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Chi ha paura delle streghe? (1990) vs. Le streghe (2020): tremate, le streghe sono raddoppiate

Nicolas Roeg e Robert Zemeckis, oltre ad essere due dei registi dalla tecnica sopraffina e non venire mai ricordati abbastanza per i rispettivi talenti, da qualche giorno hanno in comune nelle loro filmografie anche l’adattamento di un romanzo di Roald Dahl. Quindi mi sembra giusto affrontare entrambi i film in un “Versus” a tema!

Chi ha paura delle streghe? (1990)

Tutti noi ricordiamo il grande Jim Henson come artista, burattinaio e padre dei Muppet, ma Henson aveva una spiccata attrazione per il macabro, o per lo meno era uno dei fautori di quella politica ormai purtroppo più estinta dei dinosauri, di trattare il pubblico come persone sveglie, e quando parlo di pubblico, intendo anche i più giovani. A differenza di quanto viene fatto ora, in cui i film devono avere un target di riferimento dai sei ai sessant’anni (e quindi risultano edulcorati), nel corso degli anni ’80 alcuni titoli non avevano paura di trattare ragazze e ragazzi come persone piccole sì, ma dotate di un cervello. Lo stesso Henson ha diretto (o co-diretto) di suo pugno film come “Dark Crystal” (1982) oppure Labyrinth. Ma nello stesso decennio abbiamo avuto titoli che non avevano paura di fare paura ai più piccoli, penso a Ritorno ad Oz oppure “Qualcosa di sinistro sta per accadere”, forse anche per questo Jim Henson fece di tutto per mettere le mani sul racconto originale di Roald Dahl, pubblicato nel 1983 intitolato “Le streghe”.

Uscito nel 1990 e in uno strambo Paese a forma di scarpa con il titolo “Chi ha paura delle streghe?”, questo film ha concluso un’era, non solo per l’uso degli effetti speciali tradizionali che sarebbero di lì a poco stati spazzati via dall’arrivo della CGI, ma anche perché è stato forse l’ultimo film per ragazzi che non aveva remore a strappar loro qualche brivido, la scelta di affidare la regia ad uno come Nicolas Roeg ha influito, bisogna dirlo.

«Potresti salutarmi il tuo papà? Mi piacevano tanto i suoi film»

Nicolas Roeg in carriera ha diretto molti film di culto, ma nessuno di questi era un film per ragazzi, anche se “L’uomo che cadde sulla terra” (1976) lo guardavo da piccolo e mi ha cambiato la vita (e i gusti musicali) in meglio, ma io sono sempre stato un tipo abbastanza macabro, quindi faccio poco testo. Roeg era uno che sapeva come maneggiare alla perfezione il cinema Horror (Il suo “A Venezia… un dicembre rosso shocking” del 1973 è una meraviglia) e il suo “Chi ha paura delle streghe?” sembra un po’ il cameo di Stephen King nei Simpson, la storia di uno che ci ha anche provato a fare una storia per bambini, con tutte le migliori intenzioni del caso, ma è talmente abituato a terrorizzare gli adulti che anche avvolgendosi entrambe le mani in due strati di pluriball per dirigere, le carezze su un pubblico di piccoli, sembravano lo stesso schiaffoni, ma andiamo per gradi.

“Chi ha paura delle streghe?” nelle mani di Roeg diventa un romanzo di formazione, su un bambino che impara a fare i conti con l’esistenza della morte, poi dentro ci troverete pozioni e topolini parlanti a profusione, ma il succo della storia è questo. La trama comincia in Norvegia, dove il protagonista Luke Eveshim (Jasen Fisher) è ospite della nonna Helga (Mai Zetterling), una che pure senza che ci venga detto apertamente, pare saperla lunga in fatto di magia, tanto che ci delizia con la storiella della bimba intrappolata da una strega nel quadro, e costretta a passare la sua vita invecchiando dentro una cornice. Già di suo un racconto così sarebbe materiale per Dario Argento ma andiamo avanti.

«Abbiamo già i nostri problemi, lascia stare Dario Argento»

Ma mentre siamo ancora qui a pensare ad una poveretta intrappolata per sempre in un Teomondo Scrofalo originale, il film si gioca un momento leggero: i genitori di Luke muoiono in un incidente stradale. Ah finalmente qualcosa per i bambini era ora! Ma a settembre la scuola ricomincia quindi Luke e la nonna (ormai sua tutrice legale) tornano a casa in Inghilterra e qui la donna ragguaglierà il ragazzo sull’esistenza streghe, d’altra parte ha appena perso i genitori, mi sembra giusto tranquillizzarlo in qualche modo.

