Siamo fatti da duecentoquindici ossa (come diceva Sarah Connor), da circa cinque litri di sangue, alcuni metri di intestini e budella ma soprattutto dai libri, dai fumetti e dai film che abbiamo letto e visto.
Alcuni di questi non ti lasciano mai per davvero, ed ora se fossi uno di quei cinefili seri, colti con gli occhiali e la pipa, a questo punto dovrei dirvi che per me, quel tipo di film che ti porti sempre dentro è qualcosa di Sokurov, magari Ėjzenštejn, ma devo essere onesto e dirvi che quel film per me è “Delta Force”. Anche perché Menahem Golan non concederebbe mai spazio a quei Bolscevichi.
“Delta Force” usciva in uno strambo Paese a forma di scarpa esattamente il 3 maggio di 35 anni fa, non potevo perdere l’occasione di portare su questa Bara uno dei film che ho visto e rivisto più volte nella mia vita. Sapete come funziona nella vita di un cinefilo, arriva il momento in cui cresci e prendi un pochino le distanze dai film della tua infanzia, il momento in cui perdi la testa per quei Bolscevichi là, salvo poi finire per tornare al punto di partenza e scoprire che le tue basi cinematografiche sono quel bellissimo ciarpame con cui sei cresciuto. A quel punto di solito o superi il trauma, oppure finisci per aprire un blog dal nome lugubre e passare le tue giornate a canticchiarti il tema musicale di Alan Silvestri. Io faccio parte della seconda categoria, ed ora, la lezione di storia contemporanea.
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«Signor Golan quelle sono le lettrici e i lettori della Bara Volante», «Sono Bolscevichi?», «Beh non saprei, forse qualc…», «Ora li facciamo saltare!» |
Nel Giugno del 1985, il volo TWA 847 in partenza dalla Grecia viene dirottato da alcuni terroristi islamici, i passeggeri a bordo vengono tenuti in ostaggio per due settimane, la situazione si risolve come spesso accade nella realtà con questo tipo di tragedie, Israele rilasciò alcuni prigionieri politici, il famigerato “scendere a patti” con i terroristi che è la negazione di tutti i valori su cui è stata fondata l’America e di conseguenza, quello che ancora un botto di persone indottrinate da decenni di propaganda audio visiva Yankee, ancora è convinta sia l’unica via da seguire.
Con un attore (nemmeno troppo bravo) come Presidente degli Stati Uniti d’America negli anni ’80, la guerra al terrore Yankee si combatteva su tutti i campi di battaglia, a partire da quello dove gli americani sono sempre stati davvero invincibili, l’unico per la verità: il cinema.
Non ho idea di dove si trovasse Menahem Golan il giorno in cui ha letto della notizia del dirottamento aereo, proprio lui che nel 1977 aveva scritto, prodotto e diretto “La notte dei falchi”, un altro film su un dirottamento con Klaus Kinski e Sybil Danning. Sono certo di una cosa però: figlio di ebrei polacchi, nato a Tiberiade, Menahem Golan con il cugino Yoram Globus ha fondato la Cannon Films, che non ha bisogno di presentazioni presso gli appassionati di cinema di genere, perché la Cannon rappresenta il cinema d’azione americano degli anni ‘80 nella sua forma più pura, caciarona ed esplosiva possibile.
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Da questa immagine, potete capire perché si chiamava Cannon. |
Menahem Golan non poteva perdere l’occasione di sfruttare l’onda emotiva provocata da un fatto di cronaca come il dirottamento del volo TWA 847. La filmografia di Golan è infinita, tra regie e produzioni è stato responsabile di una fetta enorme di cultura popolare occidentale, ma come sua abitudine, ha sempre conservato per sé i bocconi più gustosi e questo spiega perché il primo regista scelto per dirigere il film, Joseph Zito (quello di Invasion USA e Red Scorpion) si è ritrovato dirottato (ah-ah) su altri progetti: paura al bando, Menahem Golan al comando.
