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C’era una volta in Messico (2003): ay, pistolero!

Ho iniziato questa breve rassegna dedicata alla “Trilogia del Mariachi” con un dialogo, quindi fatemi concludere alla stessa maniera. «Rob, tu devi fare un terzo film con El Mariachi protagonista, deve essere qualcosa di epico, come la trilogia del Dollaro e lo devi intitolare: c’era una volta in Messico». L’autore di questa sparata che però ha centrato il bersaglio, non poteva che essere l’amico e compare di Rodriguez ovvero Quentin Tarantino, uno che in teoria in questo ultimo capitolo della trilogia avrebbe anche dovuto comparire in una piccola parte insieme a George Clooney, giusto per ricordare i vecchi tempi di “Dal tramonto all’alba” (1996), purtroppo per impegni vari entrambi furono sostituiti, il primo nel ruolo di Cucuy dal solito Danny Trejo, che non può mancare in un film di Rodriguez e il secondo nei panni dell’agente della CIA Jeffrey Sands da Johnny Depp, se chiedete a me l’origine di tutti i guai del mondo di “C’era una volta in Messico”, ma andiamo per gradi.

Attorno al 2003 questo tizio era ovunque, peggio della rucola nei piatti (ma poi io dico, il marsupio? Davvero!?)

“Once Upon a Time in Mexico” continua il discorso di Desperado ma con le ambizioni descritte da Tarantino, il film è ancora una volta “Shot, chopped and scored by Robert Rodriguez” come si può leggere nei titoli di testa, che come da sua Carpenteriana abitudine ricopre un ruolo in tutti i reparti che contano della produzione, garantendo la cura per il dettaglio e quell’amore per i vecchi trucchi di una volta che sono il sale del suo cinema.

Un Mariachi non si muove mai senza la sua banda (si, quello è Enrique Iglesias)

Ma “C’era una volta in Messico” è anche uno di quei film che si gioca una faccia nota in ogni ruolo, anche se poi quando uscì in sala ai tempi, il pubblico che aveva ignorato la “Trilogia del Mariachi” era calamitato più che altro dall’ingombrate presenza di Johnny Depp, nel ruolo di uno spudorato agente della CIA, con il compito di mantenere l’equilibrio in Messico anche lasciando qualche cadavere a terra, Thanos dopo di lui avrebbe avuto un guanto piano di anelli per farlo su scala galattica, Sands invece ha un braccio di gomma tipo Elio a Sanremo che utilizza per cenare, tenendo l’interlocutore al tavolo sotto tiro, una sorta di Han Sands shot first, per un personaggio che si nasconde in bella vista, tanto da non farsi problemi a girare per il Messico con la maglietta della CIA, insomma satira di grana grossa, ma in linea con il fumettone ultra violento che è sempre stata la “Trilogia del Mariachi”.

Io che speravo solo di ritrovare questi due invece niente, Depp, Depp ovunque!

Sands contatta El Mariachi (Antonio Banderas) perché sa benissimo che il cartello della droga comandato da Armando Barillo (un Willem Dafoe baffuto che può permettersi di passare anche per Messicano in una mossa alla Orson Wells) sta finanziando il colpo di stato guidato dal generale Marquez (Gerardo Vigil), vecchia conoscenza del nostro suonatore di chitarra, poiché basta il suo sguardo quando Sands pronuncia il suo nome, per farci capire i trascorsi tra i due.

Spogliata di tutto la trama è essenzialmente questa, una vendetta per El Mariachi che di trovare pace proprio sembra impossibilitato dal destino, sullo sfondo di una rivoluzione messicana, in cui si muovono una serie di pedine quasi tutti mosse sulla scacchiera da Sands: l’ex agente dell’FBI Jorge Ramirez (Rubén Blades) in cerca di vendetta per il compare morto, l’atra agente dell’AFN Ajedrez che in quanto fatta a forma di Eva Mendes nessuno prende sul serio ed è anche un po’ la prova che il film è uscito nel 2003, anche perché… Che fine ha fatto Eva Mendes?

