e che lo vede impegnato nel raccogliere informazioni sulla New York degli anni ’30, disegnando bozzetti, spulciando libri, con la maniacale cura per il dettaglio che ha reso grande il cinema di Leone.
Ma la cura richiede tempo, mentre il successo reclama Sergio subito, ora. La United Artist che aveva distribuito e finanziato Il buono, il brutto, il cattivoscalpita e ancora di più Kirk Douglas, da sempre sensibile al talento dei grandi registi (fu lui a volere il giovane Kubrick per il suo “Spartacus” 1960), pronto a fare carte false pur di essere diretto da Leone. Ma Sergio? Niente, no guardate, va bene così, come se avessi accettato. Almeno fino al giorno in cui la Paramount Pictures non decise di colpirlo proprio negli affetti, un grosso budget e soprattutto Henry Fonda nel cast (storia vera). Capite? Henry Fonda! L’eroe americano dei film per eccellenza, uno dei preferiti di John Ford, l’attore che Leone inseguiva fin da Per un pugno di dollari. Andiamo a fare questo Western, dajè!
![]() |
Anche i titoli di testa si muovono con il passo della pellicola… |
![]() |
…Infatti il titolo, arriva solo a fine film. |
A Natale del 1966 Sergio si mette al lavoro sulla sceneggiatura e lo fa con due collaboratori di un certo talento, il primo è un regista, i cui primi film “La commare secca” (1962) e “Prima della rivoluzione” (1964), non erano proprio andati fortissimo al botteghino, un tale di nome Bernardo Bertolucci, potreste averlo sentito nominare. Ad organizzare l’incontro tra i due ci pensa un altro romano DOC, famosa penna di Paese Sera, proiezionista a tempo perso e futuro maestro del cinema Horror, Dario Argento.
Ora, se ho capito una cosa di Leone grazie a questa rubrica, è il fatto che al vecchio Sergio piacesse interrogare i futuri talenti riguardo al loro parare sui suoi film, un banco di prova che Carlo Verdone ha superato beccandosi ripetutamente del burino per la sua preferenza verso Per qualche dollaro in più. Bertolucci, invece, pare essersela cavata con un colpo di culo, di culo di cavallo per la precisione, perché secondo il futuro regista di “Novecento” (1976), nei western nessuno inquadrava diciamo il lato meno nobile dei cavalli, un tocco di realismo che al cinema mostravano solo Leone e John Ford. Ma lasciatemi dire che più che la riflessione sul lato B degli equini, deve aver fatto colpo il paragone con Ford, idolo cinematografico incontrastato di Leone.
![]() |
«Chi ne ha diretti quattro di western, ci mette poco a fare cinque» (quasi-cit.) |
Questo strambo “Triello” di autori inizia la collaborazione in lunghe sedute creative, a casa di Sergio Leone, in cui lui e Bertolucci diciamo, spaziavano sulla storia, facendo voli pindarici attorno all’evocativo titolo scelto da Sergio, “C’era una volta il West”, mentre Dario Argento si occupava del lavoro più pragmatico, quello di dare forma ad una storia che stava leggermente scappando di mano, pare che la prima bozza di sceneggiatura fosse una romanzo di più di trecento pagine (storia vera).
Anche perché per tra la cura dei dettagli di Leone e la sua mania di “mimare” intere sequenze del film già pronte nella sua testa, le cose stavano andando un po’ per le lunghe, perché poi quei tre si divertivano proprio, pare che Bertolucci galvanizzato dall’entusiasmo di Leone, si fosse procurato anche cappello e pistola, da far roteare facendo le mosse da pistolero (storia vera). A me sembra di vederlo Bertolucci che come Marty McFly fa il Clint Eastwood davanti allo specchio, Leone che si esalta e Dario Argento che pensa: «Horror, al massimo gialli all’italiana, ma dopo questa basta Western!».
![]() |
«Stai parlando con me Tannen?» (Cit.) |
Ma con i suoi due collaboratori illustri partiti per coltivare le rispettive carriere cinematografiche, Leone la sceneggiatura la completa con il fidato Sergio Donati, tenuto a lungo in panchina, ma richiamato a smussare gli angoli e a lavorare sui dialoghi del film che sono rarefatti, però tutti particolarmente notevoli bisogna dirlo.