Per il ruolo del protagonista Golan non ha avuto nessun dubbio: Chuck Norris era l’hombre del partido per la Cannon, il suo coinvolgimento non è mai stato in discussione. Per un momento avrebbe dovuto essere della partita anche l’altro nome grosso della Cannon, ovvero Charles Bronson che rifiutò solo perché già impegnato in “L’esecuzione… una storia vera” (1986). Per il ruolo del colonnello Nick Alexander ci voleva un nome altrettanto grosso, Golan ha trovato il più grosso di tutti, quello di Lee Marvin. Uno passato direttamente dai campi di battaglia veri a quelli cinematografici, era l’uomo giusto per guidare una nuova sporca dozzina nella guerra di Menahem Golan.
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«Io ho fatto a botte con Bruce Lee», «Io invece ho combattuto i Giapponesi nel Pacifico, ed ora sali su questo maledetto aereo, sei sempre in ritardo» |
Ma la selezione del cast di “Delta Force” per me è l’equivalente di fare un salto carpiato in equilibrio su una corda tesa, se riesci ad eseguirlo applausi a scena aperta, ma il rischio di cadere nel vuoto è altissimo, posso dirlo? Menahem Golan è un funambolo e “Delta Force” è il suo capolavoro.
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Non so voi, ma a me sta già partendo l’Alan Silvestri nella testa. |
Dico sempre che ho consumato tutte le mie istanze militariste ed interventiste durante l’infanzia, con il culo sulle piastrelle di casa, impegnato a combattere una guerra termonucleare globale alla settimana con i miei G.I.Joe ma su questo, lasciatemi l’icona aperta. Fantasie guerrafondaie innocue alimentate ovviamente dai film, ecco perché “Delta Force” ha sempre avuto su di me un peso specifico così importante, di fatto è l’occasione perfetta per sfogare gli istinti bellici sul grande schermo ed è anche stato uno di quei titoli che ha contribuito a farmi capire che per godermi lo spettacolo, non devo per forza condividere la posizione politica dell’autore, insomma “Delta Force” è senza ombra di dubbio un Classido!
Questo film è il punto di equilibrio perfetto tra lo stile del cinema americano degli anni ’70 e quello più muscolare e d’azione degli anni ’80. 120 minuti di durata, per una pellicola perfettamente divisa a metà, la prima ora ha le facce, gli attori e lo stile dei film degli anni ’70, la seconda metà lascia spazio al cinema (e agli eroi) degli anni ’80. Una divisione rigorosa che inizia con la famigerata regola dei cinque minuti di apertura, quelli che determinano tutto l’andamento del film.
Prima scena. Un elicottero fermo sull’area di atterraggio, la data in bella vista, 25 aprile 1980. Fate così, quando il logo Cannon scompare dallo schermo, provate a contare alla rovescia partendo da dieci, alla fine del conteggio l’elicottero BOOM! Esploderà, provateci. John McTiernan piazzava la sua prima esplosione a 42 secondi dai titoli di testa, ma Menahem Golan è ancora l’uomo da battere in questa specialità.
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Sapete come lo chiamo io questo? Un buon inizio (10 secondi, record!) |
Mentre comincia il tema musicale di Alan Silvestri (lasciatemi l’icona aperta anche su questo, tra poco ci torniamo), il colonnello Nick Alexander (Lee Marvin) sta facendo ripiegare i suoi uomini dopo un’azione di salvataggio disastrosa, ne manca solo uno all’appello ovvero il capitano Scott McCoy (Chuck Norris), che si attarda a salire a bordo dell’aereo perché è impegnato a salvare Pete, rimasto ferito sul campo. Una scena ricorrente che rende “Delta Force” di fatto un film circolare, perché McCoy si farà attendere anche nella spettacolare scena finale. Nella storia del cinema, Chuck Norris batte anche la famiglia McCallister quando si tratta di prendere aerei al volo all’ultimo secondo.
