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Il culto di Chucky (2017): qualcuno volò sul nido del Chucky

Sono un ragazzo semplice, mi piacciono i miei film Horror grondanti sangue e magari ogni tanto, potermi sparare un nuovo capitolo delle sanguinolente avventure di Chucky, la bambola assassina. Sono abitudinario, non mi giudicate, siete come me (cit.)

Tra tutte le maschere horror sfornate negli anni ’80, Chucky la bambola assassina è quella che gode di più salute di tutte. Dal 1988 in cui ha fatto la sua prima comparsa del film La bambola assassina diretto dal mitico Tom Holland e scritto da Don Mancini, l’assassino più plastificato del mondo ha sfornato capitoli a cadenza quasi puntuale, sviluppando la sua continuità interna alla saga e passando indenne attraverso la follia dei remake a tutti i costi.

Il motivo di questa invidiabile resistenza va proprio ricercato nella caparbietà con cui Don Mancini continua a lavorare sulla sua creatura prediletta, prima come creatore della saga e sceneggiatore di tutti e sette i capitoli, dal 2004, invece, anche come regista. Il suo esordio è stato proprio il quinto capitolo, Il figlio di Chucky e da allora non si è più fermato, nel 2013 è arrivato il titolo della sua maturità con La maledizione di Chucky, di cui questo nuovo capitolo “Cult of Chucky” è un seguito diretto che pesca a piene mani anche i personaggi.

Vecchie conoscenze e nuovi amici, tutti proveniente da questa lunga saga.

Proprio in “Curse of Chucky” abbiamo fatto la conoscenza della paraplegica Nica Pierce (Fiona Dourif), arrestata e accusata di essere l’omicida di tutta la sua famiglia, la ragazza ha passato gli ultimi quattro anni in un manicomio criminale. Ma dopo i buoni risultati ottenuti con la terapia del dottor Foley (Michael Therriault) la ragazza viene trasferita in un allegro posticino chiamato istituto di igiene mentale di media sicurezza Harrogate, dove i pazienti possono andare in giro a loro piacimento, ma una bella dose di electro shock appena arrivati, così pronti via, non gliela toglie nessuno.

«Ecco lo dicevo io» (Cit.)

Non se la passa tanto meglio Andy (Alex Vincent) lo stesso Andy perseguitato nel primo film
e nel divertene secondo capitolo La bambola assassina 2, che ormai è un quarantenne che vive nella paranoia. Anche se riesce a rimediare una cena con una bella rossa, finisce per rovinare tutto parlando del secondo emendamento, del suo diritto a possedere armi per difendersi, che poi armi, voi direte una o due pistole come moda Yankee impone? Beh, non proprio, facciamo un arsenale che farebbe invidia a Frank Castle! Cose che capitano se una diabolica bambola modello “Good Boy” ti ha reso l’infanzia un inferno.

Andy vive nel classico chalet da single (si capisce dal frigo, pieno solo di bottiglie di birra) e il suo passatempo principale è torturare la testa ancora viva e insultante di una delle bambole di Chucky, almeno finché non scopre che Nica potrebbe avere bisogno del suo aiuto.

Più che Freudiano o Junghiano, uno psicologo Chuckiano.

Il dottor Foley cerca di convincere la ragazza che Chucky, in realtà, è solo il parto della sua mente di picchiatella, per farlo utilizza a scopo terapeutico un paio di bambolotti modelli “Good Boy”, non vi dico la gioia di Nica nel rivedere un altro di quei bastardelli con i capelli rossi!

A questo punto, dovreste aver già intuito cosa accade, no? Uno alla volta i pazienti fanno la conoscenza di Chucky, in fondo se sei chiuso in un manicomio e vai in giro a dire che una bambola famosa negli anni ’80 ha un bisturi (o altri gustosi attrezzi, tipo un trapano dalla punta molto moltooooo lunga) per ucciderti, qualcuno ti crederà mai davvero?

