Mi trovo in una condizione complicata, per decidermi a
scrivere qualcosa sul primo Clerks ho
aspettato più di vent’anni, per un post sul secondo film più di quindici dalla sua uscita, mentre per “Clerks III” sono passati
solo alcuni giorni e francamente mi viene voglia di citare Dante Hicks: «Io non
dovevo neanche essere qui oggi»
Babol sui
social-cosi mi ha chiesto se questo terzo capitolo era da vedere o se sarebbe
stato meglio aspettare anni, come suo solito è andata dritta al punto. Tra
Kevin Smith e me ballano tredici anni, questo non mi ha impedito di amare da
subito i primi due “Clerks” fin dalla prima visione, forse per questo terzo
capitolo dovrei aspettare, mettere qualche altro chilometro sul
contachilometri, arrivare a cinquant’anni, allora forse lo sentirò più mio, o
forse no, sta di fatto che visto che devo scriverne nello stesso anno della sua
uscita, per me la visione di “Clerks III” ha avuto un andamento ondivago, tipo
titolo in borsa.
Inizio sparato alla grande, poi una lunghissima ma
inesorabile discesa, quasi a rendere la mia linea della vita (di spettatore)
piatta. Poi quando ormai avevo smesso di crederci un guizzo, acuto, altissimo. Vuoi
vedere che Smith aveva davvero un piano? Purtroppo è stata una breve illusione,
a quel punto mi sono augurato che il buon Kevin facesse finire il film nell’unico
modo possibile (SPOILER: lo fa), con abbondane abuso di “effetto lacrimoni” e
una parola che mi ha ronzato in testa per buona parte dei 100 minuti del film: paraculata.
Scusa Kev, non lo scrivo a cuor leggero.
Mi scusi anche con voi Bariste e Baristi, perché il post
seguirà un flusso tutto suo e non so bene che faccia avrà quando sarà finito,
ma con il cinema di Smith un minimo di coinvolgimento è necessario, quindi
iniziamo da un punto storicamente ottimo per cominciare, l’inizio. Vi avviso, mi sono tenuto moooooolto sul vago, senza SPOILER sulle svolte grosse, però qualche dettaglio di trama potreste trovarlo, consideratevi avvisati.
Oltre ai film, i fumetti, il suo Podcast e l’essere il
padrino dei Nerd, Kevin Smith ha creato su un suo impero attorno al “View
Askewniverse”, che prevede anche una serie di esibizioni dal vivo, perché “Silent
Bob” quando apre bocca è una mitragliatrice. Nel febbraio del 2018 Kev si stava
recando ad uno dei suoi spettacoli, quando un dolore al braccio lo ha costretto
a cancellare l’esibizione. Una corsa in
ospedale e un’operazione molto delicata dopo, Kevin Smith ha rotto il silenzio
sul suo stato di salute a suo modo, twittando dal letto dell’ospedale la
mattina del 26 febbraio 2018: «Se non avessi cancellato il secondo spettacolo
per andare in ospedale, sarei morto questa sera. Ma per ora sono ancora sulla terra!»
Quando sopravvivi ad un fortissimo attacco di cuore, noto come “vedovatore”
(storia vera) è normale che il tuo punto di vista cambia, motivo per cui Jay and Silent Bob Reboot sembrava tanto
un modo per tirare le file e riallacciare vecchi rapporti, ogni riferimento
alla fine della faida con Ben Affleck è puramente voluto. Un film tendente al
lacrimevole, parecchio paraculo ma tutto sommato simpatico, perché lo ammetto,
da Jay e Silent Bob mi aspetto anche questo, ma con Dante e Randall la faccenda
è diversa, se la coppia di sballoni sono la spina dorsale del “View
Askewniverse” e una loro deriva malinconica ci può anche stare, i commessi del
Quickstop sono il cuore dell’universo narrativo di Smith, con il cuore non si
scherza. Cazzo mi è venuta fuori una freddura alla Kevin Smith sull’infarto di
Kevin Smith!
