Ho pensato che se proprio dovevo scomodare due delle più grandi donne della storia del cinema, per invitarle su questa mia scalcagnata Bara, l’8 marzo poteva essere la data giusta, anche se il film di oggi è talmente grande che forse avrei avuto bisogno di due blog per ospitarlo, o anche solo per mantenere la distanza tra due dive che mettiamola così, non si sono mai volute proprio benissimo, per utilizzare un largo giro di parole.
È innegabile che Psycho di Alfred Hitchcock abbia fatto fare un salto quantico al cinema americano, anche quello di genere, qualcosa nell’aria nei primi anni ’60 era cambiato, un regista in particolare lo aveva capito meglio degli altri, Robert Aldrich a suo modo assimila e fa sua la lezione di Billy Wilder e del suo “Viale del tramonto” (1950), mettendo le mani sui diritti di sfruttamento del romanzo “What Ever Happened to Baby Jane?” di Henry Farrell del 1960, con l’idea di farne un film che ovviamente, nessuno voleva produrre.
«Tu stai scherzando vero Bob? Una roba con due vecchie in una casa, chi la guarderebbe mai?», sto lavorando di fantasia ma è più o meno questa la risposta che Bob Aldrich si è sentito ripetere da un po’ tutte le case di produzione, perché parliamoci chiaro, per le attrici superati gli ‘anta è difficile trovare ruoli ad Hollywood oggi, anno di grazia 2022, figuriamoci sessant’anni fa, perché purtroppo le per donne, più le cose cambiano e faticosamente evolvono, più restano sinistramente le stesse.
A questo aggiungiamo che Robert Aldrich era un professionista con una gavetta di quelle come si potevano fare solo nella Hollywood degli anni ’40 e ’50, dove più o meno venivi gettato in mare aperto con gli squali tutto intorno e se non affogavi o venivi divorato, uscivi con una preparazione che molte scuole di cinema ancora oggi si sognano. Ma il nostro Bob che aveva esordito come passacarte per la RKO, prima di arrivare a firmare tanti film come aiuto regista prima e poi alcuni film di genere come i Western “L’ultimo Apache” (1954) e “Vera Cruz” (1954), non era ancora considerato chissà che grande nome, poco più che un mestierante, ci sono voluti anni e il successo di “Che fine ha fatto Baby Jane?” perché il suo “Un bacio e una pistola” (1955) venisse riconosciuto come il filmone che è, insomma Bob Aldrich è un regista che dopo aver fatto tutta la trafila all’interno di un sistema in cui i registi erano spesso un ingranaggio nella “macchina”, si è tirato fuori a braccia fino a diventare uno dei più grandi nomi di Hollywood, ma per farlo ha dovuto prima credere in questa storia che nessuno voleva e soprattutto, gestire quello che probabilmente è stato il set più difficile e pericoloso della storia della settima arte.
Ma Aldrich credeva davvero in questo progetto, tanto da diventare anche produttore del film, trasgredendo la regola numero uno di Hollywood: mai investire fondi personali in un progetto! Mai! Ma con la Warner Bros. disposta a distribuire il film, a Bob Aldrich non restava che trovare le attrici giuste per i ruoli principali. Ecco forse trovare i fondi alla fine era la parte facile di questa impresa matta.
Per la parte di Jane il regista provò a convincere Ingrid Bergman, Katharine Hepburn, Susan Hayward, Jennifer Jones, Ginger Rogers e Rita Hayworth, portando a casa solo due di picche, nessuna era disposta a calarsi nel ruolo di una ex diva bambina diventata un grottesco mascherone parodia del suo stesso passato, ma per il ruolo di Blanche non andò tanto meglio, nessuna tra Olivia de Havilland, Claudette Colbert e Marlene Dietrich voleva saperne di recitare la parte di una ex famosa su una sedia a rotelle per tutta la durata della storia, ed è qui che la determinazione di Bob Aldrich si mescola con la mistica di questo film e con il mito.