«È stata la bambola a farlo!» , «Si certo, mentre la marmotta incartava la cioccolata»

Non so se si sia lasciato ispirare dagli omicidi un po’ barocchi della serie tv Hannibal, di cui Don Mancini ha scritto un paio di episodi della (purtroppo) ultima stagione, ma dietro alla macchina da presa il buon Don qui si dimostra parecchio a suo agio, il film è uscito direttamente per il mercato Home Video e, malgrado i dialoghi tutti girati in interni per non far lievitare i costi di produzione, “Cult of Chucky” è un DTV da leccarsi le dita, i momenti “Spiegone” sono ridotti davvero a zero, anzi Mancini fa poche concessioni ai nuovi arrivati, i rimandi ai capitoli precedenti non mancano (non perdetevi la scena dopo i titoli di coda!) e questo potrebbe rendere il film meno comprensibile ai neofiti, ma è davvero l’unico neo che riesco a trovare in tutta l’operazione.

Don Mancini è il primo a divertirsi con i personaggi, ad esempio se ambienti la tua storia in un manicomio, vuoi non toglierti lo sfizio di affiancare alla tua protagonista qualche pazzerello degno di nota? Il ragazzo che pensa di essere prima Michael Phelps e poi Mark Zuckerberg direi che copre egregiamente il ruolo.

Chucky è pronto ad operare, l’anestesia non servirà.

Non manca nemmeno la presenza fissa di Jennifer Tilly sempre più scatenata nel ruolo di Tiffany, ma è il mattatore Don Mancini a tenere banco, sfruttando alla grande il bianco delle candide pareti del manicomio e dei suoi lunghi corridoi, ma anche della neve che avvolge la struttura… Lo sapete no che il rosso sangue sul bianco spicca anche meglio, dai!

“Cult of Chucky” non è probabilmente il capitolo della saga con maggior numero di budella esposte e
omicidi ricercati, ma quello con maggior numero di allucinazioni, l’omicidio più spettacolare ha la ricercatezza barocca del già citato “Hannibal”, ma allo stesso tempo mi è sembrato un omaggio a Suspiria di Dario Argento, non aggiungo altro per non rovinarvi la visione.
«Non giudicarmi per i miei capelli rossi, giudicami perché sono un bambolotto psicopatico!»

Ma non manca nemmeno una scena da “Thriller” in cui Mancini gioca a fare il Brian De Palma della situazione dividendo in due lo schermo con la tecnica dello split-screen, mentre Chucky più banalmente si diverte a squartare in due i pazienti dell’ospedale. Lo fa alla solita maniera, ad un certo punto del film Tiffany dice che i classici non passano mai di moda, sembra proprio così per il bambolotto più famoso del cinema Horror che fa battutacce, strizza l’occhio allo spettatore con riferimenti alla cultura pop e non lascia indietro una vittima che sia una.

Bassezza è mezza bastardezza.

Ho trovato, inoltre, ammirevole il modo in cui Mancini non conceda nulla al pubblico, nell’eterna lotta tra i fan che preferiscono i capitoli più ironici tipo “Il figlio di Chucky” (2004) e quelli che preferiscono i primi tre capitoli, quelli quando la saga si chiamava ancora “Child’s Play”, Don mancini fa semplicemente quello che gli pare, immergendo tutto in un nichilismo sfrenato, che se ne frega anche delle logiche classiche dell’horror.

Fregarsene delle logiche: Un riassunto per immagini.

In questo trova un’ottima alleata in Fiona Dourif, la ragazza aveva già ampiamente dimostrato di trovarsi a suo agio in ruoli da pazzarella nei panni dell’assassina entropica della serie tv Dirk Gently, qui davvero fa un’ulteriore evoluzione e sarà anche che quei capelli che vanno a cazzo in tutte le direzioni la aiutano molto, ma qui dimostra davvero di essere figlia di suo padre, ovvero il grande Brad Dourif, che qui, ancora una volta, offre la sua voce alla bambola assassina.

Capelli e faccia stropicciata arrivano sicuro dal lato paterno.

Sarà proprio per rendere onore ai Dourif, ma Mancini non perde occasione per citare Qualcuno volò sul nido del cuculo in cui recitava proprio papà Brad, il finale a sorpresa lascia aperta la porta (anche qualcosa in più che la porta) per l’ottavo capitolo, sapete che vi dico? Sono già pronto, Chucky è impossibile da uccidere, tanto vale godersi capitoli tutti matti (nel vero senso della parola) come questo!

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