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Salvate il soldato Ryan? Con Chuck Norris sarebbe durato due minuti e avrebbe avuto un lieto fine. |
L’operazione è stata un disastro perché LORO, quelli che comandano e pianificano, quelli che non hanno idea di cosa voglia dire stare sul campo di battaglia per davvero, hanno preso un’altra decisione tragica, Chuck Norris McCoy è stanco di tutto questo, una volta tornato a casa avrà chiuso. Scocca il quinto minuto esatto del film, l’operazione Golan può iniziare sul serio, il riscaldamento è finito.
Il volo ATW (cambiando l’ordine delle lettere il risultato non cambia) in partenza da Atene è pieno di passeggeri che sono anche facce note, il meglio del cinema pescato dai decenni precedenti al servizio della prima ora di film, un dramma fatto di sudore, urla disperate, bambine con la bambola, donne incinte e un caldo opprimente che ti fa venire a voglia a te, spettatore comodamente seduto in poltrona, di aprire la finestra per far passare un po’ d’aria.
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«Biglietti prego» |
Per quanto riguarda i terroristi saliti a bordo, il casting sembra sia stato supervisionato da Cesare Lombroso, basta dire che il capo, il risoluto Abdul vestito quasi come uno degli uomini del Graal è interpretato da un quasi irriconoscibile Robert Forster. A bordo del volo l’uomo semina il terrore tra passeggeri che sono tanti “grandi vecchi” del cinema: l’eterna presenza dei film catastrofici Shelley Winters, il prete Irlandese di Chicago con contorno di suore e il faccione di George Kennedy, per non parlare di uno dei miei personaggi di contorno preferiti, il russo ortodosso che però di fatto è un sovietico redento e convertito sulla via di Damaso Washington, perché stando alle sue parole «L’America è un grande Paese».
La prima ora di “Delta Force” deve giustificare la seconda, Menahem Golan lo sa benissimo e a differenza dei terroristi islamici non prende prigionieri, lo fa con la delicatezza non del classico elefante nella cristalleria, ma di chi il pachiderma decide di sganciarlo sulla stessa usando un bombardiere B-17 in volo a duemila metri.
Il dirottatore a bordo insieme ad Abdul è quello che appare quasi umano… per circa sei secondi. Ci viene accennata la passata esistenza di una figlia di nome Salima che fa percepire (in maniera appena accennate eh?), che il terrorista sia stato un padre, un marito, insomma un essere umano, ma quando a bordo compaiono tre marinai americani, l’uomo parte di capoccia, inizia a sbraitare che gli aerei che hanno distrutto Beirut sono partiti da una portaerei Yankee e nessuno riesce più a trattenerlo, la tensione cresce ed è qui che il pachiderma sganciato da Golan colpisce in pieno il bersaglio, anzi scusatemi se questa frase ricorda sinistramente la notte dei cristalli, ma vi assicuro che il vecchio Menahem è stato anche meno delicato del vostro amichevole Cassidy di quartiere sulla questione.
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«Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci usate torto, Chuck Norris non ci vendicherà?» (quasi-cit.) |
Abdul fa identificare gli ebrei a bordo del volo, un vero e proprio rastrellamento dove le mezze misure vengono gettate fuori dal finestrino e poi fatte saltare per aria con il tritolo. Non basta che Shelley Winters faccia aperto riferimento ai campi di sterminio, il messaggio deve arrivare anche all’ultimo dei contadinacci con il collo rosso del Wyoming. Menahem Golan è un ebreo trasferito in America e come tale, più conservatore di alcuni suoi compatrioti nello sventolare la sua bandiera: chi odia gli ebrei è uguale ad un Nazista, chi odia gli ebrei non ama l’America e quindi e nemico giurato di Chuck Norris! Perché il paragone arrivi, deve essere urlato, infatti questa è la porzione di film dove “Delta Force” diventa dannatamente serio.
Il rastrellamento comincia con una scena brillante e quasi sommessa per lo stile di Golan, il che vuol dire sparata a mille decibel: quando l’algida assistente di volo Ingrid (Hanna Schygulla, bellissima e con i suoi capelli che urlano «ANNI ’80!» fortissimo) raccoglie i passaporti di tutti, allungandosi verso quello del signor Ben Kaplan (il grande Martin Balsam), non può fare a meno di notare i numeri tatuati sul suo avambraccio che fanno immediatamente calare sul film un’atmosfera plumbea.