Che fine ha fatto Carmen Sandiego Eva Mendes?

Tra gli uomini di Barillo, a fare poco ma con un gran livello di Swagga (mi sia concesso un giovanilismo), troviamo anche l’americano incastrato oltre confine Billy Chambers, interpretato da un Mickey Rourke che ha accettato il ruolo non solo perché in quel periodo pochi gli chiedevano di lavorare, ma soprattutto perché ha potuto portarsi sul set e davanti alla macchina da presa il suo Chiwawa (storia vera). Ora, da quando convivo con cani di piccola taglia, scherzo sempre sul fatto di essermi progressivamente trasformato in Mickey Rourke (a fine carriera eh? Non mi faccio illusioni), quindi il suo Billy Chambers farà anche poco ma è uno dei miei modelli di vita lo stesso.

Tema: “Come sarò da grande”, svolgimento…

Altre facce note? Proprio come nel finale di Desperado, quando il gioco si fa duro i Mariachi suonano i loro letali strumenti in gruppo, quindi a dare man forte al protagonista, arriva Enrique Iglesias, altra prova che il film è del 2003 ma anche una specie di dichiarazione d’intenti per Robert Rodriguez, secondo lui tutti i Western, anche i grandi classici, avevano un vero cantante in un ruolo da attore, quindi per lui Iglesias Junior stava lì a portare avanti una tradizione. Sulla presenza di Cheech Marin invece, non aggiungo molto, anche lui un Pretoriano di Rodriguez tanto quanto Danny Trejo, che qui interpreta un altro sicario, senza legami con quello visto in Desperado, perché tanto è chiaro che Trejo sia il Mario Brega di “Rob Rod” in questa sua personale interpretazione della Trilogia del Dollaro di Leone.

Umorismo Tex-Mex (ah-ah)

Per me il problema di “C’era una volta in Messico”, senza girarci troppo intorno sta tutto nella presenza ingombrante di Johnny Depp, che sul set pare aver improvvisato gran parte delle sue battute, anche se sono piuttosto sicuro che la migliore, ovvero la scena del cuoco diretta con macchina da presa digitale da Rodríguez, sia farina del sacco del regista proprio in virtù di quella ripresa.

Mi sta benissimo tifare per un anti-eroe che conosco come El Mariachi, ma perché dovrebbe fregarmi qualcosa di un “gringo” magheggione e fastidiosamente spavaldo, che fa bella mostra di se sulla locandina, compare in una scena dopo i titoli di coda come se fosse il protagonista e si becca anche tutte le scene migliori? Basta dire che assistiamo alla classica “vestizione dell’eroe” prima di entrare in scena, nella sparatoria finale ambientata durante los dias de los muertos, massima festa Messicana che fino a quel momento era stata celebrata nell’immaginario solo dal videogioco “Grim Fandango”, visto che Coco della Pixar non era ancora uscito.

In ogni caso Manny Calavera era molto più stiloso di te, tzè!

Temo che la logica dello “Star System” abbia solo danneggiato questo ultimo capitolo della “trilogia del Mariachi”, un po’ come se Sergio Leone in Il buono, il brutto, il cattivo avesse reso il capitano dell’esercito unionista interpretato da Aldo Giuffré assoluto protagonista non di una scena, ma di tutto il film, infatti il risultato finale è un po’ scarico di trovate e idee davvero graffianti, ed è un peccato perché i momenti riusciti non mancano.

Ad esempio la sparatoria nella piazza, con le moto da cross che sfrecciano sulle note della (ammettiamolo, tamarrissima) “Pistolero” di Juno Reactor è un vero spasso, ma forse a Rodriguez è mancato proprio il passo epico necessario per concludere la trilogia seguendo il piano accennato dal suo compare Tarantino, posso esprimere la mia teoria? Ho un blog per farlo quindi mettetevi comodi.

Il tutto con QUESTA in sottofondo, brutto? No, solo molto tamarro.

