Nemmeno ricordo più da quanto Joachim Tilloca ed io ci scriviamo via e-mail, il più delle volte me lo ritrovo emergere dal cuore della notte suggerendomi titoli di film che a volte ci sono qui sulla Bara, altre volte vorrebbe trovare.
Di sicuro ho sempre apprezzato il suo stile di disegno, ruvido, istintivo, una sorta di Eduardo Risso che malgrado china e pennelli, riesce sempre a mantenere nelle sue tavole l’originale spunto creativo, quello che di solito solo il primo tratto di matita sul foglio bianco può offrire, prima che il passaggio a china renda il disegno più facile da stampare, più longevo ma anche un pochino più domato, ed ora, gli inevitabili cenni biografici come se io fossi un recensore, uno di quelli seri.
Cresciuto a pane, film e riviste indipendenti, probabilmente ricorderete le matite di Joachim Tilloca sulle pagine dei volumi “Jonathan Steele: Noir”, “Rouge” e “Blanc”, oppure avete avuto modo di leggere “Lime” edito nel 2023 da Oblomov, un fumetto fiume con la prima avventura del suo stropicciato investigatore Jack Plant, antieroe squinternato che torna in questa seconda avventura, leggibile anche separatamente come ho fatto io, anche se giunto alla fine sono rimasto con la voglia di recuperare anche “Lime”.
Trecentosessantotto pagine, in rigoroso bianco e nero, con quel bel tratto spesso ed energico che mi piace ritrovare nelle tavole, “Che fine ha fatto Enola Gaynor?” inizia con una sorta di Ulisse spaziale, che ha il mento di Kirk Douglas come nell’adattamento migliore dell’opera di Omero, quello del 1954 con cui siamo cresciuti in tanti. Questo Ulisse e i suoi compagni però indossano tute spaziali e si muovono in un ambiente Gigeriano che strizza l’occhio ad Alien e fanno la conoscenza di un Polifemo che sembra uscito da Tron e per una volta, non sono io che snocciolo citazioni che vedo solo io, perché sono dichiarate dall’autrice, e non ho sbagliato il genere, mi riferisco proprio ad Enola Gaynor.
Quello che ci ritroviamo a leggere e un fumetto che la celebre Enola Gaynor ha scritto e disegnato per spasso, tra un’esposizione delle sue opere e l’altra, ed è anche il fumetto che tiene tra le mani Jack Plant, perseguitato da telefonate di una misteriosa voce femminile (con l’ormone galoppante) al telefono e incastrato nell’indagine sulla scomparsa dell’artista.
Attesa per la firma delle stampe, l’artista, disinibita, eccentrica e piena di vita è introvabile da giorni, l’intrigo diventa anche un viaggio lungo il viale dei ricordi del gruppo di amici d’infanzia della donna, anche loro dal passato turbolento. Appena in questo “Inception” finiamo di leggere il fumetto nel fumetto, l’Ulisse spaziale, e ci concentriamo solo su quello che abbiamo tra le mani, ci ritroviamo intenti a chiederci quello che tutti i personaggi si domandano, “Che fine ha fatto Enola Gaynor?” appunto, Joachim Tilloca ci lancia un amo, come zio Hitch ci fornisce un’informazione in più rispetto ai personaggi coinvolti per tenerci sulle spine: Enola è attaccata ad un respiratore in quello che sembra un letto d’ospedale, solo ancora più spaventoso, in mezzo a tutto questo, farfalle, odore di vaniglia e tante piste che vanno in ogni direzione ma finiscono per trovarne una, anche molto avvincente.
La narrazione è fluviale, quasi non ci sono interruzioni tra ideali capitoli, l’effetto “Scatole cinesi” domina, si passa senza soluzione di continuità da Noir a Thriller passando per momenti surreali, altri grotteschi e divertenti, vi basti sapere che ad un certo punto mi sono ritrovato davanti Gene Wilder pirata della strada, ma anche Bruno Ganz in un celebre film di Wenders, bellissimo!
Ma prima di aggiungere anche una sola parola, fatemi mettere nero su Bara il motivo per cui apprezzo il lavoro di Joachim Tilloca, la sua capacità di narrare per immagini è superlativa, anche escludendo per un momento la varietà di inquadrature che sa inventarsi, anche per descrivere scene normali, come Jack che risponde al telefono, il bello è che una buona parte di “Che fine ha fatto Enola Gaynor?” lo si potrebbe “leggere” solo guardando le immagini, non è un invito ad ignorare i dialoghi, anzi, ma mi serve per ribadire un talento dell’autore, che in totale libertà mescola i generi e sfrutta le potenzialità offerte dal fumetto alla grande.
Adesso non voglio giocarmi i soliti aggettivi per cui se la trama è onirica allora deve essere Lynchiana per forza, però la soluzione del mistero in bella mostra fin dal titolo, apre una serie di scenari che spaziano, si fa dal racconto sull’infanzia di provincia proto-Zerocalcare, al flashback paramilitare cazzuto che però, si sposa alla perfezione con il fumetto nel fumetto, che non è solo uno sfizio disegnato da Enola ma fa da collante ad una trama fiume che viene voglia di leggere così, in un’unica volata.
Ovviamente al centro di tutto la protagonista, un paradosso umanoide che rappresenta il massimo della creatività ma porta un nome che ricorda il massimo della distruttività, infatti qualcuno a suo modo ci prova a conservarla in quanto rara, o a distruggerla, per lo stesso motivo.
Questo fumetto non posso che consigliarvelo, lo trovate edito da Oblomov esattamente come il precedente “Lime”, che dovrò leggermi per forza adesso, intanto vado a controllare perché non si sa mai a che ora della notte Joachim Tilloca può avermi scritto suggerendomi chissà quale titolo di film.
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