Il 21 settembre compie gli anni il grande Stephen King è
ogni occasione è buona per portarlo a bordo di questa Bara, per un blogtour di
compleanno, trovare tutti i dettagli alla fine del post, di mio invece, da
cinefilo, cinofilo e lettore di zio Stevie oggi ho scelto di portare a spasso “Cujo”.
Nella vasta produzione dello scrittore del Maine, “Cujo” è
quello strano della cucciolata, per una semplice ragione, lo stesso King non
ricorda di averlo scritto, come lui stesso dichiarato nel suo fondamentale
saggio “On writing”. Nel 1981, anno di pubblicazione del romanzo, King stava
sotto un treno, era nel pieno della sua dipendenza da alcool e cocaina, lo scrittore ha confessato di aver passato il tempo della
stesura a battere sui tasti della macchina da scrivere, con fazzoletti arrotolati su per il naso per frenare l’emorragia di sangue e che si dispiace di tutto, soprattutto
di non ricordare il tempo passato con i personaggi del libro, o l’emozione di
arrivare a buttare giù l’ultima pagina del manoscritto (storia vera).
Peccato perché “Cujo” è anche un buon libro, uno dei più
cupi mai scritti da King che ammettiamolo, quando si tratta in particolar modo di finali, tante volte ha ricorso al barattolone di miele anche quando non necessario, ma non per questo
romanzo, che al netto di qualche passaggio che allunga un po’ il brodo, come la
trasferta a casa della madre di uno dei personaggi oppure il girovagare del
cagnone protagonista (seppur interessante, visto che King ci porta
letteralmente nella testa di un San Bernardo), tutto sommato è un libro horror
molto valido, specialmente viste le condizioni dello scrittore, non proprio nel pieno delle sue facoltà.
Per quanto riguarda l’adattamento, un po’ della pressione su
King, la sua ansia da prestazione è passata anche ai film, nel 1983 Hollywood
ormai aveva scoperto lo scrittore del Maine, la corsa per accaparrarsi i diritti dei suoi (allora) pochi romanzi
era la nuova caccia all’oro e gli horror uscivano con il nome di King come
traino principale, infatti la Warner per “Cujo” aveva affidato la regia a Peter Medak,
autore del notevole Changeling ma rimasto a bordo del progetto come da Natale a Santo Stefano,
per via delle solite “divergenze creative”, che si traducono anche in una
sceneggiatura scritta e riscritta varie volte. Infatti la prima bozza di Don
Carlos Dunaway era semplicemente troppo lunga e dettagliata per il budget del
film e le aspirazioni di Medak.
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«Basta che non lo facciano dirigere a me, ho sentito di registi cani, ma mai di cani registi» |
Il produttore Neil A. Machlis, come sempre accade in questi
casi, era pronto a giurare e spergiurare che la sua prima scelta come regista,
era sempre stata Lewis Teague a cui è stata affidata la regia dopo il cambio di regista e che aveva già preso contatti
con il produttore in precedenza, forte della sua esperienza con un altro film di mostri come “Alligator”
(1980), ma visto che Teague ha portato oltre la linea di meta il film, crediamo
alla versione di Machlis, facciamo finta di essere ragazzi ingenui.
Con quello che di norma viene definito un “onesto
mestierante” dietro la macchina da presa, le fortune vere del film (senza nulla
togliere al lavoro di Teague) sono l’arrivo del secondo sceneggiatore Laurier
Currier che sfoltisce e semplifica la trama, ma anche della possibilità di
scegliersi un direttore della fotografia, che in questo caso è il compare di
Paul Verhoeven, ovvero quel genietto di Jan De Bont. Se ricordate “Cujo” come
un film ansiogeno, lo dobbiamo quasi esclusivamente alle intuizioni dell’olandese,
sua è stata l’idea di far aprire un foro sul tettuccio di una delle Ford Pinto usate nel film, per inserire la macchina da presa dall’alto, in modo da poterla
controllare agevolmente, regalandoci quell’inquadratura a ruotare da dentro la vettura, che
è uno dei momenti (anche di ansia) più memorabili del film.