Come diavolo abbia fatto a convincere Bette Davis ad accettare il ruolo di Jane Hudson e Joan Crawford quello di Blanche Hudson è probabilmente il più grande mistero della storia di Hollywood, non era certo un segreto che le due grandi attrici si odiassero, no, non ho detto che provassero antipatia una per l’altra, ho detto proprio odio, quello vero, non si sono mai prese pubblicamente a botte solo per via della loro classe da dive, ma se fosse stato per loro due sarebbero volati i pugni. La teoria più quotata è che Aldrich abbia fatto leva proprio sulla loro rivalità, una non poteva rifiutare un film per cui l’altra aveva accettato di recitare e viceversa, il fatto poi che superati gli ‘anta per entrambe, quel viale del tramonto fosse una concreta realtà ha avuto il suo grosso peso, chi mendica non può scegliere (cit.) ma Robert Aldrich è andato davvero a cercarsela. Se pensate di aver lavorato in ambientini dove l’aria era pesante o di non sopportate i vostri colleghi, ricordatevi del vecchio Bob che per settimane ha dovuto evitare bagni di sangue, o anche solo di essere sbranato da due tigri, su un set rilassato come una partita di Twister giocata su un campo minato.
Bette Davis per calarsi nella parte dell’ex bambina prodigio di Hollywood Jane Hudson, una sorta di Shirley Temple invecchiata nella rabbia di una gloria ormai alle spalle, benzinata a super alcolici e costretta a badare alla sorella paraplegica nella vecchia villa di famiglia (quasi un personaggio all’interno della storia), ha inventato tutta da sola l’aspetto del suo personaggio, anche perché il regista aveva quasi timore a darle suggerimenti, ma il risultato finale è un vero colpo di genio. Quel trucco pesante da Harley Quinn ante litteram che la fa sembrare una delle bambole vendute a 3,25 dollari che la raffiguravano quando era piccola e con un glorioso futuro da attrice davanti a se, sempre un grottesco modo per tenere aperte le proprie ferite, un look che oltre a diventare fonte d’ispirazione (ad esempio per Clara Calamai in “Profondo Rosso” nel 1975) offre davvero la misura di quanto questo film sia un capolavoro di equilibrio sotto tutti i punti di vista, sbaglia quel trucco e il risultato finale sarà una baracconata, ma qui Aldrich, Bette Davis e Joan Crawford erano tre professionisti che Hollywood e i suoi meccanismi li conoscevano fin troppo bene.
Allo stesso modo proprio Joan Crawford qui recita una parte apparentemente dimessa, in cui subisce molto in contrasto con i precedenti ruoli dell’attrice, ma la sua prova passivo aggressiva è un capolavoro di equilibrio perfetto controaltare della sua collega, un doppio miracolo di recitazione considerando che sul set e fuori le due dive si sono fatte la guerra, quella vera.
Per la scena in cui Jane picchia Blanche, la Crawford era preoccupata che la sua collega che ammettiamolo, non aspettava altro, potesse dar sfogo al suo prurito alle mani, purtroppo per Joan Crawford in un’inquadratura ravvicinata non fu possibile utilizzare la controfigura, infatti Bette Davis la colpì così forte in testa che furono necessari alcuni punti di sutura. Ma in tutta risposta nella scena in cui Jane deve trascinare Blanche fuori dal letto per tutta la stanza, la Crawford si imbottì il costume di scena di pesi, consapevole del grave mal di schiena di cui soffriva Bette Davis (storia vera).
Ma sapete come si dice in questi casi no? Quando piove grandina e a contribuire a questa faida ci hanno pensato anche le rispettive figlie delle attrici: la figlia di Bette Davis, Barbara Davis Merrill, compare nel ruolo della figlia della vicina pettegola, mentre quella di Joan Crawford, Cristina, scrisse un libro polemico intitolato “Mammina cara”, da cui poi venne tratto il film del 1981 diretto da Frank Perry, uno di quelli che fanno parte del filone della Hagsploitation, gli horror con anziane signore inquietanti come protagoniste, lanciato proprio da “Che fine ha fatto Baby Jane?”. Può bastare così? Nemmeno per scherzo, il colpo più basso è arrivato dopo, fuori dal set, sul palcoscenico più importante.