“Clerks III” applica la stessa identica formula di Jay and Silent Bob Reboot, basta dire
che quando ha bisogno di strappare un po’ di brividi facili, Smith
ricorre alle note dei miei preferiti, era Daughter
nello scorso film, qui invece il regista opta per Just Breathe, il pezzo più caramelloso e inflazionato del gruppo,
quello che quando i Pearl Jam suonano dal vivo, vuol dire che è ora di andare a
procurarsi altra birra. Sono cattivo e senza cuore? Tanto ad ogni nuovo post
che scrivo qualcuno mi dice che sono un illuso o un cinico, di destra o di sinistra,
maschilista o femminista, ormai ho le (s)palle larghe.
Se l’idea di sfruttare la moda dei Reboot per prenderli in
giro, pagava alcuni dividenti con Jay e Silent Bob, per “Clerks III” diventa canone,
mentre guardavo il film, in quella sua lunga fase calante che ho provato a
descrivere, mi sono ritrovato a pensare che non ci fosse poi molta differenza
tra questo film e varie operazioni truffa come Il risveglio della Forza o Ghostbusters – Legacy, seguiti che in realtà sono rifacimenti con gli stessi
protagonisti (ma anziani) che danno al pubblico quello che vuole, ovvero lo
stesso film che conoscono già a memoria, ma nuovo. Per di più sfruttando una
morte o i morti, per creare scalpore, come a voler dire correte a vedere il
film perché succederà qualcosa di grosso, anche se devo dirlo, Smith ha
decisamente più a cuore i suoi personaggi di un GIEI GIEI qualunque, così anche
oggi una picconata in faccia al “maledetto” l’abbiamo data, mi sento già un po’
meglio.
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Ma poi io dico, per vedere Clerks a colori bastava guardare il video dei Soul Asylum, Smith lo aveva già diretto. |
Ora io non so se la dedizione di Smith al THC lo abbia reso
più tendente alla lacrima facile del solito (nel bel documentario sulla sua
carriera “Clerk”, del 2021, sembrerebbe così), oppure se quando avrò colmato
quei tredici anni d’età che mi separano dal buon vecchio Silent Bob, inizierò
anche io ad amare i film basati sulla malinconia brutta, quella ricattatoria
dei due brutti esempi che ho citato prima. Anche se quello che sto per dire
sembra uscito dritto da Inside Out,
ci vuole la malinconia nella vita, Smith con Clerks II aveva saputo dosare benissimo quella del tipo
più sano, quella che ti spingere a muovere il culo invece di crogiolarti,
invece mi sembra che ormai quel super potere che una volta Kevin aveva, sia
andato in tilt, anzi ne sono piuttosto certo. Tusk sta lì, come una prova di quanto ormai il cinema di Smith sia abbastanza ricattatorio quando cerca di invocare i sentimenti del pubblico.
“Clerks III” parla di morte, lo fa da subito, con quel suo
inizio in crescendo tanto da sembrare il climax del capitolo precedente, dove Smith
ci mostra la vita al Quickstop come se nulla fosse cambiato, tra partite di
Hockey sul tetto e Jay e Silent Bob che spacciano nella vecchia videoteca di
Randall. Smith per questa scena ha scelto un pezzo non certo della sua
generazione, come “Welcome to the Black Parade”, trovando anche il modo di
farmi ascoltare per intero un pezzo dei My Chemical Romance senza che mi
venissero i conati, perché la morte ammanta tutto il film e fa capolino anche
in questo inizio, quando da una foto scopriamo che Becky (Rosario
Dawson) è passata a miglior vita.
Poi parliamoci chiaro, quando si tratta di giocarsela a
chiacchiere, nessuno può battere Kevin Smith, i suoi dialoghi filano alla
grande (ho riso moltissimo sullo sfottò a Chris Nolan, storia vera), ritrovare
Randall (Jeff Anderson) impegnato a sfottere Elias (Trevor Fehrman) è uno
spasso, tra discorsi sulla religione in cui trova spazio Crom oppure trovate
come “Jesus Bourne – The bourne nativity”, quando Randall dimostra di essere
uno dei tanti alter-ego del papà del “View Askewniverse” e va giù di faccia per
un attacco di cuore.
