Anche se un lutto in particolare ha oscurato la vallata, tenendo impegnati i nostrani giornali e giornalisti (se così possiamo chiamarli), bisogna dire che gli ultimi giorni di giugno di quest’anno non sono stati particolarmente gentili con il mondo del cinema, tra i lutti, anche la perdita di Treat Williams.
C’era una volta in America, “Il principe della città” (1981) di Lumet, 1941, il mio culto personale Sbirri oltre la vita ma anche il ruolo del mio personaggio preferito in “Hair” (1979) di Miloš Forman, quello che è riuscito a far amare un musical anche ad un non cultore del genere come me. L’elenco dei film in cui ha recitato Treat Williams è lungo, un attore che forse non è mai esploso come il divo che avrebbe potuto essere ma che ho sempre trovato piacevole ritrovare nei film, quindi appena ho letto la brutta notizia mi sono detto: «Ok, e adesso?»
Adesso, rendiamo omaggio all’attore alla moda della Bara Volante, quindi con un film caciarone e divertente in cui Williams era un grosso valore aggiunto, mi riferisco ovviamente a “Deep Rising – Presenze dal profondo” (con il solito sottotitolo italiano rafforzativo) scritto e diretto dall’amato e odiato Stephen Sommers, uno che si era fatto la sua solida gavetta ad Hollywood, prima di poter iniziare a fare davvero il suo cinema, caciarone, a volte con giocose tinte horror. Il suo “La mummia” (1999) non sarebbe mai esistito senza le prove generali con “Deep Rising”. Molti lo “odiano” (artisticamente parlando) per il suo “Van Helsing” (2004) ma soltanto perché non siete emotivamente coinvolti, il vero disastro che ha messo fine alla sua carriera era G.I. Joe – La nascita dei Cobra, quello si davvero esecrabile.
“Deep Rising” ha girato parecchie scrivanie ad Hollywood prima di diventare un film e di diventare beh, “Deep Rising”, visto che il primo titolo era semplicemente “Tentacles”, in circolazione dai primi anni ’90 tanto che beh lo diciamo spesso, Hollywood come tutti i posti di lavoro, non è poi così vasto e sconfinato, le voci e i copioni girano, infatti come ha prontamente fatto notare Lucius, “Deep Rising” è perfettamente sovrapponibile per personaggi e intere sequenze ad Alien – La clonazione: l’equipaggio guascone composto da brutti sporchi e cattivi, che sale a bordo di una nave dove a bordo troveranno mostri ancora più grossi brutti e cattivi, pronti a farli a pezzettini. Ma a ben guardare si potrebbe fare un gioco alcolico, si beve ogni volta che si riconosce nel quarto capitolo di Alien una scena identica a “Deep Rising”, si finisce ubriachi molto presto ve lo assicuro!
Ma sappiamo come sono andate le cose, un quarto Alien era nell’aria da tempo, quindi è probabile che qualcuno abbia tenuto le orecchie dritte in cerca di soggetti, non è un’accusa di plagio la mia, semplicemente Hollywood, il posto di lavoro più piccolo (ma famoso) del mondo. Infatti a ben guardare i film che hanno pescato a piene mani da quello di Stephen Sommers non mancano, come ad esempio “Nave fantasma” (2002) con i suoi ricconi ammazzati male a bordo di una nave maledetta. Anche perché parliamoci chiaro, Sommers è arrivato nel pieno di un filone durato una manciata di anni, inaugurato idealmente da Punto di non ritorno, con equipaggi ad esplorare navi abbandonate con la morte dentro, tutta roba che è più facile notare ora a distanza di qualche anno, piuttosto che all’uscita del film.
Anche perché nel 1998 “Deep Rising” siamo andati a vederlo in pochi, ai tempi lo archiviai come divertente, finendo a rivederlo in tv quelle poche volte in cui lo hanno passato, per fortuna sul finale degli anni ’90 esistevano ancora titoli grossi quindi ai tempi, potevamo permetterci di considerare questo come un B-Movie divertente e nulla di più. Oggi con la piega malinconica presa dal cinema, c’è quasi da rimpiangerlo un film d’intrattenimento pieno di mostri e personaggi che hanno sempre la battuta pronta così.
Sommers si ritrova qui a capo di una ciurma, finanziato con quarantacinque milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti e molti di quelli che quei foglietti potevano comprare, come ad esempio la colonna sonora del leggendario Jerry Goldsmith, che fa ancora la sua porca figura oggi. Non è ben chiaro invece il coinvolgimento dell’uomo con il nome più bello del mondo, ovvero Rob Bottin, visto che i mostroni sono tutti realizzati in grafica computerizzata, vengono a mancare i suoi effetti pratici, probabilmente sarà stato tirato a bordo (ah-ah) per una consulenza del design dei mostri, ipotesi mia, non prendetela come oro colato.
Con quello che avanza si potevano ancora avere effetti speciali invecchiati con decoro e una serie di facce note dinlivello, molti dei quali prestate a personaggi-stereotipo, dei fermaposto bipedi che traggono carisma dal nome a cui sono stati associati.
