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Cobra Kai – stagione 3: colpisci il primo dell’anno. Colpisci forte. Nessuna novità.

Sembra una legge non scritta, le serie TV lontane dalle
grandi piattaforme di streaming, sono destinate a soffrire e sparire (ancora
soffro per la dipartita di Ash vs EvilDead), oppure più semplicemente restano anonime.

Io stesso ci ho messo un po’ a vedere le prime due
stagioni di Cobra Kai, quando ancora
la serie era il titolo di punta del neonato canale You Tube Red, ma con il
passaggio della serie sotto l’ala protettiva di Netflix, Johnny e compagni
hanno avuto una sorta di seconda giovinezza, che ha portato la serie prima al
grande pubblico e poi a diventare una delle più viste di sempre sulla
piattaforma della grande “N” rossa (storia vera).

Sapete come la penso, Cobra Kai é un gioiellino che con la prima brillante stagione, ha saputo ribaltare
la mossa, portando nuova linfa alla saga di Karate Kid, un culto generazionale
rilanciato da un’operazione brillante, fatta con parti uguali di cuore e
cervello, che purtroppo sembrava aver già esaurito tutta la sua creatività nella
seconda stagione, che non aveva certo la brillantezza della prima. Do per
scontato che la terza stagione l’abbiate già vista tutti, in ogni caso da qui
in poi SPOILER, così siete
avvisati.

“Dai alzati e scordati il massaggino alle gambe, io non sono Miyagi”

Per fortuna il passaggio a Netflix non ha alterato la
struttura, dieci episodi da 20, massimo 30 minuti l’uno compongono anche la
terza stagione, inoltre bisogna dire che la sicurezza del “posto
fisso”, garantita da un datore di lavoro come Netflix, ha permesso alla
serie di attirare qualche altro nome, ecco perché qui Ali (Elisabeth Shue)
compare, prima come foto sul “Faccialibro” di Johnny (il solito e
affidabile William Zabka) e successivamente in un paio di episodi nel finale
della stagione, giusto per portare un po’ di pepe alla storia di Johnny con Carmen,
perché di questo si tratta, “Cobra Kai” si avvolge nella coperta calda della
Telenovelas e procede dritto per la sua strada.

Così su due piedi, Shue-Shue.

Per buona parte dei dieci episodi, la terza stagione di
“Cobra Kai” sembra una soap opera con l’aggiunta del super potere del Karate, si
perché i personaggi sono divisi tra chi ha i “poteri” (e appartiene ad un Dojo)
da una parte e i “normali” dall’altra, tra questo e i bizzarri metodi curativi
che permettono a Miguel di passare dal coma ai calci volanti, direi che lo
spirito degli originali film di Karate Kid è del tutto rispettato, ma con tanti
personaggi in circolazione è automatico che l’effetto Telenovelas sia tutto lì
da guardare.

La terza stagione di “Cobra Kai” ci mette quattro episodi
per trovare una sua direzione, quattro puntate che vengono impiegate per
riflettere sugli effetti collaterali della super rissa a scuola, quella che concludeva
la seconda stagione. Ovviamente il
Karate viene additato come “IL MALE!” che rovina i nostri giovani dalle signore
Lovejoy della California del sud, ma in tal senso la serie è molto realistica,
d’altra parte è successo lo stesso con le arti marziali miste anche in uno
strambo Paese a forma di scarpa, in recenti (e orribili) fatti di cronaca, no?

Quindi mentre Robby Keene (Tanner Buchanan) ancora latitate
finisce al riformatorio prima e poi sotto l’ala del cattivo Maestro John Kreese (Martin Kove), Daniel-San (Ralph
Macchio che ostina a tingersi i capelli per sfidare Padre tempo) vede la
popolarità della sua azienda crollare drasticamente, e per non perdere i suoi
affari parte per un viaggio in Giappone che permette alla serie di coprire
due funzioni chiave: la prima quella di giocarsi un po’ di strizzate d’occhio
al più disgraziato Karate Kid della serie (il secondo, il quarto non lo
considero nemmeno), ma soprattutto indagare sulle origini dei due Dojo rivali, il Miyagi-Do Karate
e il Cobra Kai.

“Lasciatelo dire, eri il più tamarro di tutti”, “Detto da te con quel tintone ai capelli, mi offende proprio”

Sono sicuro che se il compianto Noriyuki “Pat”
Morita fosse ancora vivo oggi, questa serie avrebbe trovato il modo di far
tornare anche lui, perché ammettiamolo, complici alcune carriere che non hanno
proprio spiccato il volo, “Cobra Kai” ha l’enorme pregio di essere riuscita a
far ritornare nei rispettivi ruoli molte vecchie glorie, dal vecchio amore
Kumiko (Tamlyn Tomita) fino al più tamarro degli avversari, il mitico Chozen (Yuji
Okumoto). Dai! Sono riusciti ad avere anche un cameo di Dee Snider, cosa
vogliamo criticargli? Non mi stupirebbe nelle prossime stagioni veder tornare un certo Vampiro e perché no, magari anche la ragazza da un milione di dollari.

La mia reazione sul cameo di Dee Snider.

Se le origini del Miyagi-Do Karate si giocano addirittura
“le ultime lettere di Jacopo Ortis del Maestro Miyagi” e una lezione sui
punti segreti di pressione che sembra uscita da una puntata di “Ken il
guerriero”, mentre per il Cobra Kai le origini vanno tutte ricercate nei flashback sul
giovane John Kreese, l’unico personaggio della serie a non essere stato oggetto
di nessuna rivalutazione, il personaggio di Martin Kove era puro male nei
vecchi film con cui siamo tutti cresciuti da ragazzini e qui, non fa altro che
confermarsi con un maligno demonio forgiato dalla guerra.