Dopo la nomination come miglior attrice a Bette Davis per la sua incredibile prova, Joan Crawford cominciò una sua personale campagna elettorale senza quartiere, il suo obbiettivo? Convincere tutte le altre attrici nominate nella stessa categoria, a lasciare che fosse lei a ritirare l’eventuale premio al posto loro, rendendosi disponibile per l’eventuale e tradizionale discorso. Ovviamente Joan Crawford ricevette degli educati «No, grazie» da tutte, tranne che da Anne Bancroft, che impegnata a New York in una tournée teatrale, aveva giusto bisogno di un piacere (disinteressato eh?) come quello offerto da Joan Crawford. Ora, con tutto il rispetto per la prova di Anne Bancroft in “Anna dei miracoli” (1962), se l’Accademy avesse dimostrato un po’ meno della sua storica avversione per il cinema di genere, Bette Davis si sarebbe portata a casa il premio evitando l’incidente diplomatico, ma di fatto quella sera, Bette Davis rimase seduta a guardare la sua odiata collega Joan Crawford sollevare il premio di miglior attrice. Per la storia, gli annali con le liste dei premi assegnati e i presenti, il premio sarà per sempre meritatamente di Anne Bancroft, ma a Joan Crawford interessava che solo una persona tra il pubblico, una in particolare, la vedesse con il suo Oscar in mano, anni dopo la Davis dichiarò: «Sarebbero piovuti altri milioni di dollari sul nostro film se avessi vinto il premio. Joan fu invece felicissima che non fui premiata» (storia vera).
Se già tutto questo non bastasse a fare di “What Ever Happened to Baby Jane?” un Classido, poi per fortuna resta il film a parlare chiarissimo, meritato logo rosso e poi qualche altro dettaglio.
Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Ne determinano tutto l’andamento, quelli che impiega Robert Aldrich sono poco più di cinque, ma il senso resta lo stesso, perché prima dei titoli di testa il regista si racconta tutto il passato delle sue due protagoniste, si comincia nel 1917 quando Jane Hudson era la piccola grande promessa di Hollywood, consapevole di essere quella che portava i soldi a casa, si comporta in modo dispotico con tutti, specialmente con la sorella Blanche, chiamata dalla madre ad essere più gentile con la sorella, di quanto Jane non lo sia mai stata con nessuno, una sorta di giuramento che sta a Blanche come il “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità” per Peter Parker, quello che ne segna tutta la vita e le scelte.
Aldrich poi è bravissimo a saltare in avanti nel tempo, mostrandoci l’ascesa di Blanche e la caduta in disgrazia di Jane, che a ruoli invertiti finiscono eternamente legate una all’altra dopo l’incidente in auto che arriva prima dei titoli di testa, quello che stronca la carriera a Blanche per sempre, causato dall’ubriachezza molesta dell’odiata sorella. Insieme per sempre nella vecchia e decadente casa di famiglia, va in scena questo “Eva conto Eva” (1950) che sarà anche stato venduto come un thriller drammatico, ma di fatto è un film che pesca a piene mani dalla cassetta degli attrezzi del cinema dell’orrore.
La stessa villa sembra un maniero che come le protagoniste, non vuole rassegnarsi al suo invecchiamento, Blanche vorrebbe liberarsi dell’ingombrante passato vendendo la casa comprata con i suoi soldi, Jane invece sostenendo che sia stata acquistata da papà con il successo dei suoi spettacoli infantili non se ne vuole liberare, restando aggrappata ad un passato che ormai è solo un ricordo. Bob Aldrich in questa affilata critica ad Hollywood poi, gioca tutte le sue carte migliori, scandendo il tempo passato per entrambe le protagoniste utilizzando spezzoni dei film delle due attrici, per Bette Davis “Uomini nello spazio” ed “Ex-Lady” (entrambi del 1933) mentre Blanche finisce ad ammirare una più giovane Joan Crawford alla televisione in “Tormento (1934).
Perché una delle chiavi di lettura di “What Ever Happened to Baby Jane?” sta proprio qui, “Viale del tramonto” di Billy Wilder era Hollywood che rifletteva sul suo passato regalandosi un finale amaro ma tutto sommato dignitoso, un’uscita di scena a testa alta con la famosa frase di Gloria Swanson «Io sono ancora grande, è il cinema che è diventato piccolo!», qui invece di grande non c’è più niente, per tre veterani come Aldrich, Bette Davis e Joan Crawford, Hollywood è una trappola per bambine attrici che invecchiano lasciandosi alle spalle la gloria, un postaccio da cui non si scappa come Blanche che non riesce a comunicare con l’esterno della villa, dove il successo ti fa regredire in uno psicotico stato infantile ed è qui che Bob Aldrich mena il suo colpo più duro.
