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Chi segna vince (2024): undici sotto 31 a 0

Per il prossimo Halloween ho deciso che mi travestirò da Taika Waititi per essere sicuro di terrorizzare tutti i Nerd. Si, oggi parliamo dell’ultima fatica del tanto chiacchierato regista.

Facciamo i conti: una storia legata a Star Wars, l’adattamento americano di Akira e un film tratto da un fumetto di Alejandro Jodorowsky. Questi sono i progetti a cui il nome di Taika Waititi è stato associato che hanno già scatenato crisi di bruxismo tra le fila dei Nerd e il nostro che cosa fa? Se ne esce con una commedia ambientata nel mondo del calcio, che è allo stesso tempo una biografia, ispirata ad una storia (vera) talmente tanto inclusiva già di suo che probabilmente, la “luce verde” per l’avvio della produzione Waititi l’ha vista direttamente dalla sua nativa Wellington in Nuova Zelanda.

Io, il prossimo 31 ottobre, in giro vestito così, siete avvisati!

Il regista di JoJo Rabbit ha una cifra stilistica chiarissima ma anche delle tematiche altrettanto lampanti, Il suo nuovo lavoro “Next goal wins” le porta all’estreme conseguenze entrambe, quindi se vi piace il suo stile accomodatevi, se lo odiate, non è questo il film che vi farà far pace con Waititi, ma è quello che renderà il mio travestimento di Halloween efficacissimo.

Eppure posso dirlo? In un panorama popolato da “Biopic” oneste e credibili come una banconota da tre Euro, che si spacciano per vere, quando invece sono un modo becero di riscrivere la realtà spacciandola ad un pubblico sempre più pigro quando si tratta di verificare le fonti, Taika Waititi apre il suo film rompendo la quarta parete: nei panni del piccolo ruolo di predicatore che si è ritagliato qui, si rivolge al pubblico dicendo proprio che questa è una storia vera, almeno in tutte le parti che non sono state un po’ romanzate. Sembra una roba da nulla, ma è una mossa più che apprezzabile visto come siamo combinati a livello di incapacità generale di distinguere la realtà dalla finzione, a tutti i livelli.

«Vinceremo!», «Ah perché si può anche vincere a questo gioco? Noi giocavamo più per partecipare»

La storia è quella della peggior squadra di calcio di sempre, le Samoa americane, entrati nella storia dalla parte sbagliato quando, durante le qualificazioni per i mondiali nel 2001, hanno perso una partita contro l’Australia 31 a 0, una ripassata degna delle sconfitte a Baseball della squadra di Charlie Brown, da cui la piccola isola e il portiere Nicky Salapu (Uli Latukefu) devono ancora riprendersi. L’unica soluzione è mandare giù il rospo, sperare che la sindrome del “salvatore bianco” non abbia la meglio è rivolgersi all’estero per trovare un Coach. Che poi io dico, ma l’allenatore a calcio non si chiama Mister? Anni di ex compagni di squadra, sbarcati nella pallacanestro arrivati dritti dal calcio e cazziati male, ogni volta che chiamavano l’allenatore “Mister” e poi arriva questo film, che sia in originale che doppiato, usa il termine “Coach”, sono confuso, deve essere una tradizione delle Samoa americane.

Il Mister o Coach, insomma l’allenatore scelto è il più disgraziato possibile, un olandese di stanza in America con evidenti problemi di alcool e gestione della rabbia di nome Thomas Rongen, che nella sua vita incredibile ne ha fatte di tutti i colori, oltre a potersi vantare di essere stato interpretato anche da Michael Fassbender, che malgrado qui sia di nuovo biondo come in Prometheus (brutto segno!) rappresenta uno schiaffo in faccia alla mania del «ma è ugualeeeeee!» che sembra piacere a tanto, troppo pubblico, quella per cui si preferisce un sosia ad un attore di talento chiamato a fare quello per cui è capace, ovvero recitare. Quindi anche per questo bravo Waititi e bravo Fassbender che dopo The Killer, sembra aver capito come fare a scegliersi i ruoli per spiccare, finché dura bene così.

Fassbender pensa ad una porzione della sua filmografia e ci beve su.