A proposito di vecchie conoscenze, Leone ci prova a chiamare ancora una volta il vecchio Clint per proporgli il ruolo di Armonica, ma Eastwood questa volta passa la mano, concentrato sulla sua rinata carriera negli Stati Uniti lascia campo libero e quindi Leone cambia idea anche su Eli Wallach che avrebbe voluto nel ruolo di Cheyenne, prima di realizzare che il pubblico lo avrebbe visto solo come “Il brutto” Tuco. No, è il momento di staccare con il passato, la “trilogia del dollaro” è andata, sotto con un western diverso che sarebbe stato ricordato (oltre che come un capolavoro) per essere il primo capitolo della “trilogia del tempo”.
Quello sfizio di avere qualcuno dei Magnifici sette in uno dei suoi film, Leone vuole proprio toglierselo e con i soldi della Paramount può farlo, ma non James Coburn, non ancora almeno (per lui dovremmo aspettare tutti altri sette giorni e il prossimo capitolo di questa rubrica) perché l’uomo con i dentoni voleva davvero troppi soldi (storia vera), ma per Charles Bronson non ci sono problemi, Leone vuole la sua faccia (di Bronson) dietro l’armonica di… Beh, Armonica. Il ruolo è in cassaforte, oltre a diventare uno dei personaggi più iconici della storia del cinema, resta una di quelle prestazioni in grado di zittire le polemiche, sì, perché andiamo, un Americano di origini polacche che interpreta un Messicano? Sono sicuro che nel 1968 nessuno ha utilizzato l’anglicismo “whitewashing”, ma sono anche sicuro che dopo l’uscita del film, nessuno abbia davvero avuto il coraggio di lamentarsi, una delle facce più mitologiche della storia del cinema, quella di Charles Bronson, capace di comunicare senza cambiare mai (ma proprio MAI!) al servizio del regista che dai primi e primissimi piani, tirava fuori grande cinema, una collaborazione nata in paradiso.
![]() |
Troppi, che giudicano un attore solo sulla base della sua espressività (vera o presunta). Io, che cresco guardando film di Charles Bronson. |
Per la parte di Cheyenne è arrivato Jason Robards e per la precisione è arrivato ubriaco al colloquio con Leone (storia vera), il regista non l’ha proprio presa benissimo (m’immagino una serie infinita di improperi in romanesco, roba da far passare la ciucca al volo), ma dopo l’inizio difficile le cose sono andate meglio, perché, ancora una volta, il regista capace di scolpire volti memorabili sul grande schermo, dal muso lungo di Robards ha tirato fuori un personaggio straordinariamente malinconico, forse il più umano dei quattro protagonisti di questo lungo dramma (165 minuti nella versione cinematografica, dieci in più nella “Director’s cut”) sulla fine di un’Era e del tempo che se ne va.
“C’era una volta il West” ha un’unità d’intenti monolitica, la durata notevole è all’altezza dell’opera, perché, comunque, per visitare gli Uffizzi o il Louvre ci vuole del tempo e qui si parla proprio di questo, del tempo che scivola via e dei tempi che cambiano. La trama di suo non è così articolata, di fatto ruota tutta intorno a quattro personaggi che, però, sono degli archetipi narrativi in grado di farsi carico di tutto quello che rappresentano, ma è il modo in cui la storia viene raccontata e i personaggi presentati a rendere il film epico, emozionante, malinconico e da oggi, un Classido!
Più che un film di genere western, “C’era una volta il West” è un film sul Western, per la prima volta Leone non gira tutto nel deserto spagnolo, ma ha la possibilità (e la precisa volontà) di andare a girare il suo film definitivo sulla mitologia della frontiera, nei luoghi dove quella mitologia è stata costruita, sudata e combattuta e poi raccontata al cinema da maestri come John Ford e Howard Hanks. Pare che Sergio Leone durante i sopralluoghi, abbia ammorbato il suo direttore della fotografia Tonino Delli Colli, spiegandogli esattamente quali film erano stati girati nella Monument Valley, quali specifiche scene e dove John Ford avesse piazzato la macchina da presa, ve li immaginate due Italiani nella Monument Valley, «Tonì viè qua! Stava qui John Ford vedi, ha messo il cavalletto qui, in questo punto» (storia vera). Infatti, la lunghissima scena sul carretto guidato dal vecchio matto («I treni fermano?») e Jill al suo fianco, è l’enorme omaggio di uno dei più maestri di cinema di sempre, al cinema Western stesso. Scusate se è poco.