Le streghe esistono e vivono tra noi, odiano i bambini con tutte le loro forze e vorrebbero fare di tutto per avvelenarli regalando loro caramelle, di fatto la spiegazione di Roald Dahl sul perché non si debbano accettare caramelle dagli sconosciuti. Le streghe sono donne orribili con un costante prurito alla testa provocato dalle loro parrucche, non hanno le dita dei piedi e per questo camminano in modo strano indossando sempre scarpe chiuse, insomma sono al limite dell’accusa di misoginia, gli è andata bene a Dahl di aver scritto il suo libro molto prima dell’invenzione dei Socialcosi.

«Portatemi Cassidy vivo, voglio trasformarlo in un toporatto»

Lo scontro diretto tra Luke, sua nonna e le streghe arriverà in un albergo dove si svolge un convegno della Reale Società per la Protezione dell’Infanzia, che in realtà nasconde un raduno di streghe, radunate dalla strega suprema Eva Ernst (una magnifica Anjelica Huston), pronta a scatenare su tutti i bambini d’Inghilterra la sua “soluzione finale” per avvelenarli tutti a colpi di dolcetti gratuiti da distribuire in catene di negozi. Di fatto la moderna globalizzazione da “Franchising” dei negozi applicata alla favola per bambini.

Innegabile che la parabola del romanzo di formazione sia tutta da vedere, Luke apprende dalla nonna che nella vita possono accadere molte cose brutte, come ad esempio perdere i genitori troppo presto, dopodiché affronta la morte in persona, ovvero le streghe e malgrado i tentativi di stemperare, rappresentanti dal direttore dell’albergo Stringer (lo spassoso Rowan “Mr. Bean” Atkinson), il film mena il suo colpo più duro proprio nell’entrata in scena delle streghe… Time Out Cassidy!

Mr. Bean, l’ultima catastrofe.

Prima della sua uscita il film era stato oggetto di una campagna promozionale bella spinta, ad esempio ricordo un paio di foto pubblicitarie sulle pagine di uno a caso tra “Il corriere dei piccoli” o “Il giornalino”, che non erano proprio le mie letture abituali ai tempi da bambino (di solito preferivo Bonvi e Cattivik), ma in vacanza con la famiglia mio padre mi aveva preso qualcosa da leggere dalla vicina edicola (da sempre fonti di gioia per il sottoscritto), senza sapere che all’interno facevano mostra di sé due enormi fotografie del trucco di scena applicato (dopo sei ore di lavoro, storia vera) sul volto di Anjelica Huston. Una meraviglia di effetti di trucco vecchia scuola che però oltre al grottesco nasone (con verruca sulla punta), faceva sembrare la figlia del grande John una sorta di gatto pelato umanoide, per la gioia di mia madre, disgustata dalla fotografia (storia vera).

Corvo Rosso non avrai il mio scalpo.

Il ricordo più forte che ho del film, era proprio l’attrazione e repulsione per quell’articolo dedicato al film, perché inutile girarci attorno, “Chi ha paura delle streghe?” sarà stato anche rivolto ai ragazzi ma è un horror a tutti gli effetti. Diventa chiaro e lampante nella scena in cui le streghe sbarrano la porta della grande sala d’albergo e si “svestono” dei loro orpelli, rivelando la loro contorna natura sotto il travestimento, tra piedi monchi, teste pelate purulenti e arrossate le streghe sono creature da film horror, guidate da una Anjelica Huston semplicemente meravigliosa nel ruolo di cattiva a tutto tondo, ma terrificante nel suo trucco da creatura da incubo.

Comunque meglio di molte dive con il botox.

Nicolas Roeg poi cerca di trattenersi, ma è chiaro che il suo istinto registico non possa essere tenuto a bada, molte delle inquadrature del film sono dal basso, ad altezza bambino, tranne quelle che rappresentano il punto di vista di Anjelica Huston, che invece sono tutti angoli di inquadratura impietosi e dall’alto, come a mostrare il disprezzo della strega suprema per i bambini che osserva ma a proposito di angoli di inquadratura, Roeg tiene la macchina da presa a quarantacinque gradi rispetto alle streghe, il classico “Angolo olandese” (anche noto come “Dutch Angle”) che è perfetto per esaltare la natura grottesca delle streghe, il cui “spogliarello” è puro Horror anzi a voler essere precisi, la trasformazione di Luke in un tenero topino, scivola quasi nel “Body Horror”. Niente male per il vostro classico film per il vostro film per ragazzi!

