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Constantine (2005): fumettistico, senza assomigliare troppo al fumetto

Ve lo ricordate il 2005? Sono passati vent’anni quindi non pretendo una risposta immediata, ma nemmeno una che non preveda un «GULP!» molto fumettistico, perché anche di questo vorrei parlarvi oggi, il panorama dei film tratti da fumetti americani di vent’anni fa era diverso da quello di adesso.

Era un’epoca pre-MCU, in cui i Fantastici Quattro erano quelli di Tim Story con la Plasti-COSA, il periodo inaugurato da “Blade” (1998) in cui uscivano titoli come Hellboy e perché no, “Constantine” ai tempi accolto come lo schifo, perché per lo meno allora, chi conosceva i personaggi, i fumetti li aveva letti per davvero, non si elevava a massimo esperto sulla base di adattamenti prodotti da Hollywood. Si nota la venatura polemica? Spero di sì.

Parliamo del Keanu Reeves a cavallo dell’elefante al centro della stanza, John Constantine è una moderna idea di mago, che non tiene tra le dita una bacchetta ma al massimo, una sigaretta, la cui magia si esprime in un modo: Constantine ti fotte, ti raggira e alla fine, vince lui, non importa che tu sia umano, divino o proveniente dall’inferno.

Una sola vignetta e un solo dito bastano per riassumere un personaggio.

Il personaggio, nato come comprimario sulle pagine di Swamp Thing è stato creato con l’aspetto di Sting con un pastrano, una trovata normale per il fumetto nostrano, in particolare quello targato Bonelli che ha sempre preso ispirazione da facce note. Il personaggio, semplicemente troppo carismatico per fare da comprimario, si è guadagnato la sua serie solista edita dalla Distinta Concorrenza, la DC Comics e la loro storica linea per letture adulte, la Vertigo. “Hellblazer” ha sempre venduto bene facendo un doppio salto carpiato con l’arrivo di un giovanotto da Holywood (occhio al numero di “L”), Irlanda del Nord, un ragazzo di nome Garth Ennis che ha pensato bene di trasformare l’amore per le sigarette di John Constantine in una condanna a morte, cancro ai polmoni e punto di partenza di un ciclo memorabile di storie per il personaggio.

Mezzo tatuaggio per braccio, così, de botto, senza senso, però figo.

L’idea di portare John Constantine al cinema nel 2005 è figlia di un momento in cui, si cercavano ancora titoli di culto, roba in odore de Il Corvo, tanto per capirci, da qui le scelte di prendere le distanze dal fumetto in un modo che fece incazzare il ben ristretto pubblico alla quale il film si rivolgeva, i Nerd: via il nome “Hellblazer” sostituito dal cognome del personaggio, via un biondo sosia di Sting per l’equivalente targato 2005, qualcuno di “Bello bello in modo assurdo” (cit.), carismatico, amato dal pubblico e con tradizione, insomma Keanu Reeves post-Matrix e pre-John Wick, in una prova, come al solito immobile ma non senza ringhi e faccia da schiaffi, risultato? Pensato per la piccola cerchia dei Nerd, “Constantine” si rivolgeva più che altro al pubblico generico.

Forse una delle ultime volte in cui il protagonista di un film americano ha potuto fumare impunito.

Una versione Yankee di Constantine, moro e nero vestito, che sostituisce il concetto di “Ti frego con l’astuzia” con il più comprensibile (per il pubblico americano) “Ti sparo addosso con il mio fucilino a forma di croce e sì, ogni tanto ti frego anche con l’astuzia”. Alla sua uscita il film andò bene senza spaccare i botteghini o per lo meno, senza diventare il CRACK totale che la Warner Brothers si sarebbe attesa, a distanza di anni, ogni tanto annunciano un seguito, più che altro perché nel frattempo, un minimo di rivalutazione c’è stata anche per questo film, rivedendolo in occasione del suo compleanno, non mi è impossibile capire il perché.

“Constantine” passa come pialla su anni di pubblicazioni Vertigo, nel momento di buttare giù la sceneggiatura, Kevin Brodbin e Frank A. Cappello sembra che si siano comportati come due che dopo aver ricevuto un pacco di fumetti di “Hellblazer” dalla Distinta Concorrenza, abbiano finito per puntare tutto sulla trama più famosa del personaggio, quella “Abitudini pericolose” con cui Garth Ennis rivoltò il personaggio come un calzino, facendolo ammalare di cancro ai polmoni e mettendolo spalle al muro, sfruttando quella manciata di storie come spunto iniziale, di “Hellblazer” i due sceneggiatori hanno mantenuto poco altro, l’idea del mondo nascosto sotto la facciata del nostro, della tregua tra inferno e paradiso e di John Constantine, che non somiglia più a Sting ma prende forme (e colori, quindi nero) di Keanu Reeves per un personaggio quasi ex novo, sentite come parlo bene, sempre un recensore vero.

Come spiegare John Constantine al pubblico di mangia pop-corn americani, un riassunto per immagini.

