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Clipped (2024): piove, il gatto è morto, la fidanzata mi ha lasciato e io tengo ai Clippers

«Piove, il gatto è morto, la fidanzata mi ha lasciato e io tengo ai Clippers.», si potrebbero scrivere romanzi nel tentativo di riassumere la storia dell’altra squadra NBA di Los Angeles, i figli di un Dio minore dei Clippers, ma nessuno sulla faccia di questo gnocco minerale che ruota attorno al sole potrai mai fare meglio della celebre frase di uno dei loro fan più famosi, l’avvocato Federico Buffa.

Quando ho scoperto dell’esistenza di “Clipped” mi sono abbastanza gasato, per due ragioni, la prima: si tratta di una produzione Hulu, il che vuol dire comodamente su Disney+ (sezione Star) qui da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa, la seconda? Con la morte anticipata di una serie bellissima, che avrebbe meritato dieci stagioni come Winning Time, dedicata ai vincitori, a quelli giusti, i Los Angeles Lakers, speravo davvero che ci fosse ancora spazio per storie sportive dedicate alla pallacanestro, il fatto che arrivassero dalla sponda opposta dalla squadra “sfigata” della città degli angeli, sembrava quasi l’applicazione della legge del contrappasso.

La faccia di chi ha davvero capito le parole dell’avvocato Federico Buffa.

Creata da Gina Welch e basata su uno degli episodi della fondamentale ESPN 30 for 30 (che in passato ha regalato meraviglie), in particolare quello intitolato “The Sterling Affairs”, una storiaccia brutta che per i Clippers è stata un po’ la ciliegina su una torta, non proprio fatta di panna e crema, che è stata la loro storia sportiva. Decenni di militanza tre le trenta squadre della NBA, campionati vinti: zero, nisba, nada, zip. Il che sarebbe già drammatico ovunque, figuriamoci in una città per (più) di metà giallo-viola e tifosa dei Lakers, loro invece ben più vincenti.

Se i “lacustri” potevano ambire ad una serie da dieci stagioni, tutta dedicata alle loro vittorie, i Clippers avrebbero potuto fare lo stesso, una “Losing time” perché voi non avete idea, i racconti legati all’altra squadra di Los Angeles sono assurdi, nemmeno uno sceneggiatore ubriaco potrebbe sfornare quello che è davvero accaduto nella lunga storia della squadra, macchiata per altro dalla proprietà dell’influente Donald Sterling, bravissimo a fare soldi e a conquistarsi potere, ma come dire? Eccentrico? Quando sei ricco sfondato sei eccentrico, i poveri invece sono solo pazzi o strambi.

“Clipped” è una miniserie che con un gioco di parole nel titolo si concentra sugli audio razzisti fatti trapelare dall’assistente, amante, fidanzata, fate voi, insomma V. Stiviano, spalla e braccio dentro di Sterling ma ovviamente non sua moglie, visto che ufficialmente sposato con l’altro 50% della proprietà dei Clippers, ovvero Shelly Sterling.

I Clippers avevano già parecchie sfortune, poi è arrivata lei.

Va detto che mi ha convinto molto la prova di Laurence Fishburne, malgrado il ritocco ai capelli per regalargli la pettinatura di Coach Doc Rivers, mi ha fatto sorridere il fatto che l’attore abbia dichiarato di non conoscere l’allenatore in quanto non appassionato di Basket (storia vera). Poco importa perché la sua prova molto intensa ci restituisce un credibilissimo Rivers, considerando che il vocione dell’ex allenatore campione con i Boston Celtics è irripetibile (immaginate essere allenato da uno che vi sbraita e vi motiva con quel tipo di timbro vocale), tanto di cappello alla prova di Fishburne.

Parlando di facce note, ho trovato abbastanza geniale la scelta di Ed O’Neill per il ruolo di Donald Sterling, in patria è famosissimo per il ruolo del capofamiglia maleducato e pantofolaio, satira dell’americano medio che interpretava in “Sposati… con figli”, che lo rende quello con i trascorsi giusti per il ruolo del maschio bianco dai valori, come dire, vecchia scuola.

Sposato, senza figli, ma in compenso con amante.