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Scene traumatiche infantili che fanno crescere e dove trovarle. |
Da qui in poi Golan rincara ancora la dose, Ingrid invoca i terroristi di non lasciare che sia proprio lei, tedesca, a dover radunare gli ebrei a bordo e scusatemi se sembro fuori luogo ma trovo questa scena e quella che segue straziante, un aggettivo che utilizzo poco e che probabilmente sarete abituati a leggere per film ben diversi nella fama da “Delta Force”. Ma pur trascinandoci tutti in zona di pura, purissima propaganda, Golan trova il modo di farsi patteggiare per gli ostaggi a bordo, nel modo più intenso ed emotivo possibile, alla faccia delle caratterizzazioni spesso piatte, dei personaggi di contorno nei film d’azione.
Menahem Golan, tiene fede al suo nome è MENA, mena schiaffoni a noi spettatori che impotenti vediamo veder portar via prima l’innocente russo scambiato erroneamente per ebreo, poi Martin Balsam («Sono sopravvissuto già una volta, sopravvivrò ancora») e persino Padre O’Malley che sarà Irlandese come la Guinness ma siccome Gesù era ebreo, dovranno prendere anche lui. Cioè avete capito no? Menahem Golan le mezze misure non le prende nemmeno in considerazione, ma con una scena così, vista soffrendo da bambino (ma anche da adulto o presunto tale), personalmente mi ha illustrato l’Olocausto usando il cinema, prima di altri suoi colleghi più blasonati, come a dire idealmente a Steven Spielberg: «Stevie fai il bravo, reggimi la birra un momento».
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Il dramma della Shoah me lo ha spiegato Menahem Golan. Alcuni (troppi) non l’hanno ancora capito. |
A questo punto Golan ci tiene tutti per la gola (basta battute sul suo nome, giuro!), donne e bambini vengono scaricati a Beirut («Un tempo era la Las Vegas del Medioriente» il paragone non è con Parigi, ma con l’idea di ciita di lusso che potrebbero avere i contadinacci del Wyoming) e il suo film di purissima propaganda filo americana diventa un affare da uomini. Qui il cinema degli anni ’70 si ferma e comincia Chuck Norris!
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«Bambina con il cappotto rosso di Schindler’s list, questo è per te» |
Vorrei sottolineare che se i terroristi sono stati tratteggiati da Lombroso e gli ebrei sono delle povere vittime, gli americani non hanno nemmeno una caratterizzazione, sono Lee Marvin e Chuck Norris e tanto basta perché non serve sapere altro. Per Golan rappresentano due quarti del Monte Rushmore del cinema d’azione, Marvin poi è immobile, in quello che sarà l’ultimo film della sua carriera (morirà di infarto nell’estate del 1987) il grande Lee non ha bisogno davvero di fare niente, se non essere così tanto, incredibilmente Lee Marvin. In questo senso l’immobile Chuck Norris non avrebbe potuto avere un padrino migliore.
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«Vado, lo esplodo e torno» |
Anche se a ben guardare, il primo tentativo di salvataggio americano si risolve con un mezzo pastrocchio: uno dei marinai a bordo viene ucciso e lanciato giù dall’aereo e in tal senso “Delta Force” è accurato, perché dopo un’ora abbondante di film, gli americani non hanno ancora combinato nulla di buono, di fatto una perfetta rappresentazione della loro politica estera. Anche se gli intenti di Golan sono altri, gli americani, per potersi esprimere in tutta la loro gagliarda Yankeetudine, hanno bisogno di ancora un piccolissimo aiuto, che poi coincide con il feticismo di Menahem Golan con i mezzi militari. Gli Yankee possono scatenarsi solo dopo essere stati armati da Israele, capito lo schema no? Americani buoni, ebrei buonissimi, mussulmani cattivissimi! Quindi con mitragliatori Uzi, motociclette armate di missile (gli anni ’80 sono stati il decennio dei jeans a vita alta e delle moto con i razzi) e Dune buggy nere, la Delta Force può andare a scalciare culi e tirare giù nomi, il tutto rigorosamente con il tonante tema musicale di Alan Silvestri in sottofondo. Si, è ora di chiudere quell’icona rimasta aperta su di lui.