![]() |
Come raccontare il western agli americani, giocando a casa loro. |
Quattro personaggi compongono questo film e la prima decostruzione grossa verso i canoni del cinema western deriva dal fatto che la protagonista è una donna. La bella Jill che si lascia indietro il suo passato per raggiungere il nuovo marito McBain, in un posto dal nome tenero come Sweetwater è da dove parte la trama, una storia che abbraccia in pieno tutti gli archetipi narrativi con la volontà di renderli più grandiosi ed epici che mai, ma allo stesso tempo sporca volutamente il foglio, gioca con le aspettative del pubblico e dilata i tempi, infatti se di solito dico che i primi cinque minuti di un film ne determinano tutto l’andamento, per “C’era una volta il West” bisogna estendere il minutaggio ad undici minuti, tredici se vogliamo sentire il primo dialogo («E Frank?», «Frank non è venuto»).
![]() |
Come cantava Tom Petty: L’attesa è la parte più difficile. |
La sequenza d’apertura è molto simile a quella di “Mezzogiorno di fuoco” (1952) in cui tre criminali (di cui uno interpretato guarda caso da Lee Van Cleef) aspettano il loro capo di nome Frank, solo che qui i tre loschi figuri questa volta aspettano colui che si rivelerà essere l’eroe della storia, l’uomo con l’Armonica (Charles Bronson) anche se il suo treno, si farà attendere parecchio. Undici minuti che Leone racconta con i cigolii in lontananza, con gocce d’acqua che cadono ritmiche sulla tesa di un cappello, un lavoro minuzioso di montaggio sonoro che crea l’attesa che sarà rotta dalla musica di Morricone prima e dagli spari dopo. Visto film iniziare peggio in vita mia, ve lo garantisco.
![]() |
Avete presente il discorso dei tre spolverini e delle tre pallottole no? |
Il Maestro Morricone qui si supera, l’importanza della musica dei film andrebbe studiata solo portando “C’era una volta il West” come esempio, basta dire che ogni personaggio ha il suo tema musicale che serve ad introdurlo in scena (se non proprio quando non se lo suonano da soli, come fa Armonica) ed è spesso nominativo, infatti la colonna sonora è ricca di pezzi intitolati “Armonica”, “Frank”, “Cheyenne” e soprattutto “Jill” che, se volete saperlo, è anche il pezzo che John Carpenter ha voluto al posto della classica parata nuziale, il giorno in cui ha sposato Adrienne Barbeau (storia vera).
Sulle musiche di “C’era una volta il West” si potrebbe scrivere un romanzo non un post, se gli intenti di Leone sono quelli di cercare l’epica, Morricone risponde presente facendo emergere ancora di più la malinconia già presente nella storia, ci sono cento esempi di grandezza che potrei elencare, mi sforzo e ne scelgo solo uno, il modo in cui il tema musicale s’interrompe di colpo, lasciandoti in sospeso anche il respiro, proprio in quel momento lì, quello che arriva dopo la frase «Quando toccherà a te prega che sia uno che sa dove sparare», così ho detto tutto senza rovinare la visione di questo capolavoro a quei due che ancora non lo avessero mai visto.
![]() |
Più in fissa con il caffè di George Clooney. |
Fonda non era proprio entusiasta all’idea, tanto che si presentò il primo giorno di riprese con la barba lunga e delle lenti a contatto colorate, per mascherare il celebre blu dei suoi occhi (storia vera). Leone non volle sentire ragioni, i suoi occhi azzurri sono perfetti per lo sguardo del perfido Frank, la sua entrata in scena è fatta apposta per spiazzare il pubblico, gli uomini in spolverino che arrivano alla fattoria dei McBain sono ripresi di spalle, Leone ci ha dato il tempo di affezionarci a tutti i rossi figli di McBain solo per vederli trucidati senza pietà da questi uomini misteriosi e nel momento di svelare l’identità del loro capo, Leone quell’inquadratura a girare che termina con un primo piano su Henry Fonda si vede proprio che se la gode, non solo perché è l’entrata in scena del suo attore preferito, nel suo film, ma è anche il momento in cui tutti realizzeranno che il buono cinematografico per eccellenza, qui è uno spietato assassino di bambini («che facciamo Frank?», «Ora che hai detto il mio nome?» BANG!).
