Sarà tutta quest’aria di “Spooky season”, ma con ottobre alle porte, i titoli horror proliferano anche se il titolo di oggi è in giro da un pezzo, presentato alla 74ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino a febbraio, il film di Tilman Singer è stato distribuito negli Stati Uniti durante l’estate. Da noi? Campa cuculo cavallo, ma per fortuna vostra, avete la Bara per un volo in avanscoperta.
Dopo un prologo che inizia con una litigata in famiglia e una ragazza che fugge nel bosco, con le orecchie “appizzate”, facciamo la conoscenza di Gretchen, adolescente con lo scazzo alla risposta come Vodafone, ancora più depressa dopo la morte della madre e la scelta obbligata di andare a vivere con papà, che nel frattempo si è trovato una giovane fidanzata tutta nuova Beth (fatta a forma della prezzemolina Jessica Henwick) e ha anche messo al mondo una nuova figlia, una sorellina per Gretchen che la ragazza non avverte come tale. Avete presente lo spaesamento di ritrovarsi di colpo insieme alla nuova famiglia di tuo padre, per di più tutti insieme in viaggio verso una località turista spersa nel mezzo delle alpi Bavaresi, guidata da un tipo viscido e sornione come il signor König (Dan Stevens, anche lui a livelli di prezzemolo ben messo)? Non proprio una gran vacanza per Gretchen volata in questo nido.
La situazione si complica quando quasi tutte le donne in questo novello Overlook Hotel bavarese, hanno nausee e attacchi epilettici, causati apparentemente da boh! Anche se diventerà presto chiaro che l’urticante fischio tipo richiamo ultrasonico per uccelli del prologo, avrà il suo bel ruolo nella vicenda, se non fosse che Gretchen ha altri problemi aggiuntivi, come l’essere pedinata da una misteriosa e sinistra donna incappucciata (Kalin Morrow).
Qualcuno sostiene che nel 2024 non si possa davvero creare una storia nuova, tanto meno al cinema, altri sostengono che il cinema non abbia MAI creato roba nuova, perché tanto Shakespeare e Omero hanno già scritto tutto, il resto è solo una copia di una copia di una copia. Eppure è abbastanza innegabile che gli spunti di partenza di “Cuckoo” siano tanti, non per forza dichiarati, perché il gioco della grande “caccia alla citazione” è uno sport presto olimpico, fin troppo praticato dai cinefili che vedono citazioni anche dove non ci sono. Quindi preferisco, in mancanza di una conferma diretta da parte di Tilman Singer, di parlare di fascinazioni.
In questo Overlook bavarese spunta una donna incappucciata che da dietro gli occhiali da sole (anche di notte) con cui si copre parte del volto, sfoggia due puntini di luce rossa, considerando quanto non si possa trattare o patteggiare con lei, viene da pensare a Terminator, anche se il titolo ricorda in qualche modo un film bello bellissimo di Forman. Nel mezzo troviamo una storia che funziona anche perché pare riuscire a coniugare così bene cinema “alto” e “basso”, lasciandosi affascinare dai classici ma senza imitare davvero nessuno, il casting in tal senso migliora l’assunto e non è solo frutto delle mode del momento.
Gretchen è fatta a forma di Hunter Schafer, una delle modelle transgender più famose del mondo, celebre per il suo ruolo in Euphoria nei panni di Jules Vaughn, ora, non ci va un genio per capire che la scelta di un’attrice transgender in un horror dove a venire colpite per prime dall’elemento fantastico sono le donne, ha molto senso. Gretchen sembra il personaggio che non avete visto nella celebre serie HBO che qui ha la sua storia solista: suona in camera sua con le cuffie nelle orecchie (elementi anticipatori ne abbiamo?) ed è attratta dall’unica altra ragazza della sua età in circolazione, insomma sani e normalissimi istinti che per l’elemento fantastico di “Cuckoo” sono una minaccia. Non lo sentite anche voi nell’aria quel fantastico odore di METAFORONE buono usato per far del bene ad una trama? Io sì e in questo modo dovrei essere riuscito a dire tutto senza fare anticipazioni sulla trama, nel prossimo paragrafo, altri vaghi riferimenti.
Tilman Singer riesce a suo modo a incastrarsi più che dignitosamente nella lunga tradizione di tutti quelli che hanno seguito la lezione di Don Siegel, il risultato è un film bello vivo, pazzo, con un ritmo piuttosto alto quando ingrana le marce alte e con una gran capacità di fare propri i modelli di riferimento, sotto il suo aspetto da titolo da Film Festival, contiene un’anima molto votata al cinema di genere piuttosto evidente.
Tra primi piani su “gole” che emettono richiami disumani e un Terminator incappucciato che si rivelerà solo nel finale, Singer manda in scena la sua invasione degli ultracorpi da interni, una roba che mi ha fatto pensare alle prime apocalissi da interni di Cronenberg, giusto per ribadire quando il film abbia tutti i riferimenti giusti e riesca a fare buona metafora nei nostri tempi moderni, senza scadere in spiegoni o momenti didascalici, ma in azione, perché Gretchen si trasforma progressivamente in novella “Final Girl” malgrado le ferite gravi che subisce.
Dall’epoca a cui appartiene invece, “Cuckoo” pesca dal cinema di Julia Ducournau la tendenza a sottolineare le scene più drammatiche, grondanti sangue e concitate con un pezzo italiano di qualche nostra cantante del passato, quindi di colpo la bella colonna sonora – angosciosa il giusto – firmata da Simon Waskow, viene interrotta da Il mio prossimo amore, che ha anche un certo senso, considerando le cuffie usate dalla protagonista per salvarsi, anche se non credo che nessuno si gasi sparandosi Loretta Gocci nelle orecchie.
Il finale mi ha ricordato una versione più esplicita (e sinistra) di Villaggio dei dannati, no, non quello di Wolf Rilla ma proprio quello di Carpenter, quindi sarebbe interessate fare qualche domanda al regista, ma per ora sarà interessante seguirlo, perché Tilman Singer ha molto da dire e il suo “Cuckoo” potrebbe essere uno degli horror più interessanti dell’anno, ora lo sapete, anche per oggi il volo in avanscoperta di questa Bara ha avuto i suoi frutti.
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