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Cobra Kai – Stagione 1 & 2: Il vero Karate Kid

Potreste aver notato dalle espressioni che utilizzo, che
sono sempre stato un grande appassionato di “How i met you mother” (storia
vera).

Tra le mille trovate comiche brillanti di quella serie tv
una è rimasta nel cuore un po’ a tutti, ovvero quando Barney Stinson ha messo in chiaro a tutti che il vero
Karate Kid non era il ragazzino rachitico arrivato dal New Jersey che conosceva
a malapena il Karate, ma il biondo Johnny Lawrence, del Dojo Cobra Kai.

Ora non tirare in ballo Miyagi, sempre di sfruttamento di manodopera minorile si tratta!

Ora, al pari di Barney Stinson ho questa insana passione per
i cattivi cinematografici, questo
dovrebbe farvi capire come mai sono andato così clamorosamente giù di testa per
una serie come “Cobra Kai”. Bisogna dirlo: non era semplice azzeccare una serie
così, perché tutti noi cresciuti guardando Karate Kid, ormai abbiamo l’età per essere gli zii del protagonista. Ma dovreste
averlo notato, i seguiti fuori tempo massimo di titoli di culto ormai sono la
normalità, anzi, per certi titoli il formato televisivo resta il migliore, ogni
riferimento (anche polemico) alla cancellazione di Ash vs. Evil Dead è puramente voluto.

“Cobra Kai” è diventato il programma di lancio del nuovo
canale streaming YouTube Red, un esordiente che punta a giocarsela con i
colossi, non poteva che trovare nella saga creata da John G. Avildsen e lo
sceneggiatore Robert Mark Kamen il suo titolo di riferimento. Ma la vera sorpresa
è scoprire che i curatori della serie, Jon Hurwitz e Hayden Schlossberg arrivano
da cosette tipo “Scary Movie 3” (2003) e “American Pie: Ancora insieme” (2012),
insomma: non proprio le più rosee tra le premesse.
Eppure, “Cobra Kai” è una sorpresa, la prima stagione, in
particolare, è un gioiellino che perde forza nel corso della seconda, ma non
cambia il fatto che lo spunto iniziale sia davvero brillante e deve moltissimo a
William Zabka e a Ralph Macchio, due che – anche se in modo opposto – sono rimasti
legati per sempre al primo Karate Kid.

Dal 1984, non gli è ancora passata.

Ralph Macchio è quello che le ha provate tutte per liberarsi
dell’ombra di Daniel LaRusso, ha rifiutato il quarto capitolo e si è fatto dirigere da Walter Hill, ma non è servito a nulla nemmeno questo. Zabka, invece, ha
continuato a studiare le arti marziali, ha continuato a bazzicare i film di
genere fino a diventare parte del cast di “How i met you mother” nella parte di
se stesso, spesso scherzando sui suoi
quindici minuti di gloria.

La prima stagione di “Cobra Kai” è una discreta bombetta
perché non gioca sporco, anzi è perfettamente onesta, ci riporta nella vita di Johnny
Lawrence trentaquattro anni dopo gli eventi raccontati in Karate Kid, senza la volontà di cambiare le carte in tavola, ma
solo di continuare la storia. Avete presente quella cagata di “Maleficent”
(2014)? Era una porcheria perché giocava sporco, mentiva facendoci credere che
un personaggio totalmente malvagio (fin dal nome) non posse poi, in realtà, così
cattivo. Una clamorosa presa per il naso che “Cobra Kai” molto più intelligentemente
ci risparmia, per il semplice fatto di conoscere meglio i suoi personaggi e i
confini entro cui si muovevano.
Basta il primo episodio per farci vedere tutto da una nuova
prospettiva, Johnny non si è mai ripreso dalla sconfitta al torneo di Karate,
diventando un fallito di mezza età che campa alla giornata, bloccato ancora a
quel momento, letteralmente bloccato visto che gira ancora con la stessa scassatissima
auto di allora e ascolta gli stessi pezzi musicali che erano nuovi ai tempi ed
oggi ascolterebbe solo un vecchio rockettaro malinconico, oppure… Beh, io. Oh, a
me la colonna sonora di Cobra Kai è piaciuta un botto! Piena di roba tipo i
Poison, Boston, Twisted Sister, ma anche The Alan Parsons Project, REO
Speedwagon e gli immancabili Queen.