Il film capite da soli che viene fuori naturalmente, il rude Coach (o Mister?) arrabbiato con il mondo, che affronta a muso duro la cultura e lo stile di vita delle Samoa americane, dove si vive a 30 chilometri all’ora, direi come a Bologna ma non vorrei scrivere battute che tra due anni risulteranno invecchiate male, perché per quelle ci pensa già Taika Waititi, che si attesta sulla modalità: una gag ogni quattro secondi, che sia buona o meno non importa.

Lo ammetto candidamente, Waititi prova a giocare a carte coperte ma il dramma di Thomas Rongen, che sfocia nella sua confessione/discorso a cuore aperto, comunque migliore rispetto al ripetere a memoria il monologo di Al Pacino in “Ogni maledetta Domenica”, si capisce con metà film di anticipo, quindi è una non-rivelazione. Allo stesso modo le battute simpatichine abbondano, ma l’unica dove ho davvero riso (complice il mio umorismo nero) è stata la scena del Bus, mi avrà ricordato Jacques Tourneur? Chissà, sta di fatto che “Next goal wins” è un film per tutti, il classico “Feel good movie” lo chiamano gli amici americani, non per forza di Samoa.

A ben guardarlo questo è un po’ il Cool Runnings – Quattro sottozero di Waititi, con il calcio al posto del bob a quattro e Fassbender al posto di John Candy, la differenza è che qui la storia vera alla base permette ad un certo punto di avere idealmente due protagonisti, mi riferisco ovviamente a Jaiyah Saelua (Kaimana), la prima calciatrice transessuale (fa’afafine, nella cultura samoana) a giocare in una nazionale di calcio, personaggio che continuando con i paragoni, è un po’ l’Alien Willie Beamen (Jamie Foxx) del Fassbender/Al Pacino ossigenato della situazione.

«Non ci posso credere che questa sia una storia vera», «Nemmeno Hollywood, ci hanno messo in produzione in un baleno»

Va detto che i personaggi saranno anche stereotipati, ma sono stati tutti assegnati all’attrice o all’attore giusto (anche le parti più piccole come quelle di Elisabeth Moss o Will Arnett, chiamato a sostituire al volo il controverso Armie Hammer rispedito in panchina), quindi il film funziona se siete disposti a mettere in conto trovate comiche che vanno dal simpatichino allo scadente.

Dove invece Taika Waititi si conferma nel suo è nelle tematiche, che sono sempre le stesse dei suoi chiacchierati film di Thor, ovvero trovati una famiglia non per forza biologica e sarai felice, ma forse il vero asso nella manica di “Next goal wins” è la questione che meno mi interessa di tutte: il calcio.

«Non potete far finta che vi abbia detto qualcosa con il carisma di Al Pacino? No vero? Vabbè!»

Qualcuno sostiene che tra gli sport al cinema, il più amato dagli italiani sia anche il meno cinematografico, per certi versi sono molto d’accordo, ma Waititi, che fa lo scemo ma non lo è, qui trova un modo del tutto cinematografico di rendere avvincente anche una partita di calcio, sport che dal mio modesto punto di vista, non lo è affatto. Fino ad un certo punto racconta gli eventi in modo canonico, o almeno lo fa finchè fa comodo a lui, quando poi la partita diventa la scusa per apparecchiare il tavolo e diventare palcoscenico per i sentimenti dei suoi personaggi e i loro rapporti, allora il registro narrativo cambia, la partita non ci viene più mostrata, ma raccontata, perché qualunque sia il risultato sul campo, già il fatto di averla giocata quella partita, e di averlo fatto alle proprie condizioni, senza snaturarsi, fa della partita stessa epica, leggenda da tramandare, un racconto appunto. Quindi mi viene da pensare che per raccontare bene l’epica del calcio al cinema, ci voglia un regista capace, anche di coglierne solo i momenti migliori

«Fatemi vedere la vostra faccia da guerra!», «Qui di solito facciamo l’Haka Mister Coach»

Quindi no, se odiate con tutte le vostre forze Taika Waititi questo non è il film che vi farà cambiare idea (… attenti il prossimo 31 ottobre, guardatevi le spalle), ma se volete una biografia tutto sommato onesta, un filmetto per tutti fatto di buoni sentimenti, solare e colorato che si impegna tantissimo a fare lo scemo (ma non lo è), accomodatevi tanto a questa partita possono giocare tutti, anche voi se volete, visto che il film si trova comodamente su Disney+.

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