Chi se li dimentica i gustosi pranzetti (si fa per dire) serviti da Jane alla sorella Blanche? Dei piattini in cui “Che fine ha fatto Baby Jane?” cala la maschera rivelandosi per quello che è, un film dell’orrore in grado di lanciare la Hagsploitation, oltre a regalare brividi che non si dimenticano.
Brividi misti a momenti in cui per quanto orribili e vendicative una con l’altra, come spettatori non possiamo far altro che provare anche un po’ di empatia per le due sorelle, tifare anche un po’ per loro, quando risulta tenere e allo stesso tempo patetica Jane quando si presenta all’impiegato delle poste come la grande Baby Jane Hudson senza che questo ne abbia mai chiaramente sentito parlare? Oppure quanta ansia crea vedere Blanche affrontare le scale abbracciata disperatamente al corrimano, fremendo per la chiamata del dottore o per quel bigliettino lanciato come un messaggio in una bottiglia alla vicina, che di fatto fanno di “Che fine ha fatto Baby Jane?” un Misery non deve morire uscito con largo anticipo, anche rispetto al romanzo originale di Stephen King.
Non ci sono buoni o cattivi nella Hollywood portata in scena in questo film, la cameriera Elvira è costretta a subire il razzismo di Jane mentre il viscido insegnante di musica è solo un altro parassita pronto ad approfittarsi delle passate glorie delle sorelle, ma da quella Hollywood arriva anche la cura per la messa in scena, quella formazione che ha reso Bob Aldrich uno dei più grandi. I costumi, gli oggetti di scena, ogni inquadratura sulla villa o le scelte dei meticolosi primi piani sulle protagoniste, proprio quando la storia ha bisogno di suscitare nel pubblico una reazione o un’emozione, “Che fine ha fatto Baby Jane?” è un manuale di cinema molto più moderno e rigoroso degli anni che si porta sul groppone, potremmo dire invecchiato meglio della titolare del film, cinema di tale fattura non si vede più purtroppo.
Nella critica feroce del film, il colpo di scena degno di una grande attrice, si svolge fuori dalla villa, sulla stessa spiaggia dove Bob Aldrich aveva già girato “Un bacio e una pistola”, che per Blanche e Jane rappresenta l’ultimo palcoscenico, gli ultimi quindici minuti di gloria alla fine di una vita andata in una direzione tutta sua. Ogni volta che rivedo quel finale, non so se sia più dolorosa la frase «Allora, in tutti questi anni avremmo potuto essere amiche» oppure quel gelato che è l’ultimo gesto di completa e totale regressione infantile, pietra tombale su un finale che più horror di così, io francamente proprio non saprei indicare.
“Che fine ha fatto Baby Jane?” è stato un successo che ha rilanciato le carriere delle due protagoniste almeno per un po’, Bette Davis ha replicato Jane Hudson in ruoli da vecchia megera fin dal seguito spirituale di questo film, sempre diretto da Aldrich ovvero “Piano… piano, dolce Carlotta” (1964), in cui avrebbe dovuto recitare anche Joan Crawford, ma venne sostituita per problemi di salute da Olivia de Havilland, per altro, proprio una delle prime candidate per il ruolo di Blanche, a volte Hollywood è un posto di lavoro molto piccolo, bisogna dirlo. Bob Aldrich dopo essere sopravvissuto tra le grinfie di due leonesse come Bette Davis e Joan Crawford è passato a fare altro, firmando capolavori con quasi esclusivamente uomini nel cast, titoli come Quella sporca dozzina e Quella sporca ultima meta (1974), probabilmente per reazione? Anche questo fa parte della mistica di “What Ever Happened to Baby Jane?”
Il lascito del film sulla cultura popolare è enorme, potrei citarvi la nostrana parodia con il Principe Antonio De Curtis, ovvero “Che fine ha fatto Totò Baby?” (1964), ma mi sento in dovere di ricordavi la miniserie Feud, a mani basse il miglior lavoro mai firmato dal prolifico Ryan Murphy, con le straordinarie Jessica Lange e Susan Sarandon a riportare in vita la faida più famosa della storia del cinema. Ecco perché questo 8 marzo non potevo che rendere omaggio a due delle più grandi attrici della storia della settima arte, a Bette Davis, Joan Crawford e a tutte le signore, tanti auguri.
Sepolto in precedenza martedì 8 marzo 2022
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