A sette anni dalla fine della serie Netflix che aveva lanciato il modello e a tre anni dall’esordio ufficiale del Cornetto nell’MCU, dove, tanto per non perdere l’abitudine, si orizzontalizzava la bella di turno, torna sul piccolo schermo il Diavolo di Hell’s Kitchen, l’unico e il solo. Diffidate da Chef scozzesi.
I dubbi erano tanti, cioè per alcuni, specialmente quei poveri di spirito che hanno sbattuto a terra i piedini fortissimi per l’abbinamento (Dare)devil e Disney, casa di produzione in bàlia degli eventi ma abbastanza astuta da sapere di avere per le mani uno dei personaggi più amati della Marvel, tanto da riconfermare tutto il cast, non solo per apparizioni e consulenze legali, ma proprio come ufficiali “Doppia D”, Kingpin e pensate un po’ addirittura Punisher.
Mettiamo subito tutte le carte sul tavolo, iniziamo dal titolo, associare il termine “Rinascita” al Diavolo Rosso accende nella mente dei suoi lettori (che ormai rappresentano il 3% dei fan del personaggio, siamo dinosauri) tanti bei ricordi. Quindi diciamolo subito, si chiama “Rinascita” ma non somiglia per nulla nella trama a Rinascita.
Questa nuova serie è considerabile la quarta stagione dedicata al personaggio e si rifà a trama e fumetti molto più recenti, quella di Hector Ayala ovvero Tigre Bianca, viene mescolata al ciclo di storie che ruotava attorno all’artistico psicopatico noto come Muse, ovvero il ciclo di storie (ironia della sorte, influenzate dalla serie Netflix) scritto da Charles Soule e Ron Garney, per poi arrivare a pescare da trame ancora più recenti, l’ascesa del sindaco Wilson Fisk e la sua task force, un soggetto pescato dall’ultimo grande ciclo del personaggio, quello scritto da Chip Zdarsky e disegnato da Marco Checchetto.
Tanta bella roba, ecco, tanta, perché i problemi di “Rinascita” sono chiari, si chiamano riscritture, un problema strutturale segnato da cicatrici che prendono il nome di “Re-shooting”, perdonate l’anglicismo, ma è chiaro guardando i nove episodi che ci siano tanti momenti in cui la trama fa l’effetto acqua ed olio. L’inizio, malgrado quei momenti in CGI che mi hanno un po’ tirato fuori dalla storia è buono ma tanto, tanto carico, la ricerca di un inizio ad effetto che non può che coincidere con un lutto, in una puntata diretta dai “miei” Justin Benson e Aaron Moorhead, nati nel cinema Horror più indie ed ora in forze alle serie tv dell’MCU. Oh da qualche parte tocca finanziarsi no?
Il lutto e il ritorno di Benjamin “Dex” Poindexter (Wilson Bethel) è quello che porta Matt (Charlie Cox) ad appendere il costume corazzato al chiodo, «Daredevil, no more» se mi passate la (quasi) citazione, da qui in poi vanno in scena puntate in cui Murdock prova ad essere solo un avvocato, almeno fino alla candidatura di Wilson Fisk (Vincent D’Onofrio) a nuovo sindaco della città.
Dove stanno i problemi allora? Tutta la sotto trama legata alla moglie di Fisk, Vanessa, e il loro interessantissimo rapporto di coppia che passa dalle consulenze matrimoniali sa tanto di roba allunga brodo, tanto che l’attrice ha confermato di essere stata molto impegnata con le scene girate successivamente, prova che il suo personaggio, non era affatto centrale nella prima stesura della trama, quella originale, che ogni tanto fa capolino e spesso, viene sotterrata da episodi che sembrano più interessati ad altro.
Vogliamo parlare della puntata dedicata alla rapina in banca di San Patrizio? Personalmente ho anche gradito vedere Matt provare ancora una volta a tener fede alla sua parola di non essere più Daredevil, ma in generale mi è sembrata una puntata molto in ansia nel farci notare che sì, Matt sta interagendo con il padre di Kamala Khan… Perché lui ora è parte dell’MCU eh? Eh? Eh? No sul serio, era davvero così importante ribadirlo? Bah!
Da un certo punto di vista sono felice che questa serie sia stata “salvata” dal limbo in cui era finita, apprezzo il fatto che i combattimenti siano ancora un po’ meglio della media (così come regia e recitazione), bellissimo pescare da storie recenti del Cornetto, l’ennesima prova che Daredevil o solo Devil, con lo abbiamo sempre chiamato noi vecchi lettori, è ancora un personaggio molto interessante e bello da leggere, però con il suo finale tronco (la seconda stagione è già stata confermata), mi è sembrato più un modo per dare il bentornato ad un prodotto che aveva funzionato molto bene e sarebbe stato veramente troppo stupido gettare via, se dovessi dirvi però che questa quarta stagione – con un nuovo titolo – sia la migliore del lotto, proprio no, anche se ho apprezzato la sfida quasi metà-narrativa tra Frank Castle e i suoi “ammiratori” della task force, sbirri che si sono presi il suo logo in una risposta data dall’immaginario del piccolo schermo, a fatti reali. Il sotto utilizzo del Punitore nella serie si nota almeno quanto la botta di “fanservice” finale, vedere Frank in azione (anche nella superflua scena dopo i titoli di coda) non aggiunge comunque molto.
I problemi di riscritture e le scene girate successivamente si notano fin troppo, mi auguro solo che ora che la Disney sa di avere un prodotto che interessa al pubblico, anche sulla nuova piattaforma, si possa pensare alla qualità generale, perché per queste settimane è stato un piacere tornare una volta a settimana ad Hell’s Kitchen e una seconda stagione, la vedrei anche subito, però senza l’ansia e i rimaneggiamenti che hanno finito per azzoppare questa.
Ok che Daredevil non va giù mai e prospera nelle difficoltà, ma è inutile crearsele da soli, già non ci vede, ci manca solo sparargli in un piede per futili motivi di ansia da prestazione, ma per fortuna mi sono consolato con la parte migliore della serie, sapete a cosa mi riferisco? All’arte del mio amico David Mack, non solo a lui dobbiamo alcune belle storie del personaggio e tante bellissima tavole, ma qui ha curato tutti i graffiti e le opere di Muse, disegni e in generale, tanta bella arte molto ben integrata della storia, tanto da diventare un elemento narrativo, non vedo l’ora di incontrarlo nuovamente per fargli i complimenti di persona, il legame diretto con le origini fumettistiche del personaggio, lo ha garantito quasi tutto Mack con il suo lavoro.
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