Qui è Cassidy, della Bara Volante, che parla a chiunque
sia in ascolto. La strada diventerà un po’ tortuosa da qui in poi e bisognerà
pestare parecchio, quindi restate a vista di paraurti e occhio agli orsi, benvenuti
al nuovo capitolo della rubrica… Sam day Bloody Sam day!
Ok l’arte, le tematiche e la poetica, tutto molto importante,
ma i film vengono realizzati da sempre per i motivi più assurdi, ovviamente
tutti legati al vecchio, volgare, ma indispensabile profitto, alcuni film sono
entrati in produzione per i motivi più disparati e non per forza
particolarmente intelligenti, ad esempio, la EMI aveva acquistato i diritti
cinematografici di una zompettante canzoncina country-western intitolata Convoy di C.W. McCall, un pezzo che dopo
mezzo ascolto vi si pianterà nel centro del cervello, diventato abbastanza
mitico, ricordo che lo canticchiavano anche i protagonisti di My name is Earl, in una gag molto
riuscita. La canzone racconta già una storia tutta sua, quella di un convoglio
di autoarticolati che corre lungo le strade d’America, guidato da un camionista
soprannominato Anatra di gomma, in lotta con non si sa bene cosa, il sistema
(forse) e di sicuro alcuni “orsi”, come vengono soprannominati i poliziotti della
stradale.
Voi avete idea di cosa sarebbe stato se “Convoy” avesse
lanciato un genere? Snocciolando “universi” narrativi per ogni cosa, perché non
un bel Musicverse in cui ad arrivare
al cinema potevano essere i deliri lisergici del coniglio bianco dei Jefferson
Airplane, o magari il gigantesco Mazinga reso pazzo dai viaggi nel tempo di
“Iron Man” dei Black Sabbath? Purtroppo non è andata così, per mettere su un
film ispirato al pezzo di C.W. McCall la EMI contattò la United Artist ed
impressionati dall’ottima prova “europea” fornita da Sam Peckinpah con La croce di ferro, pensarono che un
regista esperto di Western sarebbe stato perfetto, ma Bloody Sam in quel
periodo stava già sotto il suo personalissimo tir.
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Was the dark of the moon on the sixth of June, in a Kenworth pullin’ logs (cit.) |
Alcool, droghe e un caos generale caratterizzavano la vita
del regista di Fresno che tra sostanze, bottiglie, auto sportive, yacht e case
al mare aveva speso parecchio per sostenere il suo stile di vita, ma in ogni
caso era riuscito, comunque, a continuare a sfornare film senza pause troppo
lunghe uno dell’altro (anche quattro film nel giro di cinque anni) ed era
ancora alla ricerca di un successo commerciale che potesse riportarlo lassù,
dove era stato ai tempi di Getaway! considerando
che l’anno precedente lo scemissimo e spassoso “Il bandito e la Madama”
aveva sfatto frantumato i botteghini, perché non “Convoy”? Malgrado l’orrore di
amici e collaboratori, Peckinpah firmò per 350 mila fogli verdi con sopra facce
di ex presidenti spirati e una percentuale sugli incassi e salì a bordo del
convoglio.
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“Tutti pronti a partire, questo convoglio non si guiderà certo da solo!” |
B.W.L. Norton scrisse un copione da abbinare alle parole
della canzone che “approfondiva” i personaggi citati nel testo, virgolette
obbligatorie perché il risultato finale ci lascia comunque con personaggi che
sembrano scappati sgommando da un cartone animato e motivazioni generiche
legate più che altro al ruolo, il capo degli “orsi”, lo sceriffo Lyle
“Papà Orso” Wallace interpretato dal ghigno di Ernest Borgnine ha
meno motivazioni di odiare i camionisti di quante ne aveva lo sceriffo Teasle
di odiare Rambo, in compenso, è molto
più corrotto. Anatra di gomma, invece, è un ribelle senza causa, uno Jena
Plissken ante litteram che vorrebbe filarsela, ma tutti pensano che abbia chissà
quale motivo per scappare e decidono tutti di seguirlo, di fatto è come la scena
della corsa lungo l’America di Forrest Gump, però con molti più autoarticolati
rombanti.