Un vecchio rottame. No, non la macchina

Il suo perfetto contraltare è, ancora una volta, lo
stramaledetto Daniel LaRusso che sarà anche invecchiato, ma resta
insopportabile, come sempre. Lui, a differenza dell’attore che lo ha sempre
interpretato, ha fatto fruttare la sua vittoria (anzi le sue vittorie), l’idea
di trasformarlo in un venditore d’auto è semplicemente perfetta, non solo
perché parliamo di uno che si allenava passando la cera sul cofano della
macchine, ma perché l’aria da venditore d’auto usate l’ha sempre un po’ avuta. L’unica
vera costante resta la sua inspiegabile capacità di far colpo su belle donne,
quindi dopo Elisabeth Shue, la giapponese carina e la rossa mica male, ora metteteci anche sua
moglie Amanda LaRusso, interpretata dalla bella Courtney Henggeler. No, sul
serio, come si faccia a non fare il tifo per Johnny Lawrence, poi, io proprio non lo
so!

Ok, sono testardo ma mi rendo conto quando ho perso le mie battaglie.

La svolta arriva con il personaggio di Miguel Diaz (Xolo
Maridueña) ragazzino sfigato che viene salvato dal pestaggio di alcuni bulli da
uno sfattissimo Johnny e da quel momento, inizia a pressarlo per farsi
insegnare un po’ di quella roba («Old school karate» lo definisce Johnny). Per
il biondo “cattivo” tra i rospi da ingoiare e la competizione con LaRusso la
soluzione è semplice: visto che è ancora di fermo ai tempi del Cobra Kai, tanto
vale fare come i Blues Brothers e rimettere insieme la banda, riaprendo il vecchio
Dojo.

“Pronto acchiappafantasmi Cobra Kai, sì, siamo tornati”

La competizione con LaRusso è una spinta chiave, perché se
Miguel inizia a frequentare la figlia del suo storico avversario, Samantha
LaRusso (Mary Mouser), per una serie di tira e molla Daniel inizia ad allenare
il figlio con cui Johnny non parla più da anni, Robby Keene (Tanner Buchanan). Con
una gestione sensata dei tempi e dei personaggi, i due “Karate Kid” si ritrovano
a ricoprire il ruolo di Sensei, nuovamente ai ferri corti uno con l’altro e con
una nuova generazione di ragazzi ai quali provare ad insegnare quello che hanno
imparato alla loro età.

Ed è qui che “Cobra Kai” si gioca le sue carte migliori,
sarebbe stato facilissimo far scontrare di nuovo Johnny Lawrence e Daniel
LaRusso, ma sarebbe stato un po’ come quelle “reunion” di vecchi gruppi rock
che il più delle volte fanno tristezza e basta. Giocando, invece, sulla nostra
attesa di quel momento, la serie fa un ottimo lavoro sui personaggi ribaltando la prospettiva nel modo migliore, quindi non è male vedere che
due che in fondo hanno molto in comune (anche i gusti musicali, tipo i già
citati REO Speedwagon), alla fine non si smuovono dalle loro posizioni, più che
altro per testardaggine e maschile competizione.

Quasi amici (ho detto quasi)

LaRusso utilizza tutta la sua influenza per tentare di
impedire al nuovo Cobra Kai di iscriversi al torneo di Karate, un colpo basso per
quello che abbiamo sempre considerato il “buono” del film (che però per sua stessa ammissione, ha vinto con una
mossa non legale). D’altra parte, però, il Johnny Lawrence che emerge da questa
serie tv è un personaggio per il quale viene davvero voglia di tifare, il vero Karate
Kid, aveva ragione Barney Stinson.

Mai dubitato della parole di Barney Stinson, MAI!