Una volta mi hanno chiesto di indicare il mio pezzo preferito di alcuni compositori cinematografici, un giochino per passare il tempo. Per quanto riguarda Alan Silvestri non ho avuto dubbi, pari merito totale tra Ritorno al futuro e il tema principale di “Delta Force” (storia vera). Se ci sono due temi musicali che io potrei ascoltare a ripetizione senza stancarmi MAI sono proprio questi, anzi per quello di “Delta Force” vi confesso (e questo vi dice molto dei miei problemi) che ancora oggi, me lo canticchio da solo così, per puro diletto personale (storia vera, secondo estratto).
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«Guerra e sei il protagonista!» (cit.) |
Il finale di “Delta Force”, anzi per la precisione tutta la sua seconda ora, è pura pornografia militare. Una roba che a confronto Top Gun sembra un film etico e perfettamente logico nel gestire le difficili dinamiche politiche tra nazioni. Se per un’ora i cattivi hanno fatto il bello e il cattivo tempo, nella seconda ora devono beccarsi una punizione esemplare: Chuck Norris scivola lungo una corda sparando ventagliate di mitra, Lee Marvin spara un singolo colpo sì, ma al centro degli occhi di uno dei cattivi più odiosi, esplosioni, calci volanti che saranno anche la specialità di Norris, ma qui passano quasi in secondo piano in questa orgia bellica in cui a sostituire il coro «U.S.A.! U.S.A.! U.S.A.!» (oppure «America… FUCK YEAH!») ci pensa alla perfezione il tema di Alan Silvestri.
I cattivi non devono essere catturati, non devono morire in azione, devono essere puniti e a questo ci pensa il capitano (poi maggiore) Scott McCoy che in italiano parla (poco) con la voce di Peter Venkman o di John McClane in 58 minuti per morire, ma ha la barba di Chuck Norris, che sgomma, inchioda, va a manetta, fa cagare sotto terroristi e governi, ma soprattutto spara razzi rigorosamente MADE IN U.S.A. (anche se sono prodotti in Israele).
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All’attacco G.I.Joe Delta Force, per difendere la pace / contro il cobra terrorista più vorace, alla tregua dite no! (quasi-cit.) |
Avevo ancora un’ultima icona da chiudere: per una pura casualità, le Dune buggy nere del film, ad esclusione del colore, sono identiche allo Striker dei G.I.Joe, accidentalmente uno dei miei mezzi preferiti del celebri soldatini della Hasbro. Questo non solo chiude il cerchio sulla mia infanzia bellica, ma è la prova che i film, che siano Horror o d’azione, hanno il potere di esorcizzare paure e in qualche caso, anche ideologie guerrafondaie. Infatti pur essendo un film di pura e per certi versi proprio sfacciata propaganda, per assurdo è stato proprio il film che mi ha insegnato che la guerra andrebbe combattuta solo al cinema e le esplosioni sono belle solo sul grande schermo. Ma poi tanto se la guerra a combatterla è Chuck Norris, conoscete già il nome del vincitore.
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Chi ha detto che il romanticismo è morto? (lo ha solo steso Chuck Norris) |
Siamo fatti di 215 ossa, da circa cinque litri di sangue, alcuni metri di intestini e budella ma soprattutto dai film che abbiamo visto. Non credo nemmeno esisterebbe la Bara Volante senza i G.I.Joe e le ore passate a guardare “Delta Force”, quindi grazie di tutto signor Golan, ed ora se volete scusarmi, cavalco la Bara verso l’orizzonte canticchiando il tema di Alan Silvestri, intanto voi non perdetevi il post Zinefilo e la locandina d’epoca di IPMP. PARA PA-PARA PAAAAA! PA PA PAA PAA PAAAA PAA PAAA!