![]() |
Non c’è cattivo più cattivo di un buono quando diventa cattivo. |
Che, poi, tecnicamente non è stata nemmeno la prima scena in cui Leone ha diretto Fonda, la prima scena in assoluto è stata quella di sesso con Jill, per capirci quella con la macchina da presa che passa da verticale ad orizzontale, una delle più “acrobatiche” mai pensate da Sergio. Scena che ha previsto la presenza sul set, della signora Fonda venuta giù a sorvegliare il marito, perché va bene la fiducia, va bene che sono tutti attori professionisti impegnati a girare un film, però quell’Italiana lì è una tentazione non da poco, quindi meglio esserci (storia vera). Quando pensate ad un grande attore al massimo della sua professionalità, ricordatevi del vecchio Henry Fonda, con un Italiano maniaco dei dettagli che lo vuole malvagio, gli occhi laser della moglie a perforargli il collo, a doversi pure ricordare tutte le battute con gli occhioni (e tutto il resto) di Claudia Cardinale ad una spanna. In pratica un eroe… Oh Claudia! Fermi tutti, che io questo paragrafo aspetto di scriverlo da tutta una vita (storia vera).
![]() |
Di tanti primi piani diretti, questo è quello a cui Leone forse teneva di più. |
In un film dove il treno ha un ruolo (anche metaforico) chiave, l’arrivo del treno non può essere qualcosa di secondario, tra i mille talenti di Leone, è impossibile non citare la sua capacità di regalare agli attori grandissime entrate in scena, ecco, quella di Claudia Cardinale è storica. Per il ruolo della bella e risoluta Jill, Leone sapeva benissimo che era necessaria qualcuna in grado di bucare lo schermo, per due minuti ha pensato anche a Sophia Loren, ma posso essere brutalmente onesto? Chissene della Loren, quel ruolo era per pochissime e per una sola in particolare: Claudia Cardinale.
La scena del suo arrivo in treno è una lunga attesa, vediamo sfilare i passeggeri anonimi uno via l’altro e quasi viene voglia di fare «oooooohhh!» aspettando il momento di vederla spuntare, quando finalmente fa capolino, con occhioni, cappello e il vestito nero di cui ci aveva già parlato McBain è inutile girarci attorno: non è una bella donna che scende dal treno, è la più bella donna che si sia mai vista in un film. Non accetto alternative, anche perché non esistono, considerate blindata la classifica.
![]() |
Si, è stato anche pagato per girare questa scena. Ma il vecchio Henry si è sudato ogni centesimo. |
In un film dove il treno ha un ruolo (anche metaforico) chiave, l’arrivo del treno non può essere qualcosa di secondario, tra i mille talenti di Leone, è impossibile non citare la sua capacità di regalare agli attori grandissime entrate in scena, ecco, quella di Claudia Cardinale è storica. Per il ruolo della bella e risoluta Jill, Leone sapeva benissimo che era necessaria qualcuna in grado di bucare lo schermo, per due minuti ha pensato anche a Sophia Loren, ma posso essere brutalmente onesto? Chissene della Loren, quel ruolo era per pochissime e per una sola in particolare: Claudia Cardinale.
La scena del suo arrivo in treno è una lunga attesa, vediamo sfilare i passeggeri anonimi uno via l’altro e quasi viene voglia di fare «oooooohhh!» aspettando il momento di vederla spuntare, quando finalmente fa capolino, con occhioni, cappello e il vestito nero di cui ci aveva già parlato McBain è inutile girarci attorno: non è una bella donna che scende dal treno, è la più bella donna che si sia mai vista in un film. Non accetto alternative, anche perché non esistono, considerate blindata la classifica.
![]() |
La più bella donna che si sia mai vista in un film. La seconda classificata contro Claudia, arriva quarta. |
Il cinema americano, specialmente quello contemporaneo, è malato di malinconia, si barrica dietro parole come “post-moderno”, ma non fa altro che riflettersi nel suo passato, riportandolo a galla tronfiamente come a dirci «Ti ricordi? Ci siamo divertiti, vero?». “C’era una volta il West” è una lezione cinematografica, l’ennesima nella carriera di Sergio Leone che mette in chiaro quanto di buono possa esserci nella malinconia, perché è chiaro che ti devi ricordare i vecchi tempi andati in cui eri felice per essere malinconico (l’avete visto Inside Out vero?), ma non basta fermarsi al primo strato per risultare malinconici per davvero.
I personaggi e la storia di “C’era una volta il West”, fin dal suo titolo così favolistico sono malinconici e reagiscono in maniera diversa a tale sentimento. Jill è arrivata nel West sperando in un futuro migliore e si trova proprietaria di una fattoria in cui si può giusto coltivare la sabbia in mezzo al deserto, la sua malinconia è quella di chi ha messo in gioco tutto e deve ricostruire tutto nuovamente da capo.
