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Danko (1988): nato stanco

Se mi leggete da un po’ dovreste aver capito che sono abbastanza in fissa con due tipologie particolari di film: quelle con le coppie di Strambi Sbirri e quelli a tema vagamente sovietico, potete capire quanto aspettavo questo nuovo capitolo della rubrica… King o the hill!

Nel 1988 Walter Hill arrivava da quattro titoli uno più disastroso dell’altro in termini di popolarità e di incassi al botteghino, l’unico che aveva portato a casa qualche bigliettone era Chi più spende… più guadagna, giusto per darvi un’idea dell’aria che tirava per il nostro Gualtiero. Ma un altro vento soffiava forte in quel periodo, quello del cambiamento, così ho anche citato involontariamente un pezzo famoso degli Scorpions.

Le guerra fredda tra U.S.A. e URSS è stata combattuta, per nostra fortuna, più nella finzione cinematografia che nella realtà, nel 1985 il nuovo segretario generale del Partito Comunista, Michail Gorbačëv ha dato il via alla Perestrojka. Nel frattempo però, l’ultimo successo commerciale vero di Walter Hill era stato la pietra d’angolo dei “buddy cop movie” ovvero 48 Ore che, non a caso, diventa il modello da replicare anche per il suo nuovo lavoro. Non ci trovo nulla di male nel tornare ad una formula collaudata, ma se c’è qualcosa che questa rubrica dedicata al nostro Gualtiero ci ha insegnato, è di sicuro la sua capacità di anticipare i tempi mostrando a tutti gli altri la via da seguire.

Come si dice i titoli di testa del film in russo?

Se pensiamo alle grandi star d’azione degli anni ’80, chi tra tutti era quello più propenso a giocare con la sua immagine e capire al volo dove tirava il vento soltanto fiutando l’aria? Stallone? Che nel 1988 tornava sui suoi passi portando in scena Russi cattivissimi in Rambo III? No, meglio rivolgersi a quello che ha investito i soldi vinti con i premi di Mr. Olympia nel mattone, per essere sicuro di non trovarsi mai a dover far brutti film per soldi (storia vera). Ed è così che uno dei registi più solidi della storia del cinema come Walter Hill e la quercia austriaca Arnold Schwarzenegger hanno finito per lavorare insieme.

«Un giorno Arnold, un ragazzo a cui ho prodotto un film, potrebbe chiederti di recitare una scena in cui ti togli la pelle del braccio. Ti faccio vedere come girarla»

Gualtiero agguanta i soldi messi sul tavolo dalla Carolco e insieme a Troy Kennedy-Martin ed Harry Kleiner scrive una sceneggiatura in cui il modello di 48 Ore viene cucito addosso ai muscoli di Arnoldone nostro, per molti una marchetta fatta per soldi, per me e le mie strambe fissazioni cinematografiche, un monumento imparato a memoria nei vari (tanti!) passaggi televisivi durante la mia infanzia,

Fin dal suo titolo originale, “Red Heat”, il film riassume tutto: “Red” mette in chiaro la natura di uno dei due protagonisti, “Heat” è la parola che spopola nei polizieschi che siano diretti da Michael Mann, oppure varianti più goliardiche. Da noi diventa semplicemente “Danko” perché la formula di dare ad un film d’azione il nome del suo protagonista è ormai rodata e tornerà drammaticamente di moda anche nel corso di questa rubrica, ma in generale, tenetemi l’icona aperta sull’adattamento italiano del film, più avanti ci torniamo.

Con “Danko” Walter Hill riesce a regalare ad Arnold Schwarzenegger un altro ruolo monumentale, senza perdere un grammo del suo stile, anzi rimanendo perfettamente riconoscibile, la variante è proprio la nazionalità del capitano Ivan Danko, sovietico fino al midollo osseo, uno che parla poco e quando lo fa ricorda spesso i suoi trascorsi nell’Armata Rossa, uno il cui massimo trastullo nella vita, è dare da mangiare ai “parrocchetti” sempre alla stessa ora.

«Tieni giù le mani da miei parrocchetti»

Nel 2019 può sembrare una banalità, ma nel 1988 non esistevano film hollywoodiani con Russi buoni, persino Red Scorpion uscito un anno dopo, non aveva osato quanto “Red Heat” e il rischio preso da Walter Hill è frutto degli “Huevos” che lo hanno sempre caratterizzato, ma anche di motivazioni solidissime, perché secondo Hill, Arnold Schwarzenegger è il tipo di personaggio che va oltre i confini, in ogni parte del globo tutto il pubblico è pronto a vederlo trionfare, se c’è uno che può rendere eroico agli occhi del pubblico americano, un Sovietico vestito con “una divisa tipo postino della seconda guerra mondiale” citando una frase del film, quello è proprio lui. Poi, con quel suo marcato accento austriaco, Arnold è molto più credibile come Russo che come Americano, parliamoci chiaro.  