Uomini Bambini e topi

Se l’incredibile trucco di Anjelica Huston è una meraviglia di Jim Henson, allo stesso modo lo sono i topolini in cui Luke e i suoi amici vengono trasformati, un riuscito miscuglio di topolini realizzati con gli effetti speciali analogici dell’epoca, mescolati a veri topolini. Il bello è come Roeg con la sua regia e il montaggio, ha saputo passare dai primi ai secondi, senza mostrare (troppo) il trucco, un risultato finale che contribuisce a rendere “Chi ha paura delle streghe?” un film invecchiato ma con grazia, in grado di tenere in tensione per quasi tutto il tempo, che sia con lo scontro con un grosso gatto nero, oppure per il piano finale, della pozione versata nella minestra.

Ah un topo! (anzi due)

Bisogna dire che dopo lo “spogliarello” delle streghe il film (e la storia) non ha più un altro momento altrettanto forte, però il film tiene sul filo fino alla fine, anche se perde qualcosa rivedendolo da adulti. Inoltre il film è riuscito nell’impresa di guadagnarsi l’ira funesta di Roald Dahl, disgustato dal modo in cui secondo lui, la pellicola avrebbe semplificato le sfaccettature del suo romanzo, solo Jim Henson parlando con lo scrittore, è riuscito a convincerlo a restare a bordo senza togliere il suo nome dai titoli di testa come aveva minacciato (storia vera). Ma nemmeno l’ottimo incasso al botteghino del film servì a placare completamente Dahl, i cui adattamenti cinematografici sono sempre stato piuttosto edulcorati dal cinema bisogna dirlo, ma in questo caso il finale della storia è stato anche modificato, perché dopo alcuni test di prova non piaceva più di tanto al pubblico, anche se a ben guardare era il giusto finale per un romanzo di formazione su un ragazzo che impara che nella vita, la morte è un fattore che ha il suo peso. Bisogna dirò però che per lo meno per il finale, ci ha pensato la nuova versione del film a correggere un po’ il tiro.

Le streghe (2020)

I film annunciati e mai realizzati, per questioni di tempo, pochi fondi e sfortuna, da parte di Guillermo del Toro, sono decisamente più di quelli che è riuscito per davvero a produrre o dirigere, anche per questo sono solidale con lui, è una caratteristica che lo accomuna a tutti i miei registi preferiti.

Attorno al 2008 Guillermone sognava un film d’animazione ispirato al romanzo di Roald Dahl, ma il progetto non attirò l’attenzione di nessuno e non venne mai messo in produzione, malgrado una sceneggiatura già pronta (storia vera). Dal limbo chi ha ripescato questa storia? Un altro dei miei prediletti Robert Zemeckis, uno che in comune con Nicolas Roeg ha una certa classe e stile nel muovere la macchina da presa, ma se il primo verrà sempre ricordato per i suoi Horror, il vecchio Bob è nel cuore di tutti per Ritorno al futuro, come potrebbe non esserlo?

Vi assicuro che non è “Il diavolo veste Prada 2” (anche se potrebbe sembrarlo)

Eppure Zemeckis è da sempre un pioniere, uno che con i suoi film cerca sempre nuovi modi di integrare animazione e regia definiamola classica, fin da quel capolavoro senza sterzo di Chi ha incastrato Roger Rabbit. Quindi bisogna dire che un progetto come “Le streghe” nella sua filmografia, non è certo una nota stonata, a ben guardare è a metà tra i suoi film in animazione 3D (“Polar Express”, “La leggenda di Beowulf” e “A Christmas Carol”, nessun propriamente esaltante) e l’ultimo Benvenuti a Marwen, per buona parte interessante, quanto passato inosservato al grande pubblico. Insomma con un occhio alla sua parabola di autore ed un altro al portafoglio, Bob Zemeckis ha ripescato la sceneggiatura di Guillermo del Toro, solo che una pandemia globale (potreste averne sentito parlare, su qualche giornale hanno scritto qualcosa in merito) si è messa tra lui e le sale cinematografiche, relegando il film ad un’uscita in streaming, alla moda del 2020.

“Le streghe” di Zemeckis sposta l’azione dalla vecchia Inghilterra degli anni ’80, all’Alabama degli anni ’60 (quella di “Forrest Gump”? Beh più o meno gli anni erano quelli) facendo la scelta un po’ paracula, di rendere il protagonista (Jahzir Kadeem Bruno) e sua nonna (Octavia Spencer, fin troppo giovane ma azzeccata per la parte) due attori di colore, una scelta che so già, verrà criticata da tutti quelli pronti a predicare il fatto che tutti noi viviamo nella “dittatura del politicamente corretto”, ma che posso ammetterlo? Non snatura per nulla i personaggi, anzi aggiunge qualcosa alla loro caratterizzazione, anche se è chiaro che protagonisti neri (come buona parte della manodopera nell’albergo) contro delle cattive bianche, diventa una distinzione che normalmente definirei manichea, ma sempre di un film per bambini si tratta no?