Simpatico sentire Randall che fa battute su The Mandalorian proprio alla dottoressa
che si occuperò di salvarlo, ovvero Amy Sedaris che ha un ruolo fisso nella
serie di Star Wars, ma qui devo registrare il primo grosso difetto di “Clerks
III”, un film che a differenza del tanto bistrattato (non da me) secondo capitolo, se ne frega di essere calato nel suo tempo, di saper fare anche il
punto della situazione sulla famigerata cultura Nerd, quella che vede in Smith
uno dei suoi Padrini. “Clerks III” come detto è un esempio di quella malinconia
brutta, quella che critico sempre nelle serie e nei film quando mi capita di
incontrarla, che magari quando avrò anche io cinquant’anni amerò tantissimo,
chi lo sa, ma per ora sto con il Paulie di Rocky: «Io non voglio vivere nel passato», studiarlo, capirlo,
ricordarlo al massimo. Inoltre devo dirlo, Elias funzionava come spalla comica,
come bersaglio di Randall, reiterare la gag della sua trasformazione in
satanista per tutta la durata di “Clerks III” fa sorridere un minuto, poi
diventa più pretestuosa del tormentone sugli aquiloni, che a sua volta diventa “Deus ex
machina” nel finale. Sei sempre molto divertente Kevin, ma una volta eri più
raffinato anche nella scrittura.
Randall come Smith è sopravvissuto alla falce della Nera
Signora, gli è passato davanti al naso il film della sua vita e faceva schifo,
la soluzione per dare una svolta, evitando la depressione della mezza età è meta
narrativa (come sottolinea Elias): girare un film suo, un vero film e quel
film, tutto girato al Quickstop con i suoi amici di fatto è Clerks. Ok si intitola “Inconvenience”
(che poi era il titolo di lavorazione di “Clerks”, storia vera) ma è proprio “Clerks”,
con punte di Clerks II, le scene più
memorabili perché affetto da malinconia brutta, Smith pesca solo quello che il
suo pubblico vuole e cita.
Da qui inizia la lunga e inesorabile discesa di “Clerks III”,
che diventa una sorta di lungo “Fan movie”, oppure un dietro le quinte della
realizzazione di Clerks, con dei
cinquantenni che provano a rifare uguali le scene che avevano fatto quando
avevano la metà degli anni. Qui dipende da voi, questa idea vi esalta in nome
dei bei vecchi tempi? Allora forse amerete il film, io l’ho trovata – e lo dico
con dolore – un po’ patetica. Mentre precipitava lungo questa lunga discesa ho
pensato parole come “paraculata” e “Atto di masturbazione cinefilo”, lo stesso
Smith ci scherza su prendendosi in giro nei dialoghi, tanto che Silent Bob
quando come da convenzione parla, sembra posseduto dallo spirito di Kevin Smith
che giustifica le sue scelte sulla fotografia in bianco e nero di Clerks.
Certo ci sono strizzate d’occhio a profusione, tipo il primo
finale con Dante Dan-T ucciso da un rapinatore, che viene tagliato anche
in “Inconvenience” proprio come accaduto nel 1994, insomma “Clerks III” è per i
fanatici dell’View Askewniverse, perché tanto Smith lo sa, è stato bravo a
creare un sistema per cui, se il suo nuovo film girato con un budget sotto
controllo viene visto già solo dai suoi fan, in automatico si ripaga già la
spesa, il che può andare bene quando ne fai uno su Jay e Silent Bob, un po’
meno quando il tuo film si intitola “Clerks III” e anche qui mi addolora dirlo,
sembra girato da un regista in piena involuzione come narratore, roba che
persino i più accaniti detrattori di Clerks II potrebbero cambiare idea.
Per tutto il film la morte aleggia, l’effetto lacrimoni è
sempre dietro l’angolo, tanto che Rosario Dawson deve recitare la versione “fantasmosa”
della sua Becky, funziona perché lei è splendida e i dialoghi di Smith filano
che è una meraviglia, ma io a questo punto della mia vita trovo tutto molto
ricattatorio, come quando Kev invocava empatia per il suo uomo-tricheco, dopo
un film intero passato a sfotterlo. Ripassate tra tredici anni, magari cambierò
modo di vedere il mondo e “Clerks III”, ma come detto non dovevo neanche essere
qui oggi.
