La parte buffa della storia è che “Cliffhanger” in teoria non avrebbe nemmeno dovuto esistere, anzi era proprio nato come idea ben più balorda e dal titolo scippato ad una parodia. “Gale Force” avrebbe dovuto raccontare di Gale contro il tornado, un’idea che per le tasche della Carolco, sempre al limite della bancarotta, era semplicemente fuori portata, meglio spostare l’ambientazione in montagna, si va a girare a Cortina d’Ampezzo perché in Italia costa tutto meno e si mangia anche meglio (storia vera).
Quell’adorabile tamarro di Renny Harlin quando gli proposero la gita, scosse il capo chiomato da vichingo, no, no no, io una variante montanara di Die Hard 2 non la voglio fare mi dispiace, ma lo scenario cambiò ancora con il coinvolgimento di Sylvester Stallone che arrivava da un‘infilata di titoli oggi molto amati (da me sicuramente) che però ai tempi non incassarono quanto sperato: Tango & Cash, Rocky V e il fin troppo maltrattato Oscar. Su “Fermati, o mamma spara” (1992) preferisco non dire niente, anche perché non credo che avrei molto di carino da dire, anche se una volta di queste dovrò affrontare il trauma e risalire a cavallo di quella roba.
Zio Sly alla ricerca di un film d’azione bello dritto, nel 1993 si confermò Maestro di vita perché ok, voleva un film in grado di restituire al suo pubblico l’immagine da duro che lo ha reso celebre, però come al solito con il suo piglio da vero Autore (con la maiuscola). Il risultato è Un film che si potrebbe ammirare sempre, come le montagne, e che da trent’anni è una presenza monolitica nella mia vita, tanto che dopo le riscritture operata da Stallone alla sceneggiatura di Michael France, anche il vichingo Renny Harlin si è convinto a dirigere questo Die Hard 2 in montagna, con un operatore del soccorso alpino al posto di John McClane.
Un budget tra i sessanta e i settanta milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, molti dei quali utilizzati per far esplodere le dolomiti a ripetizione, alla moda di Harlin che al pubblico piacque parecchio, oltre duecento milioni portati a casa nel mondo per un film che solo un paio d’anni dopo, venne amorevolmente spernacchiato da “Ace Ventura – Missione Africa” (1995), con Jim Carrey impegnato a rifare la scena iniziale con un procione e la consapevolezza che la parodia è la vera misura delle popolarità.
Vi ricordate quando parlavamo di Fall e del mio equilibrio non proprio da gatto? Per fortuna non soffro di vertigini o di sudorazione dei palmi, ma ci sono un paio di film che anche comodamente spaparanzato in poltrona, ogni volta mi fanno sudare le mani e salire l’ansia, nemmeno fossi il buon Jimmy di Vertigo. La famosa regola dei cinque minuti iniziali di un film, quelli che ne determinano tutto l’andamento qui si estende a circa undici minuti, perché con zio Sly di mezzo, diventa sempre tutto più grosso…
Forse basterebbero proprio quegli undici ansiogeni minuti a rendere “Cliffhanger” un monumento per Bariste e Baristi anche perché ha tutto a partire dal protagonista, Gabriel “Gabe” Walker (Stallone) eroe roccioso (ah-ah) e affidabile, contornato da facce e nomi giusti, come il nemico-amico di Gabe, ovvero Hal Tucker che ha il grugno da Bulldog di Michael Rooker e la sua fidanzata Sarah, appesa come un salame, in quella che dovrebbe essere un allegra scampagnata ad altissima quota, piena di battute e sorrisi, ma che in un attimo diventa tragedia per via di attrezzatura difettosa, quel cazzo di guanto di merda che si sfila e le urla disperate della donna «Non farmi cadere! Non voglio morire!» che sono una tortura, non solo per il numero di decibel raggiunti ma proprio per le palate di ansia che ti gettano addosso, mentre ti aggrappi ai braccioli della poltrona.
Tu lo sai che quello è zio Sly, andrà tutto bene no? Invece Gabe Walker è uno dei tanti eroi stalloniani perché deve affrontare una tragedia, fare i conti con un fallimento perché come tutti i personaggi raccontati da quello che è l’Autore con più muscoli (e cervello) di Hollywood, il vero cuore sta nel modo in cui ti rialzi in piedi. “Cliffhanger” è un percorso di redenzione in arrampicata verticale di 113 minuti, quasi tutti dal ritmo invidiabile che ai tempi venne criticato per un presunto, eccessivo distacco, percepito come svogliatezza proprio da parte di Stallone.
No aspetta un attimo… come Stallone svogliato? Amici critici con la pipa e gli occhiali dell’anno 1993, parliamo di uno che per il salto tra un aereo in volo ed un altro (prima di Nolan, meglio di Nolan!) pagò di tasca sua l’assicurazione allo stuntman Simon Crane, un milione di paper-dollari che la Carolco non voleva scucire, pur di farlo lavorare per lo meno con le sicurezze che si devono ad un professionista. Inoltre Sly ha fatto tagliare una mezz’ora buona di girato, per eliminare una scena con Gabe impegnato a saltare un crepaccio infinito, che alle proiezioni di prova fece scoppiare tutto il pubblico in una risata di gruppo, per cui aveva speso, sempre di tasca sua perché la Carolco aveva il braccio di legno, centomila dollari in CGI (storia vera). Per quanto riguarda la CGI dei pipistrelli invece non ho notizie, quella spero almeno che se la sia pagata la Carolco.