Le indicazioni date da Guatliero a Schwarzenegger erano quelle di ispirarsi al personaggio di Greta Garbo in “Ninotchka” (1939), il massimo che ha ottenuto sono stati tre mesi passati a studiare il russo da parte di Arnold che ha preferito dare ad Ivan Danko una massiccia fissità, anche davanti alle trovate più assurde del suo improvvisato compagno Art Ridzik (Jim Belushi) e alle stranezze della vita negli Stati Uniti.

«Questo si chiama Greta, e lo userò sulla tua faccia senza il minimo garbo»

Schwarzenegger con la sua solidità da carro armato, opposta alla quotidianità della vita occidentale, genera una valanga di momenti comici uno migliore dell’altro. Ancora oggi davanti a certe notizie del telegiornale mi viene da citare Danko quando con pesantissimo accento russo diceva «Capitalismo» e se qualcuno in casa Cassidy parla di stress, la risposta che si becca è sempre la stessa: «Vodka» (storia vera).

Walter Hill chiede e ottiene di girare anche una scena – che originariamente avrebbe dovuto essere molto più lunga e significativa – nella Piazza Rossa di Nichelino Mosca che nel film si traduce nei tonanti titoli di testa del film, un’ostentazione di Russia comunista sulle note esaltanti di James Horner che hanno il primato di essere i primi minuti girati da una troupe cinematografica americana sul suolo sovietico, qui si fa la storia gente!

Con tanto di dedica a Bennie E. Dobbins, coordinatore degli stunt di tanti film di Hill e Schwarzenegger.

L’inizio è micidiale e, secondo me, indicativo della volontà del film di cambiare qualche abitudine rispetto al canone del “buddy cop movie”, dico sempre che i primi cinque minuti di un film ne determinano tutto l’andamento, quelli di “Danko” sono micidiali.

Molto prima delle promesse dell’Est di David Cronenberg, Walter Hill ci porta tutti in una sauna Russa popolata in parti uguali da energumeni muscolosi mezzi nudi e donne prosperose vestite uguali, quando entra in scena Schwarzenegger a culo nudo, l’impressione è che si sia appena teletrasportato dal futuro e stia cercando qualcuno a cui rubare i vestiti, come da sua vecchia abitudine. Invece, siccome l’acciaio si tempra con il caldo prima e con il freddo dopo, si finisce subito tra le nevi russe a chiedere gentilmente ad alcuni gentiluomini dove si trova Viktor “Rosta” Rostavili (Ed O’Ross), qualche pugno in faccia di solito aiuta la memoria. Ormai erano un po’ di anni che non rivedevo il film, ma mi sono ritrovato a ripetere le frasi (in russo) a memoria, ovviamente non capisco una parola, ma ho imparato il suono come se fosse una canzone per quante volte ho visto questo film (storia vera).

Ancora oggi quando vedo Ed O’Ross in un film, continuo a chiamarlo Viktor Rosta (storia vera)

Viktor Rosta ha portato la piaga della droga in Unione Sovietica, in uno scambio tra Danko e il suo collega poliziotto (ma forse dovrei dire “Compagno” trattandosi di russi) è chiaro che le cose stanno cambiando anche dall’altra parte del muro di Berlino, ma Hill non ci lascia tanto tempo per la sociologia perché Rosta uccide il “Tovarish” di Danko e fugge negli Stati Uniti, in una scena diretta, come al solito, alla grande da Hill che prevede sparatorie sui tetti, lungo le scalinate, una Derringer nascosta nella manica del cappotto, ma soprattutto la leggendaria scena della gamba di legno finta, quella che ogni volta si finisce per guardare ripetendo tutti in coro una delle tante battute simbolo del film: «Cocainum».

«Pablo Escobar con trenta mila lire me la fa meglio» (quasi-cit.)

L’arrivo in America del capitano Ivan Danko è sottolineato da Walter Hill con un cambio della fotografia – curata da Matthew F. Leonetti, al secondo, ma non ultimo film con Gualtiero – e l’entrata in scena del detective Art Ridzik, un Jim Belushi che fino a quel momento era noto per due cose: un mio piccolo cult come The Principal (lo abbiamo visto in ventisette se non lo conoscete tranquilli) e l’essere il fratello minore di tipo, uno dei più grandi comici della storia. Gli va di sfiga che qui, malgrado un numero esagerato di battute e battutacce anche piuttosto spassose, al nostro Jim tocca davvero fare da spalla ad Arnold che comunque fa ridere, senza mai cambiare espressione. Non è un caso se dopo questo film sia passato poi alla commedia pura con “I gemelli” (1988).