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“Non vogliamo camionisti vagabondi qui da noi” (quasi-cit.) |
Sam Peckinpah più placido di quello che la sua fama
avrebbe lasciato immaginare, si mise al lavoro seguendo la clausola di non
eseguire alcuna modifica alla sceneggiatura, ma siccome la testa è sempre stata
quella del ribelle e per di più, era anche piuttosto annebbiata da alcool e sostanze,
l’orgoglio ebbe la meglio, ad un certo punto Bloody Sam decise che “Convoy”, se
pur tratto da una scemissima canzoncina country-western sarebbe stato lo stesso
un grande film alla Peckinpah, quindi incoraggiò gli attori ad improvvisare
battute e situazioni, convinto di poter sistemare tutto in sala di montaggio.
Significativo il fatto che “Convoy” abbia di fatto radunato tutti i fedelissimi
di Peckinpah, da entrambi i lati della macchina da presa per essere precisi.
Anatra di gomma, l’(anti)eroe senza causa, ha tutto il
carisma e la presenza scenica di Kris Kristofferson, uno stracciamutande alla
guida di un gigantesco Mack nero come il peccato, con un’anatra di metallo
luccicante avvitata sulla punta del cofano (tenetemi l’icona aperta, più avanti
ci torniamo) e dei Ray-ban a specchio ancora più fighi, quando ho comprato un
paio di occhiali così, li ho comprati identici (storia vera).
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L’occhiale giusto per i tipi giusti (lo sapeva anche Tony) |
Anatra di gomma è un personaggio fatto e finito, il tipo
di protagonista che dà l’impressione di avere macinato parecchi chilometri di
avventure nella vita, un uomo di mondo che prima ho paragonato a Jena Plissken,
ma potrebbe essere anche un Han Solo con un Mack al posto del Millennium Falcon,
Kristofferson che è figo come la neve a Natale in un personaggio così ci sguazza
(in quanto Anatra).
Il suo arci nemico è il capo degli “orsi”, lo sceriffo
Wallace non scivola(troppo) nella macchietta solo perché Ernest Borgnine mette
su una prova ringhiante e con quel sorriso mangiamerda (cit.) lo rende talmente
odioso e pericoloso grazie quasi esclusivamente al suo mestiere, lo stesso non
si può dire della bella Melissa, Ali MacGraw in questo film è una meraviglia
per gli occhi, ma senza una sceneggiatura a sostenere gli attori e un regista
seriamente in crisi, se i personaggi emergono è quasi esclusivamente grazie al
talento degli attori e, ammettiamolo, la MacGraw è sempre stata più bella che
brava.
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Posso scrivere quello che mi pare, tanto state tutti (giustamente) guardando la MacGraw. |
Per assurdo, emergono più gli altri membri del cast, Vedova
nera (Madge Sinclair), Spider Mike (Franklyn Ajaye) e Casino ambulante, meglio
noto come “Maialotto” (interpretato dal mitico Burt Young impegnato a
cercare di imitare alla meno peggio l’accento del Texas). I personaggi di
“Convoy” si cambiano i nomi come i supereroi, utilizzando il loro nomignolo
con cui comunicano via radio, questa trovata non fa che renderli ancora più
vicini ai cartoni animati a cui somigliano e in generale, “Convoy – Trincea
d’asfalto” (inutile ma cazzuto sottotitoli italiano compreso) potrebbe essere
considerato il film della “fase Pop” della carriera di Peckinpah, un po’ come
lo era stato Diabolik per Mario Bava,
se non fosse che questo film non ha iniziato nessuna “fase Pop” per il regista
di Fresno e, considerando musiche ed ambientazioni, al massimo sarebbe
stata una “fase country-pop”.
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“Ragazzo faccio una piccola deviazione verso Philadelphia, un pugile locale ronza troppo vicino a mia sorella” |
Sì, perché i sogni di gloria di Bloody Sam, il suo grande
piano di trasformare “Convoy” in un altro grande film della sua filmografia, si sono scontrati di faccia con la sua condizione fisica: se davanti alla macchina da
presa Peckinpah poteva contare su amici come Kristofferson e attori fidati, tra
i suoi collaborati il vecchio Sam aveva ancora dalla sua quello che restava
della sua banda di fedelissimi, il suo “mucchio selvaggio” prevedeva ancora
Katy Haber e Walter Kelley, ma anche James Coburn, che desiderava mettere le
mani sulla tessera della “Directors Guild of America” e quindi il suo amico Sam
lo fece accreditare come regista di seconda unità (storia vera). Furono proprio
i fedelissimi di Peckinpah a tenere insieme i pezzi di una produzione che Sam
non era in grado di gestire.
