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Challengers (2024): ho visto lei che bacia lui, che bacia lei (che due palle da Tennis)

Inutile girarci attorno, Luca Guadagnino, non penso che sarà mai il mio regista del cuore, ho apprezzato il suo Suspiria perché sapeva camminare (e ballare) sulle sue gambe, almeno fino alla scena finale, semi indifendibile.

Con “Challengers” è tornato a far parlare per il tanto chiacchierato triangolo al centro della storia ambientata nel mondo del Tennis, è se non vado pazzo per il cinema di Guadagnino, il Tennis proprio non lo sopporto. Lo so, lo so! Ora bisognerebbe dire il contrario visto che sono diventati tutti fanatici di un tennista con i capelli rossi, ma visto che su questa Bara sono abituato a dire la mia, le trecentocinquanta ore di una partita di Tennis, da dover attendere prima di potermi gustare dello sport più nelle mie corde come il basket su Sky, anche no grazie.

La storia è presto riassunta: tre giovani tennisti, due ragazzi (il riflessivo Mike Faist e il “caliente” Josh O’Connor) e una ragazza (prezzemolina Zendaya), si conoscono durante un torneo e rinfrescano una figura geometrica cantata da Renato Zero, mentre tensione agonistica e sessuale dovrebbero tenere banco, nel corso degli anni e del loro rapporto. Ecco, dovrebbero.

Guadagnino e il Tennis, dopo questo mi merito un film sul Basket diretto da John Carpenter.

Liberiamo subito il campo da gioco da tutte le pruriginose attenzioni (anche mediatiche) che il film ha cavalcato, “Challengers” non è tanto un film poliamoroso su una relazione a tre che utilizza il Tennis – sport molto amato da chi vuole avere una scusa per godersi trecento ore di ansimi da parte di tenniste e tennisti – come METAFORONE, al netto del risultato posso dire che non somiglia per nulla a titoli di Bertolucci o del mio francese preferito, Truffaut. Le tanto pubblicizzate scene controverse sono essenzialmente un bacio a tre, che può sconvolgere giusto i conservatori più bacchettoni, anche perché poi il resto è tutta una tensione omoerotica, del bromance scappato di mano che resta tutto inespresso, o peggio, si manifesta in scene SOTTILISSIME, come quando uno dei due ragazzi guarda l’altro spavaldo mangiando una banana. No sul serio, vorrei dirvi che sto scherzando ma il simbolismo che Guadagnino si gioca è questo, l’allusione sessuale sulle banane come se fossimo tornati tutti in terza elementare.

Raffinatissima, in pratica ‘na cafonata.

Altra questione chiave, “Challengers” non è un film sul Tennis, Guadagnino è chiaramente interessato a raccontare questo sport più o meno quanto io posso essere interessato a guardarlo. Se i protagonisti si fossero incontrati su un campo di Padel, sull’erba del Golf o durante un torneo di freccette al pub, non sarebbe cambiato un ciuffolo ai fini della trama.

La parte più debole è sicuramente il copione pretenzioso scritto da Justin Kuritzkes, giovane drammaturgo americano reso celebre (per non dire famigerato) da alcuni video virali mettiamola così, leggermente imbarazzanti. Non so se si sia convinto che due bacetti e tanto sesso percepito (perché stringi stringi, poi c’è più fumo che arrosto) possa bastare a sconvolgere gli americani, cioè magari per loro sì, ma basta dire che già solo Zendaya in Euphoria si esibisce in ben altro, quindi che resta di questa robetta che dovrebbe essere sexy e piena di Tennis e invece scarseggia su entrambi i fronti? Resta solo la regia di Guadagnino che in linea con il suo sceneggiatore, sceglie la via dell’esagerato imbarazzo, sopra le righe, con punte di creativa follia, ma sempre imbarazzante.

Sorcini.

