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Dalla Cina con furore (1972): in Cina ce ne sono migliaia come lui (ma uno solo era Bruce Lee)

Questa Bara prosegue il suo volo sulle orme del Maestro Bruce Lee, oggi lo facciamo con un film a dir poco monumentale, benvenuti al nuovo capitolo di… Remember the dragon!

Uno non può imparare il Kung Fu come Neo in Matrix, con uno spinotto nel cranio e via pedalare, come qualunque altra disciplina, sono richiesti anni di dedizione, fatica e (mai come in questo caso) botte. Dopo il trionfale successo di Il furore della Cina colpisce ancora, la Golden Harvest non ha voluto perdere nemmeno un minuto mettendo subito in produzione un nuovo film con protagonista Bruce Lee, ancora una volta diretto dal produttivo e insopportabile Lo Wei, malgrado tra i due si fosse quasi sfiorata la tragedia già nel loro primo film.

Ah gli anni ’70, con quello stile nel vestire incredibile!

Già primo film, malgrado in uno strambo Paese a forma di scarpa dove abbia deciso di mescolare le carte come solo noi Italiani siamo in grado di fare. Come abbiamo visto la scorsa settimana, non solo i titoli americani dei due film sono stati invertiti tra di loro, ma qui da noi ad uscire per primo nelle sale è stato il secondo film del Maestro Lee, un titolo che ha fatto esplodere la Bruceploitation nel mondo e che qui da noi viene erroneamente ricordato come il primo grande film, in grado di far scaldare gli Italici cuori per i film di Kung Fu, questa è una credenza piuttosto comune derivata dall’enorme popolarità della pellicola. Anche se bisogna essere precisi, questo primato spetta a “Cinque dita di violenza” (1972), uscito qualche mese prima e in grado di incassare il doppio del film di Lee, ma per maggiori dettagli, dovete per forza leggervi il post di Doppiaggi Italioti scritto da Lucius Etruscus, che oltre a tanta storia, contiene una bella analisi sulle voci dei doppiatori. Perché è troppo facile scherzare sul fuori sincrono e basta!

“Dalla Cina con furore” a mio avviso dovrebbe essere proiettato nelle scuole, uno di quei film che tutti nella vita prima o poi dovrebbero vedere. Quando il titolo di un film diventa un’espressione di uso comune come accaduto a questa pellicola, quel film andrebbe visto anche solo per cultura (pop) personale, ma poi parliamoci chiaro, aiuta il fatto che sia un film veramente incredibile, da queste parti li chiamiamo Classidy!

Con maggiore possibilità di influire anche sui contenuti della trama (dopo aver litigato furiosamente con Lo Wei) il Maestro Bruce Lee pesca dalla sua esperienza di marzialista cresciuto per le strade della Cina, al centro di faide tra diverse scuole di Kung Fu, perché prima che i rapper americani iniziassero a spararsi per strada divisi tra Blood e Crips, i Cinesi avevano già dato con decenni di risse a mani nude nello stile del Gongfupian, proprio questo è il tema di partenza di “Jing wu men” anche noto come “The Chinese Connection” o “Dalla Cina con furore”.

Il film comincia con una frase che mette in chiaro gli intenti, si è romanzato parecchio intorno alla sospetta morte del maestro Huo Yuanjia, ma i film restano il modo più divertente per tramandare leggende, quindi Huo Yuanjia è anche il MacGuffin che mette in moto la storia di “Dalla Cina con furore”. Quanti film avete visto che cominciavano con la premessa «Avete ucciso il mio Maestro, ora la pagherete!», tanti vero? Bene questo è il padre nobile di tutti quei film, perché in qualche modo pur essendo un’eccezione, è la più meritevole possibile.

In fondo qualcuno ha piantato un pandemonio per il suo cane, figuriamoci per il Maestro.

Bruce Lee interpreta nuovamente Chen Jeh, personaggio che ricompare con pochissime varianti in tutti i suoi film, senza una vera continuità narrativa tra le pellicole, un po’ come il pistolero senza nome di Clint Eastwood, con mani e piedi velocissimi. Di norma i combattenti dei film di arti marziali sono posati, quieti e glaciali anche quando tengono acceso il fuoco della loro vendetta, Chen invece è in balia della sua emozioni e lo è da subito, dalla sua entrata in scena.