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Quando Cu-Cujo viene a farti Cu-Cu! |
Altra medaglia sul petto di “Cujo”? Non ho dubbi, la
presenza nel cast di Dee Wallace nel ruolo della madre protagonista, forte
delle esperienze con Wes Craven e con
Joe Dante, qui regala un’altra gran
prova che ha contribuito a confermare il suo stato di leggenda vivente del
cinema Horror, il tutto in un film molto complicato, perché la massima di Hollywood la
conoscete no? Un regista dovrebbe sempre evitare film dove di mezzo ci
sono cani e bambini, “Cujo” non solo li ha entrambi, ma comunque ha portato a
casa il risultato alla grande, quindi onore e merito a Lewis Teague per aver
contribuito al nome di tanti cagnoni (il più delle volte dolcissimi di
carattere) tutti chiamati Cujo.
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Cujo: il musical! |
Del romanzo che King non ricorda di aver scritto ho sempre
amato due dettagli, il suo essere di base una storia d’assedio, con una donna e
suo figlio chiusi in un’auto sotto il sole, con un feroce San Bernardo con la
rabbia pronto a sbranarli entrambi. Ma soprattutto ho sempre apprezzato l’intreccio,
il modo in cui King attraverso una serie di eventi del tutto normali, di pura e
semplice routine, accumula le piccole sfighe e i contrattempi, tanto da creare l’effetto
domino che porta la protagonista in quell’auto, proprio da quel meccanico, esattamente quando Cujo ormai è diventato un essere demoniaco. Il male che si
nasconde dietro ad una facciata di normalità, il marchio di fabbrica di King
che d’altra parte, ha avuto questa idea quando ha avuto bisogno di
aggiustare la moto, ma per errore ha scelto un meccanico fuori città con un cane
poco amichevole (storia vera).
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Titoli di testa ragguardevoli e dove trovarli. |
Il film di Lewis Teague riesce a ricreare in parte questo
effetto domino, anche se tutta l’attenzione sta sul cagnone protagonista, un
batuffolone di pelo di boh, cento chili? Che passa dall’essere amorevole e
spensierato (e il tema musicale di Charles Bernstein lo sottolinea bene, pare
che il compositore si sia consultato con John Williams per qualche dritta, storia
vera) ad un mostro sbavante, con il muco che cola dagli occhi e anche
decisamente feroce, ed è qui che “Cujo” si differenzia dal romanzo da cui è
ispirato.
Nel libro King era così abile (malgrado l’alterazione
mentale) da rendere Cujo una presenza, quasi sempre fuori scena, nascosto alla
vista ma ben presente come minaccia, un po’ come Bruce, lo squalo di Spielberg, ed è qui che Teague prende le
distanze. In “Cujo” l’animale si vede tanto e spesso rispetto allo squalo di Spielberg, le scene sono state
girate utilizzando cinque diversi San Bernardo (tutti sporcati di sangue finto
per mimetizzare le differenze nel pelo), addestrati a modino chi per abbaiare,
chi per saltare sul tettuccio della Ford Pinto e così via, così tanti cani che
è stato necessario vestire uno stuntmen con un costume da San Bernardo (per la
scena della “testata” alla portiera) e per un po’, nel prologo tra la nebbia, Teague
aveva anche pensato di travestire un Labrador da Cujo, sfruttando la macchina
del fumo, che non solo prima ha messo in allarme i pompieri locali, ma poi si è
rivelata una pessima idea, perché il risultato finale del travestimento canino risultava una grottesca commedia
(storia vera).
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In questo senso “Cujo” è un film d’assedio, dove l’assediante
è sempre in bella vista, tanto di cappello a Teague nell’essere riuscito a
rendere un cane storicamente da soccorso, un incubo per un paio di generazioni
di pubblico, almeno fino all’arrivo di Beethoven, dopo il mondo ha fatto la pace con questa
razza. Però è chiaro che ci troviamo di fronte ad un prodotto, non dico
televisivo solo perché tra cast e tecnici il livello è abbastanza alto, però con la
volontà di semplificare un racconto che invece è molto più stratificato, più
avanti ci torneremo.
Certo poi ancora oggi, vedere “Cujo” vuol dire patire il
caldo, l’ansia, la fame insieme a Dee Wallace e il figliolo, perché il film
sarà stato girato in pieno agosto a giudicare da quanto sudano chiusi dentro le
lamiere dell’auto no? Ecco, col cavoletto, il film è stato girato in pieno
inverno, tra una scena e l’altra Dee Wallace si faceva accendere il
riscaldamento in auto, troppo rumoroso per restare sempre in funzione, mentre l’acqua
che getta sul corpo del bimbo nella scena finale era calda, per scaldarlo dal freddo
esterno, insomma la magia del cinema in azione.