Poi arriva finalmente la svolta, se per tutto il film era
sembrato che Randall forse l’alter-ego prediletto di Smith, ad un certo punto
diventa chiaro che invece è Dante, qui ho sperato forte che “Clerks III”
malgrado la lunga discesa nel “fanservice” (perdonate l’orrido anglicismo)
avesse davvero qualcosa da dire e anche se mi tirerete cacca addosso per questo
post, io lo devo dire, qui è dove Kevin Smith dimostra di essere afflitto da
malinconia brutta, ma di non essere un gigantesco paraculo come GIEI GIEI (solo
un po’), quindi nella gara tra i Padrini dei Nerd, scelgo ancora lui (GIEI GIEI?
Prrrrrr!), perché improvvisamente ho avuto un’illuminazione.
Cos’è “Clerks III”? Spogliato di tutto è Kevin Smith che
riflette sulla sua mortalità e sul suo lascito, con un’onestà disarmante
dichiara che se fosse morto d’infarto nel febbraio del 2018, per cosa sarebbe
stato ricordato? Per Clerks. Si,
forse per qualche altra robetta attorno ma soprattutto per Clerks. Quindi su questa sua presa di coscienza, ripeto, di un’onesta
ammirevole, ci fa su un film. Questo è poco? Molto? Penso che dipenda dalla
vostra distanza, spirituale, affettiva o anche solo anagrafica con Kevin Smith. Da parte mia mi sono sempre sforzato di spiegare (in questo post e in tanti altri), che per me quel
tipo di malinconia un po’ tossica è un grosso male cinematografico, magari tra
tredici anni anche per me sarà tutto diverso, ma al momento no Kev mi dispiace,
questo ricatto emotivo al retrogusto di malinconia non fa per me e non dona al
tuo cinema, in caduta libera purtroppo.
Come detto ad un certo punto Smith decide di far finire il
suo film nell’unico modo possibile, dopo essersi messo da solo (narrativamente)
spalle al muro, qui succede una cosa molto grossa, in linea con il tema del
film e pensata per far aprire le cataratte a tutti i fan dell’View Askewniverse,
tanto lo so che mi direte che sono stronzo, cinico e senza cuore, ma io a
questa “Parata a lutto” organizzata da Smith, partecipo stando lontano, sullo
sfondo, con gli occhiali da sole ben calati sul naso. Magari tra tredici anni
le mie palpebre suderanno da dietro le lenti, al momento di questa operazione,
a metà tra la malinconia brutta nei confronti del passato e il ricatto emotivo,
mi godo pochi tocchi, le tante facce note (da Buffy a Machete, passando per Ethan
Suplee e tutti gli amici del regista) ma non ci sto. Io non dovevo neanche
essere qui oggi.
Per tentare (invano) di farvi capire il perché della mia
posizione critica nei confronti di questa operazione, che sento sincera ma
comunque di plastica, mi gioco l’ultimo paragone ardito: avete presente quei
libri di Stephen King così così, dove lo zio però piazza al fondo una
postfazione scritta così bene da farti migliorare di mezzo punticino la tua
valutazione del romanzo? Gli esempi non mancano lo so. Qui stessa cosa, sulle
note della bella “I’m From New Jersey” di John Gorka, non pago Smith
compare sotto forma di voce narrante sui titoli di coda, per metterci ancora il
carico, per raccontarci la prima stesura del finale che aveva pensato, un altro
ricatto emotivo per chi è cresciuto e invecchiato con questi personaggi, che
funziona, perché come detto Smith quando si tratta di chiacchiere è
imbattibile, anche sincero nei suoi intenti, peccato che i mezzi che utilizzano
siano quello del peggiore tipo di cinema, fin troppo popolare in questi anni
ammalati di malinconia.
Quindi no Kevin, per ora no. Tornerò sempre volentieri a
cazzeggiare con gli amici del “View Askewniverse” anche se questa volta sembrano
davvero i saluti finali (fino alla prossima volta), però per ora mi rifiuto di
vivere nel passato, non così, poi vedremo tra tredici o più anni come andrà, alla
fine Padre Tempo ha sempre l’ultima parola, su tutto, anche nel giudizio
cinematografico.