Peccato che le scene ambientate durante la guerra del
Vietnam, siano state girate probabilmente nel parchetto dove la produzione
portava a sgambare i cani, ma non starò a formalizzarmi su una vegetazione
palesemente non adatta a passare per un credibile ‘Nam, tutti noi che abbiamo visto Kove
in Rambo 2, lo sappiamo che Kreese
era una gran carogna già allora.

“Non ci perdo nemmeno tempo con te, ti lascio al maestro Miyagi” (auto-cit.)

Quando la terza stagione di “Cobra Kai” trova la sua
strada, ormai siamo arrivati agli ultimi episodi della stagione, quindi tra Demetri
che riesce a far innamorare la bionda snob della scuola (se aveva successo Ralph
Macchio, chi siamo noi per negare qualche gioia all’altrettanto nerd Demetri?), gli schieramenti si formano e la serie ottiene il suo obbiettivo
primario: convincerci tutti a restare per la stagione numero quattro.

Si perché tra ex amici che tornano tali (come la
redenzione-in-due-minuti di Hawk) e una serie di trovate motivazionali, il
grande scontro è rimandato al torneo Old-Valley che vedremo nella quarta
stagione, qui tocca accontentatici dell’ormai rituale mega rissa di fine stagione, che
per questa serie ormai sembra una tradizione.

“Con voi due ci rivediamo al torneo”, “Intendi dire nella stagione quattro?”

Per certi versi l’alleanza tra Daniel e Johnny – e i
rispettivi Dojo… Eagle Fang Karate è un nome figo e scemo in parti uguali, che
solo Johnny poteva scegliere – contro il Cobra Kai di Kreese è una bella
promessa per una quarta stagione con i fiocchi, anche se in tutta onestà ho
trovato questa stagione numero tre molto meglio della seconda, anche se distante
dalla brillantezza della prima annata, quella sì resta un vero gioiello, di cui ora Netflix ha deciso di sfruttare l’onda lunga.

Dopo aver appeso il cappello a casa Netflix, questa serie
ora può puntare al bacino di pubblico che merita e sono sicuro andrà avanti per
molte stagioni ancora, anche se lo scontro tra i Dojo di Johnny e Daniel
opposti a quello di Kreese, potrebbero rappresentare il finale naturale (e
anche ideale) per questa serie. Le dinamiche da telenovelas sono un modo per
giocarsela facile portando a casa il risultato, “Cobra Kai” a questo punto può
permetterselo perché ha la giusta combinazione di vecchie glorie come William
Zabka (palesemente quello più in forma di tutta la serie) e quindi di
malinconia, mista a nuove leve che tutto sommato hanno saputo conquistarsi i
favori del pubblico, anche se alcuni personaggi (minori) sono scomparsi, quelli
rimasti a loro modo funzionano e devo dire che ricordo ancora i nomi di tutti
quanti, il che non è scontato in serie così corali.

“Non potresti andare a pesca come tutte le persone normali?”

Avevo una mezza idea di trattare questa stagione,
descrivendo i vari livelli di talento marziale dei personaggi, ma mi rendo
conto da solo che sarebbe stato una perdita di tempo, per una serie nata da una
serie di film in cui il Karate era trattato alla stregua della magia e in cui
il protagonista, era Ralph “Foppapedretti” Maccio? Non avrebbe avuto senso farlo, di cosa stiamo
parlando dai? Tutta il mio spirito di analisi “tecnica” (o presenta tale) si è
spento quando ho visto Tory (Peyton List) far finta di saper maneggiare un
Nunchaku, con la stessa abilità con cui io potrei scindere degli atomi, questa
serie va presa per quello che è, un divertente passatempo con il cuore dal lato
giusto.

Si perché i limiti della saga cinematografica di Karate
Kid sono palesi, solo con le fettone di prosciutto della malinconia sugli occhi
qualcuno oggi, nel 2021, potrebbe credere che “Per vincere domani” (titolo storico di rara bruttezza), non fosse
una favoletta con dentro una sola grande forza, la capacità di motivare e
parlare ad un paio di generazioni di sfigatelli, anche meno aggraziati di Ralph
“Pinocchio” Macchio (tra cui il vostro amichevole Cassidy di quartiere), portando
avanti una storia di bulli da affrontare e di paura a cui non cedere.

“La Bara Volante… Questo Internet è pieno di robaccia”

“Cobra Kai” ribadisce il concetto che ogni bullo è il
frutto di un altro bullo per certi versi peggiore, lo fa allo sfinimento, ma
riesce anche a portare avanti quella tradizione di sudore e sacrificio per cui
nella vita, ti toccherà faticare. Un messaggio spicciolo se vogliamo, portato
avanti con una narrazione a tratti naif come accadeva proprio come nei vecchi
film della saga, però un messaggio che tutto sommato non risulta ruffiano, quindi
con le differenze del caso, “Cobra Kai” sta a Karate Kid come The Mandalorian alla saga di “Guerre
stellari”, un ferro vecchio con ancora molto (e molti) da affascinare. fatto
salvo che si tratta di una telenovelas, se la quarta stagione fosse già
disponibile, non perderei nemmeno un secondo e correrei a guardarla, quindi Netflix ha
ottenuto il suo obbiettivo: Cobra Kai never dies!

Vi ricordo tutti i film dedicati alla saga che trovate sulla Bara Volante:
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