Motivo per cui nel 2005, chi conosceva il personaggio ha storto il naso così forte da provocare un boom sonico, chi invece non ne aveva mai sentito parlare, si è trovato davanti ad un film con un mondo comunque ben delineato, con una Tilda Swinton più eterea ed androgina che mai nei panni di Gabriele (scelta impeccabile), con un Papa Midnite impersonato da un azzeccatissimo Djimon Hounsou e da un Lucifero di cui tutti parlano e che non si vede mai, almeno fino alla sua entrata in scena, ma su quella lasciatemi l’icona aperta, ci torneremo più avanti.

Concessioni al pubblico generico di masticatori di Pop-Corn yankee in sala? Tante, a partire dall’inevitabile spalla comica, l’assistente-autista-aspirante-Constantine di nome Chas Kramer qui impersonato da uno che oggi sembra più che altro un demone in fuga dall’inferno, ma nel 2005 poteva ancora permettersi il ruolo da bravo ragazzo, visto che Shia LaBeouf era ancora nelle grazie di Steven Spielberg e qui con la sua presenza, ci fa percepire quanto lunghi siano stati questi vent’anni. Anche perché guardando Keanu Reeves e Tilda Swinton non avrete la vera dimensione del tempo che passa, non per quei due almeno.

Vent’anni e non sentirli, Tilda con le ali, come una nota bibita energetica.

Non ho nessuna intenzione di mettermi qui a fare la punta ai chiodi sulle differenze con il fumetto, per me l’unico modo di godersi “Constantine” è pensare al protagonista come ad un personaggio nuovo, pensato per un pubblico più vasto e godersi un film che nel suo essere didascalico (il fucilino in mano all’eroe, hanno dovuto infilarlo per forza) riusciva a fare la sua cosa, parafrasando una delle frasi ripetute dal personaggio: «Sono Constantine», no non lo sei, sei un Constantine che però funzionava, specialmente in un momento storico pre-MCU in cui i film tratti da fumetti, non avevano ancora tutti la stessa fotografia precotta, gli stessi effetti speciali fatti con lo stampino e lo stesso bisogno di rispettare la proporzione 60/40 in cui la percentuale in vantaggio è quella dedicata alla battutine stemperanti, spesso idiote, qui siamo ancora ad un 30/70 con la parte comica che più che altro è umorismo nero.

Ditemi quello che volete, ma Francis Lawrence è tutto tranne che un fenomeno, siamo sotto la soglia dell’onesto mestierante, anche al suo primo – di tanti – film su commissione, qui arrivava con il suo carico di esperienza nei videoclip, un’arte ormai antica e perduta che lui padroneggiava, avendone diretti per chiunque. Qui il regista bagna le strade di pioggia, gioca con la saturazione dei colori anche grazie alla fotografia di Philippe Rousselot, certo la CGI mostra un po’ di magagne, quindi tutti si ricordano la discesa dall’inferno del protagonista per via dei mille mostri con mezza testa, ma l’effetto veramente figo, vede Reeves, come suo solito semi immobile su una sedia, con il pastrano fumante di uno che è tornato per il rotto della cuffia da un posto dove fa caldo, molto ma molto caldo.

«Sta per arrivare il paragrafo in cui Cassidy parla di te Rachel», «Temo che parlerà di entrambi»

Rachel Weisz nel doppio ruolo impersona sia la controparte femminile che la damigella in pericolo da salvare dalla dannazione, bisogna dire che con Reeves mette su una chimica più che decente, anche perché l’attore, che sarà carismatico quanto volete ma versatile proprio no, qui per lo meno tira fuori una prova incazzata, non è uno che si limita ad usare più parolacce rispetto al solito WOAH!, quando più che altro restituisce l’impressione di qualcuno davvero incastrato in una situazione di merda e costretto a fare il suo lavoro, volente o volente.

La parte migliore del film? Non ho dubbi, più dell’acqua del sistema anti-incendio santificata (ditemi se quella non è una scena pensata da uno che arrivava dai videoclip) penso proprio all’icona che aveva da chiudere, sfido chiunque a guardare solo la scena dell’arrivo di Lucifero e non avere voglia di continuare a seguire la storia o anche sapere tutto di quanto accaduto fino a quel momento, chissenefrega dell’oggetto MacGuffin di turno (la lancia di Longino) o la gag finale della gomma da masticare, Peter Stormare quando arriva fa il vuoto e in due minuti scarsi, recitando un metro sopra le righe, si mangia il film facendo fare un salto di qualità a “Constantine”, questa è davvero l’unica scena ricorda e allo stesso tempo tradisce il fumetto originale, ma regala dignità ad un film che ha provato a risultare fumettistico senza ripercorrere per forza strada già percorse da qualcuno.

Entrate in scena spettacolari ne abbiamo?

Provate a riguardarlo magari in occasione del suo compleanno, se non vedrete troppo gli effetti di Padre Tempo su Reeves, Swinton e volendo anche Hounsou, vi renderete immediatamente conto di quanto visivamente sono stati appiattiti i film per tutti dopo vent’anni di super pigiami fatti con lo stampino, basta per una rivalutazione piena? Non credo, ma resta un interessante esperimento da fare, e poi Stormare spacca!

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