L’idea di Rodriguez di ampliare il campo per questo “C’era una volta in Messico” è di derivazione Carpenteriana, il che lo comprendo perfettamente, non solo per miei gusti personali ma anche perché per Rob Rod il Maestro è sempre stato un ideale nord magnetico verso la quale puntare sempre e comunque. Fateci caso, se nel prologo di Desperado, Buscemi esaltava El Mariachi come il Messicano più alto mai visto, qui Sands smonta quella bufala scherzando sull’altezza di Banderas, proprio come facevano tutti con Kurt Russell in Fuga da Los Angeles. Fino qui ci siete tutti? Occhio che da qui in poi la mia teoria farà saltare questa Bara con qualche scossone.

L’umorismo sul protagonista viene fatto anche attorno al suo nome, infatti qualcuno inizia a scherzare chiamandolo solo “El” come se quello fosse il nome e Mariachi il cognome, ma le ambizioni di Rodriguez diventano chiara grazie all’uso dei flashback: “C’era una volta in Messico” è il terzo film della trilogia, proprio come Fuga da Los Angeles il secondo con protagonista Jena Plissken, ma di fatto entrambi questi film raccontano tra le righe avventure vissute dai personaggi fuori dallo schermo, non mostrate, per lo meno non in un film ufficiale.

Salma, sempre sia lodata!

Per Plissken («Chiamami Jena!») è quella sorta di “Fuga da Cleveland” dove è stato tradito da Hershe (Pam Grier) e arrestato e condotto a Los Angeles all’inizio del film, per El Mariachi invece sono tutti i flashback in cui compare Carolina (Salma Hayek come al solito bella da morire), che non a caso vengono raccontati con un tocco più scanzonato (cioè, ancora di più) da Rodríguez, perché sono dei ricordi felici per il suo incupito protagonista. Ecco perché vediamo i due protagonisti in fuga legati da una catena (non mi metto a scomodare “La parete di fango” ma ci siamo capiti), un passato non raccontato in un film ufficiale, ma solo ricordato come il momento più felice della vita del protagonista.

Ecco perché Marquez è il facente funzione di Hershe in questo film, oltre che ripetere lo schema di El Mariachi in cerca di vendetta per uno dei suoi cari uccisi, proprio come accadeva a Jena Plissken costretto a fuggire ancora da un’altra città, ripetendo lo stesso scema. Sono pazzo e vedo Carpenter ovunque? Avete ragione, ma con Rodriguez di mezzo mi stupirei se questa mia teoria fosse poi tanto campata in aria. Anzi vi ho risparmiato la custodia di chitarra usata come Surf lungo le scale, citazione alla scena di Surf di Fuga da Los Angeles, anzi no, mi sa che ve l’ho appena esposta. Sul fatto che entrambi i film prevedano un presidente di mezzo, ci siete già arrivati da soli perché ormai vi ho trascinato a fondo con me in questo gorgo Carpenteriano.

Un altro giorno passato a parlare di John Carpenter, il mio compito qui è finito.

Forse il difetto vero di “C’era una volta in Messico” è quella mancanza di epica (che non va molto d’accordo con l’umorismo, perché si annullano uno con l’altro) che un titolo così si porta dietro, anche se il duello finale tra El Mariachi e l’odiato Marquez un minimo corregge la rotta, quello scambio di battute fulminante, suona un po’ troppo “scritto” per risultare riuscito davvero («Carolina?», «Morta», «Tua figlia?», «Morta», «E tu?», «Morto», «E io?», «Vivi bene… All’inferno» BANG! BANG! BANG!) però beccami gallina se ogni volta non mi gasa, specialmente quando le rotule di Marquez vengono spappolate dalla doppietta del Mariachi.

Insomma, a metà tra celebrazione e decostruzione del mito, tra epica, commedia e parecchi momenti gustosamente tamarri, anche El Mariachi se ne va (con la fascia tricolore indosso) verso il tramonto come i pistoleri del passato a cui si ispira, spero che abbiate gradito questo ripasso in salsa Tex-Mex, per l’ultima volta… Hasta Luego!

Sepolto in precedenza mercoledì 16 marzo 2022

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