Se “Dalla Cina con furore” è un modo per romanzare sulla morte di Huo Yuanjia, è anche un film che ha regalato al pianeta un protagonista Cinese (e orgogliosissimo di esserlo) lontano dagli stereotipi classici, il classico Cinese con codino e baffetti che si vede di norma nei film americani. Chen entra in scena candido e vestito di bianco e in un attimo corre disperato al funerale del suo Maestro, la reazione è tutto tranne che quella di un marzialista posato, siamo in piena zona Mario Merola, con urla, strepiti e Chen che cerca di dissotterrare a mani nude la bara di Huo Yuanjia, per fermarlo ci vuole lo “SDONG!” di un colpo di pala in testa, seguito subito da titoli di testa del film. Ne parlavo qualche giorno fa proprio con Lucius, ho una specie di ossessione per le musiche nei film, e in quelle di arti marziali in particolare, per dirvi dei miei problemi (mentali) ogni tanto mi canto Aaaahh ahhhhh ahhhhh da solo, il tema principale di questo grande film (storia vera).

Ed è subito Mario Merola.

Chen cade in un cupo mutismo, non si capacita del fatto che il suo Maestro sano e forte, possa essere morto senza spiegazioni nel giro di così poco tempo, ma non ha tempo di disperarsi, alla sua scuola ancora in lutto compare, il solito viscidone collaborazionista interpretato come sempre dal bravissimo Wei Ping-Ao. Qui il quattrocchi spara pidocchi, arriva spavaldo con i suoi guardia spalle Giapponesi a fare il grosso nella scuola di Chen, perché il film è ambientato nel bel mezzo della tremenda occupazione Cinese, in cui il popolo era oppresso dagli odiati Giapponesi e da tutti gli occidentali loro amici. In quanto emissario e interprete della scuola di arti marziali di Hiroshi Suzuki (Riki Hashimoto), Wei Ping-Ao porta in “dono” un cartellone incorniciato con una scritta che si fa beffe dei deboli e sottomessi Cinesi, definiti nel brillante adattamento Italiano, con un’espressione che punta dritto all’orgoglio: marionette dell’Asia.

«Benvenuti a ‘sti Cinesi sono codardi e un po’ cortesi, e tu che sei un Cinesin e dimme un po’ che c’hai da dì», «Non sono codardo, ma Cinese sì, e se non levi quella mano te faccio un culo così»

Chen ingoia bile in comode pinte, non può disonorare la memoria del suo Maestro facendo scempio dei Giapponesi durante il lutto, quindi fa passare qualcosa come… Sei secondi (pieni eh?) e poi si reca da solo alla scuola di Suzuki, sventolando il bandierone come cantavano gli Elii, con la differenza che qui un po’ di sangue scorrerà, visto che quella che comincia è una scena leggendaria, ed è solo la prima del film!

Il Maestro Lee e gli studenti della scuola, che forse avrebbero preferito la didattica a distanza.

Chen chiede ai suoi avversari se hanno intenzione di attaccarlo «Solo tu, o tutti insieme?» e con la spavalderia di cui solo Bruce Lee era capace (nella vita e al cinema) fa la storia, per altro facendo esordire al cinema i Nunchaku, arma in grado di sprigionare una devastante potenza, che Lee aveva giù utilizzato brevemente in un episodio di “The Green Hornet” e che solo anni di Tartarughe hanno potuto rendere innocua.

Lui con le tartarughe ci fa la zuppa.

Qui Bruce Lee non solo utilizza l’arma per spaccare crani, ma costringe anche i chiacchieroni Giapponesi a rimangiarsi lo striscione… Letteralmente! («Mangia e ringraziate il cielo che è solo carta, la prossima volta ingoierete anche il vetro»).

«Mangia che è buono, mangia che devi crescere»

Bruce Lee è una pantera, tirato come una lippa è un donatore sano di carisma in uno stato di concentrazione tale che quando scompare dal film, si avverte comunque la sua presenza. Si perché quando Chen rialza la testa lo fa alla grande e se la morte di Huo Yuanjia è un elemento realistico presente nel film, l’altro è senza ombra di dubbio il cartello davanti al parco “Vietato l’accesso ai cani e ai Cinesi”, che di fatto è un po’ l’equivalente di quello di “La vita è bella” (1997) solo con Bruce Lee al posto di Roberto Benigni, quindi invece che mettersi ad elencare a memoria terzine di Dante, il Maestro preferisce staccare il cartello e spezzarlo in due, tutto a colpi di calci volanti.