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«La pappa! É ora della pappa ho fame! La pappa preparami la pappa!» |
Il difetto evidente di “Cujo” forse è il suo essere una
favola nera ammonitoria, Donna, il personaggio di Dee Wallace tradisce il
marito giacca a cravatta con il tuttofare tuttotestosterone, poi cerca di
chiudere la storia e per senso di colpa, porta lei stessa la Ford Pinto con il motore
che fa i capricci dal meccanico, finendo così “punita” dal destino per il suo
gesto da rovinafamiglie, Karma negativo sotto forma di San Bernardo con la
rabbia, il tutto prima del ravvedimento completo. Non è un caso che Teague non
abbia avuto il cuore di essere fedele al 100% al libro, per il regista non
serviva uccidere un bimbo di tre anni perché la famiglia si radunasse nell’abbraccio
su cui si conclude il suo film, la “morale” della sua versione di Cujo è tutta
qui, il tema sempre caro agli americani conservatori dell’importanza della
famiglia in un film che parla di un cane feroce con la rabbia. Quindi quello che resta, quello che vediamo è questo bestione infernale, in un B-Movie realizzato a modino che ha
spaventato tanto pubblico, imprimendosi a forza nell’immaginario collettivo, ma
niente più di questo, onestissimo nei suoi intenti, anche se il romanzo, forse
aveva ben altro spessore.
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Vi sfido a trovare qualcuna di più leggendaria della grande Dee Wallace. |
“Cujo” è ambientato nella immaginaria Castle Rock, la città fulcro
di tanta letteratura Kinghiana, un luogo dove il male aleggia e in tal senso, i
timori notturni del bimbo, la sua filastrocca scaccia mostri (Danny Pintauro
che lo interpreta nel film, ai tempi non sapeva ancora leggere, quindi la
imparò tutta a memoria diligentissimo, storia vera) si ricollegano idealmente
alla trasformazione di Cujo, che nel film ha solo la sfortuna di essere morso
sul nasone da un pipistrello, mentre nel romanzo, tutto questo male nell’aria,
lo rendevano un agente delle forze oscure, un Cerbero votato al male, più
creatura demoniaca che cane.
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«Avrei bisogno di un bagno, qualcuno può portarmi all’autolavaggio più vicino?» |
Sarà che nel frattempo ho cominciato a dividere casa e
giornata con alcune amiche con coda e zampette, ma rivedendo il “Cujo” di Lewis
Teague, più che quel mostro ultraterreno che descriveva King, vedo solo un
cagnone sofferente che avrebbe bisogno di cure, forse perché King sarà anche
stato portato al cinema tante volte, ma nella sua prosa resta qualcosa di
intangibile, una magia se vogliamo chiamarla così che funziona su carta e meno
fuori dalla pagine, il motivo per cui ogni volta che provano ad adattare che ne
so, IT, ogni volta pare mancare sempre qualcosa, per un motivo o per l’altro.
Nel libro Donna è una beh, donna che teme di restare
intrappolata in un matrimonio che sta perdendo colpi prima e in una
relazione extra coniugale dopo, suo figlio invece teme mostri che si nascondono nel
buio, ma in generale “Cujo” parla di quello che succede quando le tue paure, per
caso, per destino o per il fatto di vivere a Castle Rock, si manifestano,
diventano corpo, denti e zampe e vengono a darti la caccia per davvero. Un
libro per certi versi senza speranza, uno dei più cinici scritti da King, che
con animali di mezzo, di solito tira
fuori il nichilismo.
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Uno dei finali azzeccati da King, che funzionano anche dopo essere stati modificati al cinema. |
Penso che sia molto ma molto complicato adattare quella
piccolissima scintilla che rendeva il romanzo di King più della semplice storia
di un cane con la rabbia, forse perché lo scrittore del Maine sapeva distillare
il fulmine dentro la bottiglia, quindi ben venga che Lewis Teague abbia cambiato
intenti e anche il punto d’arrivo della storia, sempre meglio che giocarsi la
carta delle “divergenze creative” no?
e per il resto dei festeggiamenti, cliccate fortissimo sui link qui sotto, ora
se volete scusarmi, devo portare a spasso i cani.