Johnny Lawrence non è un malvagio a tutto tondo che qui ci
viene “venduto” come un buono, ma cambiando il punto di vista qui possiamo
finalmente vederlo per quello che è davvero è: uno normale, come tanti che ha
avuto la sfortuna di incappare in un cattivo maestro come John Kreese (Martin
Kove… Non perdetevi l’ultima scena, dell’ultimo episodio della prima stagione).
Il biondo nasone alla fine è uno che ha fatto delle scelte sbagliate, qualche
volta si è posto nel modo peggiore possibile e l’episodio 1×05 (Counterbalance)
è quello chiave, qui Johnny racconta a Miguel tutto Karate Kid in pochi minuti
e dal suo punto di vista, la scena delle litigata in spiaggia con LaRusso, il
suo scherzo con l’acqua durante la festa in maschera e anche il finale al
torneo. Rivista con gli occhi di Johnny resta la stessa identica storia, ma assume un sapore tutto nuovo.

Se Karate Kid di John G. Avildsen, era la storia di un
ragazzino spiantato, vessato da bulli con maggiori capacità (economiche, di
mezzi, ma anche di conoscenze di Karate) che usava un’arte marziale per
rialzare la testa, guadagnandosi il rispetto. “Cobra Kai” è ancora la stessa
storia, solo che questa volta lo spiantato proveniente dalla classe operaia è
Johnny, il bullo per certi versi è il ricco e affermato Daniel e il mezzo del
riscatto è ancora una volta il Karate, perché lo sport può formarti il fisico,
ma anche il carattere, come vediamo accadere a Eli “Hawk” Moskowitz (Jacob
Bertrand), sicuramente uno dei personaggi più coloriti, ottima aggiunta all’iconografia
di “Karate Kid”.

Cobra Kai 2.0: Facce nuova ma sempre con un look cazzuto.

 Con queste premesse e questa ottima gestione dei personaggi,
la prima stagione di “Cobra Kai” ti mette proprio nelle condizioni di tifare
senza pudore per quello che fin dal film di Avildsen, erano i più fighi
(«Cobra Kai? Kickass name!») e anche la filosofia aggressiva di John Kreese,
viene rispettata in pieno e utilizzata come mantra nella vita dei nuovi membri
del Dojo che in quanto a “Sfiga” non hanno davvero niente da invidiare al
rachitico Daniel LaRusso di allora.

Ma la mitica «Strike first. Strike hard. No mercy» diventa
un potere che va utilizzato con giudizio e questo è anche un po’ il tema della
seconda stagione, in cui il nuovo Cobra Kai e gli (ex) sfigati che lo
compongono, si ritrovano ad essere i fighi della California del Sud, mentre i
battibecchi tra i personaggi tengono anche fin troppo banco.

Sul saluto ufficiale della Bara Volante la serie finisce (peccato che sia il primo minuto dell’episodio 2×01)

Purtroppo, la seconda stagione di “Cobra Kai” non è all’altezza
della brillantezza della prima, questi dieci episodi non aggiungono davvero
nulla, ma continuano a creare situazioni che non sono altro che benzina
gettata sulle fiamme della competizione tra Lawrence, LaRusso e i rispettivi
Dojo. Tra tira e molla amorosi e altre trovate troppo da soap opera, la seconda
stagione accumula fino allo scontro finale che, per carità, copre una buona
metà dell’ultimo episodio (2×10 “No mercy”), si gioca parecchi scontri diretti
anche in piano sequenza, ma di fatto è solo un modo per far scoppiare il gran
casino e lasciarci con un “Cliffhanger” drammatico che serva a farci venire
voglia di vedere anche la terza stagione, già confermata e in arrivo nel 2020.

Personalmente dubito che una terza stagione possa recuperare
la freschezza della prima che è davvero sorprendente ed esaltante, ma è
incredibile che siano riusciti a recuperare quel senso di meraviglia e
coinvolgimento che alla saga di Karate Kid mancava dal 1984. Niente male essere
qui oggi, non proprio di mezza età come Johnny Lawrence e Daniel LaRusso, ma
con quella voglia di fare mosse a caso fingendo di conoscere il Karate che
avevamo un po’ tutti la prima volta che abbiamo visto Karate Kid. Proprio vero: più le cose cambiano più restano le stesse.
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