Brion James, una faccia nota del cinema di Hill, fa la conoscenza di “Miranda”.

L’idea di affiancare un duro e un comico è la stessa di 48 Ore, ma il film è più sbilanciato verso Schwarzenegger (come il titolo italiano conferma), anche se devo dire che Jim Belushi riesce a tirare fuori un americano rozzo, ma verace che porta a casa il risultato, la trama gli chiede di essere sempre fuori luogo ed esagerato ad ogni sua uscita («Cosa ha fatto? Ha pisciato sul muro del Cremlino?»), il che crea anche scambia divertenti, tipo la diatriba sui “parrocchetti”, oppure la battuta sul tè bevuto in stile “Dottor Zivago”.

«Non è che solo Moretti può citare i film di David Lean», «Palombella rossa. Bel colore quasi come parrocchetto»

Jim Belushi mantiene alta la “quota parolacce” nei film di Walter Hill, per il resto svolge diligentemente il compito di spalla, anche quando deve dileguarsi per lasciare il campo allo scontro finale tra Danko e Rosta («Ci rinuncio, questa cosa è troppo Russa»), ma, come detto, tra discussioni su “Miranda” e sui politici («Sparate prima a loro») quello che brilla di più delle coppia è Arnoldone, tranquilli per il nostro Jim è una costante, sarà per questo che è finito prima a fare da spalla ad un cane in “Un poliziotto a 4 zampe” (1989) e poi a citare “Danko” in una puntata di “La vita secondo Jim”.

«Guarda che quello era una gran bravo cane, gli volevo molto bene!»

Walter Hill forma un’altra coppia di sbirri opposti nei metodi e in questo caso nella nazionalità, ricreando una dicotomia tipica del suo cinema, al resto ci pensano le facce che popolano il film, tipo Brion James che qui si becca la prova che «Metodo Sovietico è più economico», un Laurence Fishburne ancora magro ed occhialuto che sembra l’esatto opposto di Ridzik, oppure il capo della polizia americana, interpretato con fare bonario da Peter Boyle, proprio a mettere in chiaro che il modello sarà anche quello di “48 Ore”, ma la volontà è quella di smontare qualche cliché, infatti siamo passati dal capo che urla, al capo in cerca di un metodo per combattere lo stress.

«Vodka? Si – può – fare!» (quasi-cit.)

Menzione speciale per la bella Gina Gershon, prima di iniziare a fare abuso di chirurgia, talmente bella da rendere Viktor Rosta un caso più unico che raro nella storia, l’unico Russo che prende una moglie americana per il visto e non viceversa. Mi sono sempre chiesto se l’abbia trovata su un sito tipo “Trova mogli americane”.

Ditemi cosa volete, ma in fatto di protagoniste femminili, Gualtiero ha l’occhio lungo.

Vi ero debitore di un’icona lasciata aperta sul doppiaggio italiano del film, la chiudiamo subito perché non solo il titolo italiano sottolinea come il film sia più orientato verso il suo protagonista Sovietico, ma adatta secondo me bene alcuni scambi di battute. Quando Danko si cambia dopo la notevole sparatoria in ospedale – girata come al solito alla grande da Walter Hill – indossa un completo bluastro, Ridzik inizia a sfotterlo chiamandolo “tappo” per il modo in cui il vestito gli sta, una trovata comica azzeccata anche considerando che Schwarzenegger per dimensioni, sembra il sarcofago di Belushi, ma che risolve molto bene una battuta che in originale per noi Italiani sarebbe intraducibile. Infatti qui da noi non esiste un corrispettivo adatto per “Gumby” il pupazzetto in plastilina, più o meno del colore del vestito di Danko, animato a passo uno in un popolare programma per bambini americani, forse “Puffo” sarebbe stato meglio, ma anche “Tappo” è un discreto compromesso.

«Ora comincio a capire la leggenda urbana sui Puffi comunisti»

L’apoteosi, però, si raggiunge nella scena in cui Danko si presenta in albergo, beccandosi un «Nato stanco» come ironica risposta, una trovata talmente spassosa che eclissa l’originale («you are welcome») e diventa la battuta simbolo del film, proprio per questo ho voluto omaggiarla nel titolo del post.

Ma se l’umorismo in “Danko” funziona alla grande, l’azione è ancora migliore, il rapporto tra i due opposti protagonisti si cementa con il passare dei minuti, Walter Hill in una delle sue poche interviste ha dichiarato che tra quei due c’è del “Bromance” quello ben fatto e non macchiato da ambiguità ed in effetti è abbastanza chiaro, non fanno altro che confrontarsi su quale sia la pistola più potente se – l’inesistente – Podbyrin 9.2 mm sovietica, oppure la 44 magnum dell’Ispettore Callaghan.