Il regista punta sul massimo dello stile, avvalendosi dei suoi storici collaboratori, Sayombhu Mukdeeprom come direttore della fotografia e Marco Costa al montaggio, per non dimenticare la bellissima colonna sonora di sonora Trent Reznor e Atticus Ross, nuovamente a comporre per un film di Guadagnino dopo “Bones and All”, e ve lo devo proprio dire, in cuffia è una figata, ma abbinata alle immagini mi ha convinto molto meno, quindi arriviamo alla questione, la resa visiva scelta da Guadagnino sembra un modo per provare a rendere interessante una trama che non lo è. Vorrei aggiungere anche uno sport che non lo è, ma che io non sia uno da Tennis dovreste averlo intuito.

Il regista si inventa soggettive sui singoli colpi che sembrano il POV di qualche videogioco, mescolata ad inquadrature matte da ogni angolazione, una addirittura da sotto il campo (sì, avete letto bene), per non parlare di palline in CGI lanciate in faccia al pubblico nemmeno fossimo nel capitolo 3D di Venerdì 13, il tutto condito da salti della rete a rallentatore presi in prestito dai cartoni animati giapponesi con cui siamo tutti cresciuti. Un guazzabuglio disperato che comunque nemmeno così, mi ha reso interessante il Tennis, se penso a Ron Howard che ogni volta mi convince a rivedermi il suo “Rush”, anche se io reggo la Formula 1 anche meno del Tennis, beh abbiamo tutta la dimensione del pasticciaccio.

Non so se lei tiene su la racchetta o è la racchetta a tenere su lei.

Va detto che Mike Faist e Josh O’Connor, funzionano, malgrado le velate allusioni sessuali sulle banane di cui sopra, qui trovano almeno il modo di spiccare forse perché Guadagnino dedica loro le sue attenzioni come regista, il primo già si era distinto con l’ottimo West Side Story di Steven Spielberg, ma il secondo non è certo da meno, assurdo quindi che in un film che si gioca così tante soluzioni cinematografiche, tra riuscite e decisamente pacchiane, proprio una che trasuda cinema come Zendaya, nelle mani di Guadagnino sembri costantemente fuori posto.

Nelle scene sexy e ancora di più in quelle di Tennis, lei che in Euphoria ha ampiamente dimostrato di essere a suo agio con il dramma e l’alto contenuto erotico, qui non ha un grammo del carisma o del piglio che sfoggia sempre altrove. Visto che tutto sommato la considero una brava attrice, mi viene da pensare che Guadagnino non abbia proprio capito come sfruttarla al meglio, forse troppo impegnato a cercare di dare un’idea di movimento ad una trama banale e pretenziosa.

Per riuscire a non utilizzare Zendaya alla massima potenza, bisogna anche impegnarsi.

In molti passaggi “Challengers” è divertente da guardare perché stiloso, pieno di trovate visive matte e riuscite che ti fanno venire voglia di assistere alla prossima mattana del regista, che però a caso, senza preavviso e in fin troppi momenti sfocia nel didascalico, nel ridicolo involontario se non proprio nel tragicomico. In un attimo, un film stiloso si trasforma in una parodia sul Tennis come avrebbero potuto dirigerla ZAZ, ma peggio, perché per di più ci crede, ci crede tantissimo di stare facendo qualcosa di serio ed estremamente artistico.

Come mi immagino Guadagnino dietro alla macchina da presa.

Questo clamoroso casino se non altro, sprizza energia, sa di qualcosa di vivo, anche se è una magra consolazione, visto che comunque a fine visione avevo la faccia rossa per i numerosi Facciapalmo che mi sono auto inflitto, uno per ogni scivolone di Guadagnino quindi no, apprezzo lo sforzo, anche di creatività nel cercare di trasformare un copione tanto piatto in qualcosa di vivo e fresco, ma il Tennis e buona parte del cinema di Guadagnino non fanno proprio per me. Game, set and match.

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