Una che invece le sta provando tutte per raggiungere la vetta è Cleopatra Coleman, da The last man on Earth con furore, azzeccatissima per una in odore di arrampicamento sociale, che ha superato i trenta e vuole sistemarsi, si spera per sempre, un rapporto controverso da amante che non fa sesso, a fidanzata da sfoggiare e socia in affari, insomma, torbido come l’idea di registrare tutte le sue conversazioni con Sterling, compresa quella incriminata e resa pubblica, aggravata dal fatto che di mezzo, prevedesse non solo epiteti razzisti figli di una mentalità da “piantagione” (argomento caldissimo negli Stati Uniti), ma che di mezzo ci fosse anche uno dei più amati d’America, ovvero Magic Johnson. Guarda caso, un Lakers.

A mediare (in tutti i sensi), l’ottima prova di Jacki Weaver nei panni di Shelly Sterling, una che sa, tollera poco, sopporta sempre meno e in generale dovrà combattere per il suo 50%, in mezzo, ci sarebbero i giocatori, quei Los Angeles Clippers raccontati nell’anno in cui sono andati più vicini ad infrangere la loro maledizione sportiva.

Uno che si è pentito di aver scelto la pillola rossa e blu (colori sociale dei Clippers)

Un Coach proveniente da una squadra vincente, con un passato da giocatore nei Clippers, tornato in cerca di una sfida professionale ma anche di una rivalsa per i suoi “colori”, e qui la faccenda si fa calda. Brillante iniziare il primo episodio con il gioco di parole della “festa in bianco” organizzata da Sterling, in concomitanza con il (quasi) arrivo in squadra di un gran tiratore da tre punti come JJ Redick (interpretato da Charlie McElveen) e per ironia del caso, nel momento in cui vi scrivo, di fresco nominato allenatore a sua volta. Dei Los Angeles Lakers (storia vera).

Difetti? Bisogna superare per un attimo lo sconvolgimento dei capelli di Austin Scott che interpreta Blake Griffin, ora, io lo so che trovare un attore che somigli a “Bad Blake” è un casino, difficile pareggiarlo per stazza fisica – infatti Scott non lo fa – ma i riccioli rossi su quella carnagione che metterebbe in crisi anche Sterling diventa complicato, ma per quello che mi riguarda il secondo problema più grosso di “Clipped” resta il fatto che la pallacanestro qui sia un grosso “O dimo”, visto che dal campo si vede un tiro, uno di numero del solito Redick, per il resto vittorie e sconfitte sul campo ci vengono raccontare, in tal senso quindi dimenticatevi le azioni in campo di Winning Time. Anche da questo punto di vista il derby lo portano a casa i Giallo-Viola.

Non aggiungo altro, traete da soli le vostre conclusioni.

L’altro problema di “Clipped” è il suo attestarsi sulla media dell’algoritmo, di tutta l’enorme, grottesca e pazza storia di una squadra che chiede ai suoi tifosi un atteggiamento da Samurai, perché essere un Clippers vuol dire rassegnarsi ad una vita descritta dall’Avvocato Buffa, Hulu pesca esclusivamente la porzione di storia che prevede un cattivone bianco razzista, dei protagonisti di colore costretti, non solo a vincere ma a fare i conti con il sospetto di essere trattati come proprietà da un padrone, personaggi femminili in cerca di rivalsa, insomma, della peculiarità di un racconto che prevede il primo proprietario della storia della NBA estromesso a vita dalla lega, viene a mancare quasi tutto, il fatto che una storiaccia brutta come questa, che avrebbe potuto accadere in qualunque altra squadra professionistica americana, ma è accaduta proprio ai Clippers, passa quasi in secondo piano, in favore della “solita” serie con temi caldi da algoritmo.

Un po’ come se durante una riunione “creativa”, qualcuno del reparto informatico abbia condiviso un rapporto in cui ehi! Questo episodio di “ESPN 30 for 30” copre il 99% dei parametri che abbiamo impostato. Insomma, per quanto io sia anche sensibile all’argomento, vedere il basket e questa storiaccia ridotta così sembra un’altra sfiga, nella lunga storia di sfighe dei Los Angeles Clippers.

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