«Chi è ispettore Callaghan?» (dite grazie ad Arnold per aver recitato la battuta per la didascalia!)

Ma se ci fate caso, in tutte le scene d’azione più riuscite del film, è quasi sempre solo Danko ad essere protagonista, la scena della sparatoria nell’Hotel, sembra una versione estesa e molto più articolata di quella – già bellissima – di 48 Ore, con Hill che cura il montaggio alla perfezione, tanto che sembra che Rosta e i suoi stiano per entrare nella stanza di Danko, quando invece è tutta un’altra camera e anche il timer del suo orologio diventa un elemento chiave per una scena tiratissima, un’altra prova del talento di regista di Walter Hill se ne avessimo ancora bisogno.

Ma il massimo per me è lo scontro finale, l’inseguimento in auto tra il protagonista e il cattivo è un vero classico del genere, quando si parla di dirigere inseguimenti, poi, Walter Hill è un vero maestro, ma secondo lui un’automobile era troppo poco per uno con le dimensioni fisiche di Schwarzenegger e deve aver intravisto l’occasione per dare sfogo ad un’altra sua grande passione, quella per gli autobus!

Se mai Walter Hill rilascerà un’intervista, qualcuno gli chieda degli autobus!

Sì, perché nei film di Walter Hill gli autobus sono ovunque, in 48 Ore James Remar ne usava uno per scappare e come vedremo a breve in questa rubrica, anche nel seguito di “48 Hrs.” Un bus è protagonista di una scena incredibile. In Ricercati: ufficialmente morti i protagonisti si spostavano su un autobus e a ben pensarci anche in Strade di fuoco, ma è in “Danko” che questa stramba fissazione di Walter Hill trova il suo più scoppiettante sfogo.

Siccome io mi muovo sempre in bus, quando ne vedo uno che sorpassa un altro a tutta forza, mi viene sempre in mente la frase «Non si gioca con gli autobus!» («questo non è un gioco!»), perché di fatto qui Hill dirige un duello finale in stile western tra il buono e il cattivo, armati di autobus anzichè di revolver a sei colpi, è curioso notare che Walter Hill usando lo stesso protagonista, ha anticipato la mossa di “Chi si butta per primo come Jack Slater” prima di Last Action Hero. Di fatto la scena finale di Driver – L’imprendibile, però in grande, adattata alle dimensioni fisiche di Arnold e al cinema muscolare degli anni ’80, il tutto girato rigorosamente dal vivo come si faceva una volta, dimenticatevi gli effetti digitali, qui autobus e treni tirano dei ciocchi fortissimi per davvero. Ah, il vecchio cinema di una volta, quanto mi manca! Se ne avessi la possibilità mi piacerebbe chiedere a Walter Hill da dove nasce questa sua fascinazione per gli autobus, secondo me anche lui ha passato parecchie ore della sua vita in attesa ad una fermata, poi chiedetevi perché è uno dei miei preferiti!

Dove si firma per avere loro due come autisti? I miei spostamento sarebbero sicuramente più rapidi.

Non riesco a non vedere una natura molto proletaria, non vorrei dire quasi socialista, però quasi, in questo film. I due protagonisti sono due che fanno rispettare la legge, lo fanno con approcci opposti, ma con la stessa passione, non sono certo due che fanno le regole, ma sono in prima fila per cercare di farle rispettare, Walter Hill patteggia chiaramente per loro e nel finale li fa fraternizzare discutendo di una cosa che a lui sta molto a cuore, ovvero il Baseball. Cosa c’è di più proletario di due colleghi che discutono di sport al bar? Ma le ultime parole di Danko («noi siamo poliziotti non politici. Per questo andiamo d’accordo») sono la conclusione perfetta di un film che esce nelle sale americane nel giugno del 1988, sei mesi dopo la firma del trattato INF per il disarmo nucleare.

«Facciamo la pace?», «Ok, pace»

La scientifica oculatezza di Arnold Schwarzenegger, mista alla capacità di guardare lontano di Walter Hill risulta imbattibile, a trent’anni di distanza, anche se perfettamente calato nel suo tempo “Danko” è ancora un film eccezionale, uno dei tanti titoli di culto della carriera di Gualtiero Collina.

Si perché il 9 novembre del 1989 il muro di Berlino sarà anche crollato, ma la prima picconata al cinema, l’ha data Walter Hill e dopo questa vi do direttamente appuntamento alla prossima settimana che voi siate belli o brutti siete tutti invitati, dasvidania tovarish, non dimenticatevi la locandina d’epoca di IPMP!

Sepolto in precedenza venerdì 24 maggio 2019

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