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Daredevil – Rinascita di Frank Miller (1986): Un uomo senza speranza è un uomo senza paura

Il 1986 è stato l’anno zero per i super eroi americani, nel
giro di dodici mesi Alan Moore ha scritto la storia definitiva di Superman, ma anche un manifesto per l’intero
genere come Watchmen. Ma di certo Frank
Miller non è rimasto con le mani in mano, a pochi mesi da Il ritorno del Cavaliere Oscuro, l’autore del Maryland ha firmato
un’altra pietra miliare, “Daredevil – Born again” meglio noto come “Devil – Rinascita”,
almeno per i vecchi lettori del “cornetto”, che come me a volte ancora lo
chiamano con il suo vecchio nome.


Miller aveva già contribuito a rilanciare il personaggio di
Daredevil, reinventandolo quasi completamente in chiave noir, e applicando al
personaggio abbondanti dosi di “The Spirit” di Will Eisner (sempre sia
lodato!), ma l’editor di lunga data della serie Ralph Macchio (no, non quello
di Karate Kid) propose al vecchio
Frank di tornare a scrivere il personaggio ancora una volta, ok, ma solo se i
disegni verranno affidati a David Mazzucchelli, con cui Miller avrebbe
collaborato per un’altra storia fondamentale di Batman.

Se Mazzucchelli per “Rinascita” abbandona per sempre il
tratto ispirato alle matite del “Decano” Gene Colan per trovare una forma di
disegno più personale, Miller è fresco fresco dell’ucronia di “The Dark Knight
Returns” e decide che l’unico personaggio dichiaratamente Cattolico (infatti va
in giro vestito da diavolo) della Marvel, deve attraversare la sua personale
versione della Passione di Cristo.
Sono gli anni ’80 della Reaganomics, dei broker d’assalto
come Gordon Gekko nel film di Oliver Stone, la New York reale, dove agisce l’immaginario
Daredevil è un posto dove le strade sono piene di persone che hanno perso
tutto, entri avendo mezzo milione in germogli di soia e un attimo dopo i tuoi
figli non hanno più neanche le scarpe, per dirla alla Louis. Quegli invisibili lo sono per tutti, per la società, per la
loro famiglia e spesso per gli amici, una caduta all’inferno in una società occidentale, può essere solo questo, passare dalla borghesia al non raggiungere nemmeno la
soglia minima di sostentamento.

La definitiva perdita dell’innocenza del fumetto americano, dopo lo “SNAP” di Gwen Stacy.

Questo spiega in parte perché malgrado le amicizie tra i
tizi in calzamaglia dell’universo Marvel, Matt Murdock deve affrontare da solo
la sua Via crucis, che inizia nel più drammatico dei modi possibili. Karen Page,
la sua storica fidanzata, che mancava dalla pagine della serie da parecchi
anni, ufficialmente partita per Hollywood in cerca di fortuna, viene riportata
in scena da Miller, che nel giro di mezza pagina mette subito in chiaro che non ha
nessuna intenzione di prendere prigionieri: Karen è diventata una tossica che
gira film porno da quattro soldi in Messico, e in cambio di una dose e un
passaggio negli stati uniti, arriva a vendere l’informazione più importante che
ha, l’identità segreta di Devil. Siamo tipo a pagina tre, e già da lettori, ci
ritroviamo con in faccia il segno di cinque dita (di violenza) lasciate da
Miller sui nostri volti.

Ogni capitolo di “Rinascita” comincia con Matt Murdock in un
letto, ogni volta è un letto diverso, si parte da quello grande e confortevole
del suo bell’appartamento, per procedere progressivamente sempre più in basso
nella scala sociale. La preziosa informazione passa di mano in mano fino ad
arrivare a quelle enormi e avide del peggior nemico di Murdock, Wilson Fisk, il
Kingpin della criminalità di New York.

La discesa all’inferno attraverso (s)comodi posti letto.

Per uno come Murdock, figlio di un pugile, abituato a colpire
i suoi avversari, la fine inesorabile arriva nel più frustante dei modi, non puoi
colpire la banca che ti blocca le carte di credito oppure il pagamento della
rata del mutuo, persino l’amico di sempre Foggy Nelson, le prova tutte ma poi
abbandona l’amico con cui ormai non condivide più lo stato sociale.