Rivedendolo oggi “Deep Rising” sembra la fiera del caratterista di lusso o una buona testimonianza della gavetta fatta da nomi come Djimon Hounsou ad esempio. Infatti a fare più o meno tutti una fine che va dal brutto al terribilmente pessimo, vediamo il rosso di Bruiser, oppure il mitico Cliff Curtis, fino ad arrivare alla faccia di cuoio di quel mito di Wes Studi.
Ma staremmo qui a parlare della fuffa se non fosse per l’MVP di questo film, il lupo di mare John Finnegan interpretato da un Treat Williams che pare il primo a divertirsi, a capo della ciurma deve tenere a bada marinai “Scopa-tutto” che hanno messo gli occhi sulla tosta coreana del gruppo (una proto-Vasquez dal potenziale rimasto inespresso), il tutto con l’aria di chi si porta dentro un vaffanculo e un menefrego dentro al cuore. Sorriso alla Han Solo e una massima di vita da snocciolare ad ogni piè sospinto, roba efficacissima come «Non si fanno domande a chi scuce il contante» o ancora meglio «Si vive più a lungo se non si fa niente», che nulla mi toglie dalla testa sia diventato il motto del PD.
Ora, la domanda ve la devo fare, mi state ascoltando o state guardando la ragazza con il vestito rosso? (cit.) no perché l’altro elemento memorabile del film è rappresentato da Famke Janssen, una sorta di Margot (o Fujiko se preferite) finita a bordo della nave dei ricconi per alleggerirli di un po’ di soldi, interpretata al meglio dalla bella attrice, vestito da sera mozzafiato e “cingomma” in bocca, se la ricordate solo per la sua Jean Grey, sappiate che non l’avrebbero mai scelta per la parte senza prima la gavetta in “Deep Rising”.
L’espediente è rappresentato proprio dalla super nave carica di ricconi, progettata e comandata da un altro caratterista di lusso come Anthony Heald, di fatto è una truffa all’assicurazione che galleggia, infatti per metà del film il suo orgoglioso proprietario non fa che parlarne bene, automatico che si attiri addosso tutte le sfighe del mondo, chi si loda s’imbroda o in questo caso, si ritrova avvolto nel viscido abbraccio dei discendenti mutanti dell’ottoia profilica, un enorme tenia enfatizzata dai media, in questo caso dal cinema.
“Deep Rising” procede spedito e fiero, come spettatori viene automatico aggrapparsi ai due personaggi positivi (o meno peggio) della ciurma, ovvero quelli interpretati da Treat Williams e Famke Janssen, per un film dove i ruoli sono chiari: eroe, spalla comica snocciola battute, bella di turno, alleati traduttori che devono morire male, insomma lo schema classico che Sommers ha poi utilizzato spesso nei suoi film.
Va detto che il ritmo quando i mostri si manifestano va in crescendo e non si volta più indietro a dare i resti a nessuno, per quanto scanzonato e con protagonisti che la buttano spesso sul ridere per stemperare, i momenti “horror” non mancano, ci sono umani divorati e risucchiati dai tentacoloni, ma anche facce che vengono sciolte in primo piano, tenendo a mente la lezione Spielberghiana.
Per non parlare della morte su schermo di Wes Studi, una sorta di punizione al personaggio infame, perpetrata per mano (o tentacolo?) del mostro, che più che limitarsi a succhiarlo, lo consuma lentamente, non vorrei metterla giù dura ed entrare in zona Hentai, ma più che una morte sembra quasi una scena di stupro, nei limiti della censura ovviamente.
Ancora oggi per me, la parte migliore del film resta il vestito rosso di Famke Janssen, quando però in maniera molto intelligente il personaggio si cambia (affrontare mostri sui tacchi non è il massimo), di fatto lascia spazio alla prova guascona, proto-Jack Burton senza crederci troppo di Treat Williams e adesso lasciatemi scrivere qualcosa di impopolare: sono contento di averlo visto nel 1998 in un’epoca in cui “doppiaggio contro originale” non era un’ossessione da cinefili, perché in italiano questo film suona molto meglio.
Basta dire che la mitologica frase di John Finnegan, la sua «Ok, e adesso?» in originale è decisamente più piatta, qui invece diventa la sua battuta di culto, del personaggio e del film, infatti quel finale, che rende omaggio alla perfezione alla tradizione dei Monster-Movies (più che provare a tenersi aperta la porta per un seguito) funziona doppiamente grazie alla frase in questione.
Insomma “Deep Rising” più che a The Abyss somiglia a “Blu profondo” non a caso uscito un anno dopo questo film (perché Hollywood è un piccolo posto di lavoro), se ancora oggi funziona, lo dobbiamo anche al modo in cui Treat Williams ha capito il materiale e ha saputo adattarsi allo spirito, quindi tra i tanti bei titoli della sua filmografia, questa Bara non poteva non omaggiare l’attore scegliendo un film diverso da questo.
Sepolto in precedenza giovedì 20 luglio 2023
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