Ora lo sforzo di Stallone in “Cliffhanger” non è stato solo economico, purtroppo sulle sfumature della sua recitazione il pubblico generalista e anche parecchia critica, tende a passare come pialla perché è più facile etichettare tutto come monocorde senza approfondire. Invece è abbastanza chiaro, o per lo meno, in quest’ trent’anni di rassicurante presenza sulla mia tv di casa, per me è diventato piuttosto chiaro che finiti di sorrisi iniziali, dopo il dramma d’apertura, Gabe non è solo un personaggio in cerca di riscatto, ma anche il classico escursionista che capisce la montagna, la rispetta e tutti quegli altri cliché che vengono sempre fuori sulla vita tra i monti. Interpretarlo come uno che parla pochissimo (anche per la media degli eroi Stalloniani, non proprio logorroici) è stato recepito come poco impegno, quando invece è una scelta molto sensata, che diventa chiara quando si manifestato gli invasori, i criminali di città che vedono i locali come guide da sfruttare subito ed ammazzare con comodo dopo, per rimettere mano ai soldi dispersi tra i picchi.
Adesso non voglio esagerare dicendo che Stallone una mattina, sia sceso dal lato Werner Herzog del letto e si sia messo in testa di fare il suo “Grido di pietra” (che comunque era uscito solo due anni prima, nel 1991), però lo scontro tra locali e invasori è tutto giocato su questo beh… equilibrio. Giuro che questa frase mi è venuta da sola, non ci avevo pensato per sembrare arguto eh?
Forse l’unico difetto che riesce davvero ad imputare a questo giocattolone drittissimo, solido e che si riguarda sempre con grande gioia, sta nel fatto che dopo l’incidente aereo, per altro girato dal vichingo Renny Harlin alla grande, la tensione della storia venga un po’ meno o meglio, ci si assesti sulle dinamiche “Die Hard in montagna” che per carità, sono un caposaldo dell’intrattenimento d’azione, ma si tende a perdere un po’ quel senso di vertigine da sudore ai palmi che la caduta nel vuoto di Sarah all’inizio e un aereo che precipita tra le montagne dopo, subito riuscivano a generare. Poi io sono cresciuto guardando “Alive” (1993) quindi quando sento di aerei che precipitano tra le montagne mi viene sempre un po’ d’ansia. Urca anche Alive compie gli anni! Questo 2023 ha più compleanni che giorni sul calendario.
A proposito di facce giuste, quanto è bella Janine Turner in questo film? Arrivava da titoli Romeriani, sarà che Harlin ha sempre avuto un certo occhio per le signore, ma qui alcuni suoi primi piani ti inchiodano come le scene d’azione, un peccato che successivamente mi sia capitato di incrociarla molto poco nei film.
Anche se è inutile girarci attorno, per me il fiocco sul pacchetto regalo di questo film ha un nome, un cognome ed è alto un metro e novantasei. Azzecca il cattivo e il 50% del film lo hai messo in cassaforte, affidalo al quel mito di John Lithgow (iscrizioni al suo fan club sempre aperte, ve lo ricordo, scrivetemi nei commenti per i dettagli e la maglietta regalo) e possiamo tranquillamente portare quella percentuale al 100% e non pensarci più.
Eric Qualen è freddo, calcolatore, cattivo come la merda, tanto è americano Gabe quanto inglese lui e nell’accento britannico che Lithgow è costretto ad inventarsi, si sente proprio il peso del suo essere un personaggio derivativo rispetto ad Hans Gruber, ma è davvero l’unico difetto che riesce ad imputare ad un personaggio che risulta carismatico anche nel suo essere un malvagio a capo di una banda di sgherri talmente cattivi, che te li immagini a casa, impegnati a dare pesci rossi in pasto ai Piranha che tengono nell’acquario del soggiorno, così, per puro diletto.
Parliamo di una banda di bastardi che si diverte a fare la telecronaca di stampo calcistico, quando rifilano calci in bocca ai protagonisti, anche perché lo dico, la frase maschia di risposta a questo gesto, quella «Il campionato è finito stronzo!» è quella che vorrei direi io ai miei colleghi che mi sfrangiano i maroni con i risultati di calcio (storia vera).
Per tornare a bomba alla prova monumentale di Lithgow, basta godersi le sue riflessioni diaboliche («Uccidi due persone e sei uno psicopatico, ne uccidi un milione e sei un conquistatore, vai a capirci») che ci restituiscono un sociopatico che vuole solo i suoi soldi. Certo, solo il fatto che sia a quattro centimetri dai due metri rende Lithgow fisicamente una minaccia per il ben più atletico Stallone, ma ancora oggi sono convinto che Eric Qualen dovrebbe essere il cattivo, donatore sano di malvagità e cattiveria di cui molti film moderni (per non dire quasi tutti) avrebbero seriamente bisogno per risollevare le loro misere sorti.
Proprio lo scontro finale funziona perché, vabbè fare bella figura inquadrando le dolomiti, quello posso farlo anche io con una foto scattata dal telefono, ben altra faccenda è farle esplodere a ripetizione come fa Renny Harlin che nel finale, tiene il ritmo così alto, da regalarci un duello in bilico efficacissimo. Lo sappiamo fin dai titoli di testa che il destino del cattivo è sempre quello, Gruberiano, di morire cadendo nel vuoto urlando, si tratta di una tradizione, ma è sempre bellissimo vedere come Stallone riesca a farlo accadere esibendosi in questo classico del genere, con tanto di frase maschia finale («Se cercate Qualen dovete guardare 150 metri più in basso, è quello abbracciato ad un elicottero.»)
Insomma “Cliffhanger” come le montagne, sarà ancora qui, roccioso e rassicurante a vegliare su di noi e sulla nostra voglia di esplosioni, frasi maschie, cattivi tosti e zio Sly che porta avanti la sua poetica di Autore così, a tremila metri d’altezza, quindi auguri di buon compleanno!