![]() |
A sinistra, dolly a salire sulla cittadina. A destra, Il secondo omaggio di Bob Zemeckis a Leone. |
Gli uomini che ronzano attorno a Jill, sono malinconici in modo diverso uno dall’altro, Cheyenne sarà pure rozzo (con i suoi «Fai finta di niente» e i vari «Almeno lo fai buono il caffè?»), ma è quello che vorrebbe, ma non può, quasi romantico a suo modo («Io, invece, resterei, se potessi»).
Armonica è la malinconia di chi tiene aperte le proprie ferite (l’armonica, suonata come una deguello, una campana a morto), uno che un giorno o l’altro a Sweetwater potrebbe anche tornarci, ma ha vissuto solo per le vendetta ed è venuto solo per quella, un uomo in missione che Bronson recita snocciolando nomi di persone uccise da Frank, ma senza cambiare mai faccia, perché un personaggio così rappresenta il West dei duelli e delle vendette, quello rassegnato al tramonto della sua Era.
Quindi, se due archetipi narrativi così (il buono Armonica e il cattivo Frank) devono sfidarsi, il loro scontro finale dev’essere quello definitivo, il più epico mai visto al cinema che, infatti, arriva a coronare la mezz’ora finale di “C’era una volta il West” che è roba davvero degna degli Uffizzi o del Louvre.
![]() |
Se non fosse già di suo una gran scena, la musica la rende ancora più epica. |
Capisco perché ho perso la testa per il cinema di Leone da bambino, perché il suo modo di narrare per immagini non è mai verboso, racconta una storia nel modo più istintivo (e cinematografico) possibile, è impossibile restare indifferenti davanti ai flashback a campo lunghissimo su uno sfocato Henry Fonda che impiega tutto il film per arrivare fino a noi spettatori e quando lo fa, la musica di Morricone tuona a livelli tipo tamburi del Valhalla e basta una frase («Suona qualcosa a tuo fratello») per dare il via ad un’altra inquadratura (ad allontanarsi questa volta) che spiega tutte le ragioni della vendetta alla base della storia. Cinema puro al suo meglio!
![]() |
Tipo la visita oculistica quando vi chiedono di leggere l’ultima riga in piccolo, ma con un finale decisamente più epico. |
I film della “trilogia del dollaro” sono film più istintivi in cui è facile rimanere affascinanti dalle figure iconiche dei protagonisti, “C’era una volta il West” è carico di quella malinconia che forse si capisce più con un po’ di rughe sul volto, di anni sul groppone, di chilometri negli stivali. Un film talmente grande da lasciare senza fiato subito e da conquistarti ogni volta di più ad ogni visione, perché ci va un certo vissuto per sentirlo più vicino, infatti è quello che mi suscita più ricordi di tutti, a partire dal “titolo” di questo post, una delle “citazioni involontarie” di casa Cassidy.
La malinconia di un’epoca che finisce e ben riassunta dai treni, una vera ossessione per Leone e fondamentali qui. Forse, anche per questo il personaggio di Morton (Gabriele Ferzetti) funziona così bene, perché si porta dentro un po’ di malinconia anche lui che, in fondo, ha la strada (e il destino) segnata come la sua amata ferrovia. Ci sono tutte queste sfumature di malinconia in “C’era una volta il West”, scandite dalla regia di Leone, dalle musiche di Morricone, dal suono dell’armonica e dal fischio del treno che porta il progresso e, per dirla alla Guccini, è un mito di progresso scagliato sopra il continente (americano). Al suo passaggio qualcuno riuscirà ad adattarsi, altri verranno spazzati via perché eroi al tramonto di una frontiera esplorata per intero proprio sui titoli di coda di questo capolavoro. Perché “La conquista del West” l’avrà anche iniziata John Ford, con il suo film del 1962, ma a portarla a termine ci ha pensato un Italiano di Trastevere, con il fischio del treno nell’anno della rivoluzione, il 1968.
![]() |
La vera conquista del West (almeno al cinema) |
A proposito di rivoluzione, tra sette giorni ne abbiamo un paio da affrontare, ci vediamo tutti al Banco Nacional de Mesa Verde! Intanto vi ricordo il post di la Fabbrica dei sogni su questo film.