La discesa all’inferno del Diavolo di Hell’s Kitchen è un
piano diabolico nel suo nemico per fargli terra bruciata intorno e lasciarlo
solo e disperato, ma è quando Kingpin decide di uscire dall’ombra, firmando
idealmente la distruzione della sua nemesi, con l’esplosione della casa di
Matt, allora sì, l’inferno per il protagonista inizia davvero.

Un uomo senza paura, ma anche senza casa.

Una discesa all’inferno che va di pari passo con la
sanità mentale e la disponibilità economica sempre più esigua di Matt, che il
giorno di Natale, subisce una ripassata anche da Turk (personaggio ricorrente
anche nella serie tv) un criminale di
infima categoria che normalmente Daredevil farebbe fuori con, non posso dire
gli occhi chiusi visto che l’eroe è non vedente, beh diciamo con una mano
dietro la schiena, mentre qui, finisce per accoltellare Matt quasi a morte.

Toccato il fondo, si può solo risalire, e qui Miller ne
approfitta per introdurre definitivamente nella vita di Daredevil un
personaggio che era stato completamente assente, Suor Maggie, la vera madre di
Matt che riabbraccia letteralmente il figlio, in una scena che David
Mazzucchelli disegna, ricalcando la celebre “Pietà” di Michelangelo.

Sympathy for Daredevil (quasi-cit.)

Tutti i personaggi che restano accanto a Devil sono
destinati a sprofondare con lui, Miller è bravissimo a tratteggiare l’impero di
terrore creato da Kingpin. Una delle scene più potenti di tutto “Born again”
resta la telefonata intimidatoria al giornalista amico di Devil, il combattivo
Ben Urich che subisce il più classico dei ricatti mafiosi, in una scena che le
matite di Mazzucchelli rendono ancora più angosciante: uno zoom sul primo piano
del terrorizzato giornalista, e la vignetta che si stringe attorno a lui come
un cappio.

L’unico personaggio ad andare in direzione opposta è proprio
Kingpin, che gongolando della sofferenza del suo nemico, diventa sempre più
avido e meno accorto, ma nel suo trionfo capirà una lezione importante: un uomo
senza speranza è un uomo senza paura.
Il ritorno di Matt può avvenire solo dopo essersi
ricongiunto con l’ultima degli ultimi, una come lui, Karen ormai anche nel
punto più basso della sua storia personale. Non è un caso che l’ultimo capitolo
di “Born again” si intitoli “Armageddon”, perché attraverso la furia del super
soldato impazzito Nuke (una specie di Capitan America reduce dal Vietnam e
dipendente da droghe) Kingpin sta scatenando l’inferno sulla cosa più preziosa
di Devil, l’ultima che gli è rimasta, la sua città.

With a little help from my friends, avrebbero detto i Beatles.

Qui il diavolo risorge, e lo fa tra le fiamme come ogni “buon”
diavolo che si rispetti, se la sua vita era finita tra il fuoco dell’esplosione
della sua casa, solo tra le fiamme poteva ricominciare. In questo senso l’arrivo
dei Vendicatori, è quasi accessorio allo scontro finale, se non fosse che con
il suo solito stile tagliente, Miller con una sola frase riesce a dare forse la
descrizione definitiva sia di Capitan America che di Thor: «un soldato con una
voce che potrebbe dare ordini a un dio… e li dà».

In una storia in cui le “Splash page” (le vignette che occupano
un’intera tavola) sono fondamentali, l’ultima che conclude il volume e i sette numeri
di “Born again” è un omaggio alla copertina dell’album “The Freewheelin‘ Bob
Dylan” (1963), ci voleva un capolavoro della musica per concludere un
capolavoro del fumetto.

Bob Dylan’s Daredevil’s Blues.

“Daredevil – Rinascita” resta un momento chiave nella vita
di un personaggio che fa della resistenza umana la sua vera forza, forse non si
cita mai così spesso tra i grandi fumetti che hanno cambiato il mondo del
fumetto del 1986, ma dimenticarlo sarebbe proprio impossibile.

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