«Vuoi dire qualcosa piccolino?», «Wakanda per sempre!»

Nel ruolo di Stinger questa volta troviamo Stanley Tucci, mentre la grande strega suprema ha il volto di Anne Hathaway, se riuscite a superare l’effetto “Il diavolo veste Prada” (2006), che questi due attori di nuovo insieme può generare, bisogna dire che possiamo almeno divertirci con il diavolo impersonato dalla Hathaway, che grazie alla CGI perde alcune dita di troppo e guadagna un sorriso sovradimensionato, un po’ nello stile del Kakihara di Miike. Di suo però ci mette un accento se non proprio Russo, almeno dell’est Europa che la fa sembrare subito una cattiva da fumetto, ma lo dico nel senso più positivo del termine, lo sapete che mi piacciono i fumetti e poi l’esagerata teatralità utilizzata da Anne Hathaway si presta molto bene al personaggio.

Non si attacca al lavoro del tuo dentista.

“Le streghe” fa meno paura di “Chi ha paura delle streghe?”, ovvio! Siamo nel 2020 un film come quello di Roeg verrebbe dato alle fiamme dalle associazioni genitori oggi, inoltre Robert Zemeckis ha una lunga esperienza nel cinema per ragazzi, quindi la scena dello “spogliarello” delle streghe più che cercare di strappare un brivido, vuole per prima cosa divertire e poi in seconda battuta risultare anche un po’ paurosa, di fatto l’esatto contrario di quanto faceva Nicolas Roeg.

Inoltre, proprio perché siamo nel 2020, possiamo scordarci l’utilizzo dei vecchi trucchi prostetici, qui sostituiti da una CGI che in particolare per l’animazione dei topolini, risulta già vecchia mentre guardiamo il film (figuriamoci tra cinque anni) e anche qui sorge un problema: ha senso raccontare le disavventure di alcuni topi in cucina dopo che la Pixar e Brad Bird hanno già detto tutto sull’argomento con “Ratatouille” (2007)? A mio avviso no, anzi forse già Guillermo del Toro sarebbe arrivato tardi se il suo film d’animazione avesse mai visto la luce. Già Guillermone! Un paragrafo se lo merita anche lui.

Vi assicuro che non è “Ratatouille 2” (anche se potrebbe sembrarlo)

Raramente troverete in giro qualcuno che vorrà più bene (artisticamente parlando) al regista Messicano del sottoscritto, ma non sono un “fanboy” con le fette di prosciutto sugli occhi, le sceneggiature sono spesso la parte più debole del suo cinema. Per quanto vogliano raccontarla, sul fatto che questo film è ispirato al romanzo originale (lo è, ma solo in una scena… Tra poco ci arriviamo), diventa chiaro guardandolo che il modello di riferimento per del Toro è stato proprio il film di Nicolas Roeg, contro cui però va sotto bevendo dall’idrante, senza nemmeno dover aspettare il giudizio di Padre Tempo, il miglior critico cinematografico del mondo.

L’unica vera novità del film è il finale, che poi è quello che Roald Dahl aveva pensato per il suo libro, che qui viene riportato identico, un modo di imparare ad accettare sé stessi che funziona sempre come finale in una storia per ragazzi e che per certi versi, era il finale giusto del romanzo di formazione orrorifico scritto da Dahl, quindi a ben guardare, per avere un quadro completo della storia come l’aveva pensata Dahl, se non avete voglia di leggervi il libro (anche se fareste bene a farlo), dovrete guardarvi entrambi i film. Chissà cosa avrebbe pensato lo scrittore di tutto questo.

«Abbiamo anche le barrette di cioccolato di Willy Wonka»

Risultato finale: davanti ad un classico che trent’anni fa (ma anche oggi) aveva tutto per spaventare e intrattenere il pubblico, e alla sua nuova versione arrivata giusto in tempo per il compleanno, non saprei cosa consigliarvi di far vedere ai vostri bambini. Se pensate che possano reggere meglio il colpo vi direi il primo, anche se come effetto collaterale, un giorno da grandi potrebbero ritrovarsi a fondar un blog dal nome macabro, quindi ecco, forse con il secondo andate più sicuri da questo punto di vista. Ma tanto di cappello ad Anne Hathaway, non era facile lo scontro diretto con Anjelica Huston. Prossimo passo Anne? Ti tocca Morticia Addams, tanto ho letto che Tim Burton è al lavoro su una nuova versione della famiglia Addams, ecco questo mi fa un po’ paura!

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