Questo secondo me Benigni non lo sa fare.

La reazione Giapponese non si fa attendere, gli uomini di Suzuki si presentano in forze alla scuola di Chen devastando e picchiando tutti e se avete l’occhio abbastanza allenato, potrete scorgere tra le comparse anche un giovane Jackie Chan, tenetemi l’icona aperta su di lui, più avanti ci torniamo. Questa è la porzione di film dove la trama (comunque snella e agile quando Lee nel ritmo) rallenta un po’, facendo entrare in scena il capo della polizia interpretato dallo stesso Lo Wei, un Cinese costretto dal ruolo a fare lui sì la marionetta dei Giapponesi, perché Chen si ritrova da solo non solo ad indagare sulla sospetta morte del suo Maestro (scoprendo un po’ per colpo di culo il complotto ordito da Suzuki che aggiunge legna secca al fuoco della sua vendetta), ma per un po’ il protagonista deve darsi alla macchia.

La sua vendetta si esprime a colpi di Giapponesi morti appesi ai pali della luce, come se questo film fosse “From Hell China – la vera storia dello squartatore di Shanghai” e dove per dare spazio alla bella Nora Miao (anche lei attrice ricorrente nei film di Bruce Lee) arriva un momento semi romantico, con Chen latitante, impegnato ad arrostire… Cos’è cane allo spiedo quello? Non lo voglio nemmeno sapere, proseguiamo perché il meglio deve ancora arrivare.

Questa si commenta da sola, niente battutacce giuro.

Malgrado i litigi furiosi sul set tra Lee e il tronfio Lo Wei (la leggenda vuole che in almeno un’occasione sia dovuta intervenire la polizia locale a sedere un principio di rissa), “Dalla Cina con furore” è pieno di momenti che hanno marchiato a fuoco l’iconografia cinematografica, Chen che solleva di soli bicipiti il risciò con sopra Wei Ping-Ao, oppure il modo in cui elimina il maestro Giapponese armato di Katana, disarmandolo con un calcio fulminante e poi facendolo finire infilzato dalla sua stessa lama ricaduta dal cielo, momenti incredibili per gli spettatori di tutte le latitudini, ma speciali per il pubblico Cinese.

“Dalla Cina con furore” ha rappresentato per il pubblico Cinese quello che Rocky è stato per i ragazzi Italo-americani, un eroe del popolo per cui fare il tifo che li rappresentasse in pieno in tutta la loro voglia di rivalsa, ci voleva un attore, un uomo e un artista marziale con una convinzione dei suoi mezzi, un carisma e una presenza scenica notevole per caricarsi tutta la Cina sulle spalle, Bruce Lee che è stato un bipede più unico che raro aveva tutte le caratteristiche e la volontà necessaria, infatti il film è puro fomento contro gli odiati Giapponesi e tutti gli invasori.

«Presto ti serviranno le stampelle più che le bretelle»

Compreso il campione fatto arrivare dalla Russia di nome Petrov (Robert Baker) una sorta di Ivan Drago ricciolone e con le bretelle che rappresenta solo uno degli ostacoli che si pareranno tra Chen e il “Boss finale” Suzuki, ma se Bruce Lee fa sfoggio di talento marziale, anche sul lato recitativo non è da meno, oltre ad una gamma espressiva notevole, e dello spavaldo gesto (imitato da chiunque) di sfiorarsi energicamente la punta del naso con il pollice, il Maestro Lee si lancia anche in un imitazione di un tecnico dei telefoni occhialuto, travestimento con cui riesce ad infiltrarsi nella scuola di Suzuki dando il via al finale del film, in cui Bruce Lee “going berserk” come pochi altri sono riusciti a fare nella storia del cinema, il furore della Cina in azione. Ve lo dico fuori dai denti, se non vi piace questo, non vi piace il cinema ed io non vi conosco, ma non ho nemmeno voglia di conoscervi.

Petrov viene gonfiato come una zampogna, “ipnotizzato” dal movimento delle mille mani di Lee, una scena che abbiamo rivisto ogni giorni sulle reti private che trasmettevano episodi di “Ken il guerriero”, visto che il personaggio di Tetsuo Hara e Buronson ha pescato a mani piene dall’iconografia creata da Bruce Lee.