In balìa della cocaina, Peckinpah era afflitto da crisi
paranoiche che affrontava chiudendosi dentro la sua roulotte, a volte lasciando
attori e troupe ad aspettarlo anche per ore sotto il sole, i momenti di
lucidità ormai erano pochi e convincono quasi tutti con i pezzi più riusciti
di “Convoy”, ma in generale il film è stato portato oltre la linea di meta dai
fedelissimi del regista, basta dire che il raffazzonato finale (che richiede
una discreta dose di sospensione dell’incredulità) è stato girato interamente da
James Coburn, perché Peckinpah era semplicemente ridotto ad uno straccio
(storia vera).
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Cowboy su gomme, lungo l’ultima frontiera raccontata da Sam Peckinpah. |
Ecco ve lo dico: io credo che ci sia sempre un “film
minore” all’interno di ogni filmografia, che è proprio quello che ti fa perdere
la testa per uno specifico autore, potrei fare questo giochino per tutti i miei
prediletti, per Sam Peckinpah sarebbe senza ombra di dubbio “Convoy”. Se Voglio la testa di Garcia era stilizzato,
ma cinico, nichilista e violentissimo, “Convoy” è altrettanto stilizzato, un
fumettone su gomme sotto il sole dell’Arizona e del Texas che non si avvicina
nemmeno ai migliori film del regista, ma ha saputo sfornare quintali di
iconografia.
Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film?
Ne determinano tutto l’andamento e qui a fare da Camion di testa a questo
convoglio è proprio la prima scena, la marcetta di C.W. McCall, l’asfalto
rovente e il camion di Anatra di gomma che spunta da dietro una salita, sembra
il video musicale della canzone per quanto tutto risulta stilizzato, gli
occhiali a specchio di Kristofferson, l’anatra scintillante sul suo cofano, il
montaggio spezzettato ed Ali McGraw su una spider nera, probabilmente guidando
anche senza mutadine, in quello che è una sorta di corteggiamento in auto,
scanzonato quanto i personaggi.
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Avete mai visto un Mack serie R corteggiare una Jaguar XK-E? Nemmeno Cars aveva mai osato tanto. |
I camionisti di “Convoy” sono ruspanti, ma leali,
incarnano in modo leggero tutte le tematiche che normalmente si trovano in un
film di Peckinpah, il suo amato Messico come punto di arrivo, sorta di “Terra
promessa” per tutti i ribelli del mondo. Le donne che sono da conquistare per
la loro avvenenza, oppure pari grado (come la Vedova, che maledice il suo
camion per non averlo comprato nero), non manca nemmeno il tema delle fedeltà
tra amici anche se il ribelle protagonista ha meno motivazioni di Peckinpah per
impegnarsi con il film, quello che trovo straordinario è che anche un titolo
tutto sommato leggero e diretto con una mano sola (forse anche meno) da un
genio come Peckinpah, sia comunque meglio di tanta altra roba che mi sia
capitata di vedere nel corso degli anni.
Per certi versi “Convoy” sembra la puntata di “Hazzard”
diretta e recitata meglio di sempre, con enormi autoarticolati al posto del
Generale Lee, ma allo stesso modo non mancano camion che si ribaltano per curve
a gomito prese troppo velocemente, auto della polizia che volano fuori strada
in “ciocchi” fortissimi tutti diretti come si faceva una volta, ovvero
schiantando lamiere sul serio.
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Che rumore fa un Ford LTD quando cade? Qualcosa tipo “SBADABOOM” direi. |
Non mancano nemmeno risse e scazzottate nei locali, dove
il rallenti caratteristico di Peckinpah non può mancare, anche se qui più che
utilizzato per scavare nella violenza insita nell’uomo, prende una deriva
goliardica, non vorrei proprio dire in stile Bud Spencer e Terence Hill, ma è
l’esempio migliore che mi viene al momento.
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I famigerati “balletti di sangue” di Peckinpah in versione country-folk. |
Finiamo per affezionarci ai personaggi perché sono
proletari, con le maniche rigorosamente arrotolate che fanno casino e affrontano
attraversate solitarie che possono durare anche chilometri, dei moderni Cowboy,
ultimi esemplari di una frontiera d’asfalto al tramonto. Ci sono scene in cui
Peckinpah riesce a mostrare gli enormi autoarticolati come bisonti lanciati
lungo gli Stati Uniti, oppure li fa “ballare” su gomme, con tanto di versione
Valzer del tema musicale del film, insomma Peckinpah si concede tutto, anche
una comparsata come membro della troupe che cerca di intervistare “al volo”
Anatra di gomma (lo riconoscerete per i baffetti e l’iconica bandana in testa),
per essere un film minore, riesco a capire perché ha avuto così tanta presa su
di me, un Western su gomme, fuori tempo massimo ultra cesellato a tratti e
scanzonato dall’inizio alla fine, anzi, il finale è davvero quello di un cartone
animato.
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Quel tecnico del suono con la bandana ha stile, secondo me farà strada. |
Lo scontro tra Anatra di gomma e il “capo orso” Wallace
diventa una vera guerra con tanto di battaglia finale, Anatra che giustifica il
suo soprannome ricordando la frase paterna («Devi fare come l’anatra, stare
zitto e buono in superficie, ma sotto devi darci dentro come un dannato»), alla
fine riesce ad avere la meglio in un modo che sfida le leggi della fisica ed
esce dagli impicci con una battuta («Hai mai visto un’anatra che non sa
nuotare?»), ma lo stesso Peckinpah in un momento di lucidità in sala montaggio
si è reso conto di non essersi impegnato a dovere per girare questo film, una
sconsolatezza che spiega come mai, nell’unica volta nella sua carriera, Bloody
Sam non ha mosso un muscolo quando la produzione gli ha portato via il film,
rimontandolo e presentandolo nella versione da 106 minuti, l’unica disponibile.
L’idea di Peckinpah di trasformare “Convoy” in un grande film epico (il primo
montaggio del regista si attestava sulle due ore mezza) richiedeva una
condizione fisica che Bloody Sam ormai non aveva più da tempo.
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Duck in inglese vuol dire anche abbassarsi, infatti il nostro Rubber Duck tiene fede al suo soprannome. |
Le riprese di “Convoy” terminarono il 27 settembre 1977,
con undici giorni di ritardo sulla tabella di marcia, cinque milioni di dollari
oltre il budget stabilito a causa dei vari ritardi e un totale di 240.000 metri
di pellicola girati (per darvi un’idea, quelli di Il mucchio selvaggio erano 150.000), un disastro annunciato?
Ironicamente no.
Il film che nessuno si aspettava che Peckinpah avrebbe
mai voluto dirigere e che si è fatto portare via dalla produzione senza
protestare, cavalcando il circuito dei Drive-In e ignorando le critiche
negative (le “penne” più di prestigio dei grandi giornali, ormai non prendevano
nemmeno più in considerazione i film del regista di Fresno), “Convoy” arrivò ad
incassare 46 milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti,
molti dei quali dai mercati esterni, dove la coppia composta da Kris
Kristofferson ed Ali MacGraw era già stata “venduta” dai distributori, dove il
nome di Peckinpah ancora godeva di buona fama (storia vera).
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Quando ti citano i Simpson, vuol dire che sei nel Valhalla. |
“Convoy” ha trovato il suo pubblico e posso ammettere di
essere in buona compagnia, oltre a me è piaciuto anche a Quentin Tarantino,
visto che avevo un’icona lasciata aperta da chiudere lo faccio subito. Per
certi versi se Voglio la testa di Garcia
lo avesse diretto Tarantino, sarebbe stato un successo da subito ed è proprio
il regista di Knoxville ad aver manifestato la sua passione per Peckinpah,
l’anatra di gomma sul cofano è tornata sull’auto di Kurt Russell in “A prova di
morte” (2007) mentre il soprannome “Papà Orso” dello sceriffo Wallace è
un’invenzione italiana, in originale si chiama “Cottonmouth”, il letale
mocassino acquatico, che per altro era il soprannome di O-Ren Ishii in “Kill
Bill”.
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Quando, invece, è Tarantino a citarti, nessuno si ricorderà del tuo film. |
Eppure, come accade sempre, quando Tarantino omaggia un
regista, nessuno corre a riscoprire i film originali ed ecco perché Sam
Peckinpah non è ancora stato oggetto di una rivalutazione piena come
meriterebbe, anche perché un regista, cotto come una pigna, che con un titolo
minore riesce a mandare a segno un film così iconico e ad incassare anche dei
soldi, qualcosa di speciale dentro doveva proprio averlo.
Prossima settimana, cerchiamo di portare il convoglio di
questa rubrica a destinazione, non mancate, qui Cassidy, passo e chiudo!