Ken Bruce sei tu, fantasico guerriero, sceso come un fulmine dal cielo (quasi-cit.)

Ma è lo scontro finale con Suzuki ad essere leggenda, prima Bruce Lee dimostra quanto possano essere letali i Nunchaku, anche contro un’affilata katana, e poi non pago, decide di inventare quello che diventerà un classico dei film d’azione, il defenestramento del cattivo, solo sedici anni prima di Trappola di cristallo, con un calcio che è pura poesia in movimento e che merita un paragrafo a parte, visto che vi ero anche debitore di un’icona lasciata aperta.

«Happy trails, Hans Suzuki» (quasi-cit.)

Per girare la scena ci voleva un cascatore abbastanza matto da farsi volontariamente legare ad un cavo e farsi colpire al volo da uno dei calci di Bruce Lee, l’equivalente con articolazioni di un colpo di frusta (in grado di spezzare le tue di articolazioni), chi si offre volontario? Sul set il gelo. Solo un ragazzo si alzò, non ancora un divo, anche se un giorno il mondo lo conoscerà come Jackie Chan che al grido di «Dai faccio io, altrimenti qui facciamo notte» venne premiato da Lee che apprezzava questo livello di sfacciataggine. Quindi quando nel film vedete Suzuki volare via come un palloncino bucato, sappiate che state guardando uno degli incredibili voli di Jackie, ma per tutto i dettagli, non perdetevi lo speciale di Lucius.

Già così “Dalla Cina con furore” sarebbe leggenda, ma il finale consacra il film a titolo imprescindibile per chiunque, anche se trionfante contro Suzuki, Chen si ritrova nella sua scuola, vittima della vigliacca ritorsione Giapponese. Ormai fuori ad attenderlo tutta la polizia connivente, solo che questa volta decide di affrontarla diversamente rispetto al finale di The Big Boss. Se vi capiterà di guardare il film in lingua originale, vedrete che Chen qui deciderà di puntare sull’individualismo, prendendosi tutte le responsabilità delle sue azioni, al viscido burocrate che tratta per la sua resa infatti Bruce Lee dice (in Cinese): «la scuola non c’entra niente con le mie azioni personali». Ma in uno strambo Paese a forma di scarpa, forse questo film è stato capito anche di più, dimostrando che tutta la sua enorme popolarità qui da noi era meritata, infatti Cesare Barbetti che è una scelta perfetta per rendere la parlata spavalda e sicura di Bruce Lee, in Italiano si ritrova a far dire a Chen quella che in una lista delle dieci migliori “Frasi maschie” della storia del cinema, potrebbe quasi giocarsela per il podio: «Sta a sentire, cerca di aprire bene le orecchie, in Cina ce ne sono migliaia come me: lasciate in pace la nostra scuola!». Signore, signori, la leggenda di Bruce Lee è servita.

Dedicata ai fanatici del doppiaggio, ma anche agli estremisti della lingua originale.

Mentre il tema principale del film riparte fortissimo e il suo popolo in sala ormai assisteva a questo finale in piedi e con le braccia esultanti lanciate sopra la testa, Bruce Lee caccia uno dei suoi urli da gatto furioso e affronta con un calcio volante suicida la polizia schierata ed armata, in quello che è senza ombra di dubbio uno dei finali più iconici della storia del cinema, oltre ad uno dei più strapotenti che io ricordi.

Dritto tra i più grandi finali di tutti i tempi.

“Dalla Cina con furore” ritoccò ancora una volta il record di incassi ad Hong Kong lanciando la Bruceploitation, un titolo con cui prima o poi tutte le maggiori star delle arti marziali cinesi hanno dovuto fare i conti, Jet Li, Donnie Yen e lo stesso Jackie Chan sono stati coinvolti in rifacimenti oppure seguiti apocrifi di questo film. Ad ottant’anni dalla sua nascita e a quasi cinquanta dall’uscita di questo film, il furore del Maestro Bruce Lee è ancora il modello di riferimento, sarà pure vero che in Cina ce ne sono migliaia come lui, ma uno solo era Bruce Lee. Ma noi non abbiamo ancora finito, la prossima settimana il furore della Cina conquisterà l’occidente… A colpi di urla e calci.

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