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Desperado (1995): un Mariachi entra in un bar…

Squadra che vince non si cambia, al massimo gli si applica la regola aurea dei seguiti: uguale al primo, ma di più! Per quanto riguarda il secondo capitolo della “Trilogia del Mariachi”, per fare di più rispetto al primo poverissimo (solo in termini di budget) primo capitolo, sarebbe bastato pochissimo, ma la Columbia Pictures, innamorata del talento di Robert Rodriguez aveva distribuito negli Stati Uniti (e poi nel mondo) El Mariachi, pensò bene di fornire al regista con cappello da Cowboy sette milioni di fogli verdi con sopra stampate facce di alcuni ex presidenti defunti (storia vera). Passare dai settemila dollari con cui è stato prodotto El Mariachi ai sette milioni di “Desperado”, equivale più o meno a dire che se una volta giravi il mondo zaino in spalla dormendo quando andava bene negli ostelli, ora hai a disposizione come minimo la suite presidenziale all’Hilton, per nostra fortuna Rodriguez si gode i vantaggi del vile denaro, senza dimenticarsi di aver fatto l’uomo-cavia per diventare un regista.

Preghierina agli Dei del cinema, per l’enorme grazia (economica) ricevuta.

Forte del nuovo budget Rodriguez fa il salto di qualità, questo indipendentemente dal fatto che nel frattempo era diventato amico di Quentin Tarantino (per evidenti affinità di passione per il cinema di genere), ovvero il regista che con “Pulp Fiction” (1994) era diventato il Re del mondo o giù di lì. Con “Desperado” il nostro Robertino ha iniziato ad ammonticchiare tutti insieme non solo i tecnici, ma anche il cast che sarebbero diventati la sua “Factory”, passatemi il termine Whorliano: come direttore della fotografia viene arruolato il bravissimo Guillermo Navarro, uno che sarebbe stato al fianco di Rodriguez a lungo per poi diventare il preferito di un altro Guillermo, del Toro.

In un film dove il protagonista è un musicista di talento, Rodriguez anche lui chitarrista, si accaparra il talento dei Los Lobos, infatti la colonna sonora di “Desperado” è una bomba, mentre sullo schermo cominciano a comparire tutte quelle facce (brutte) che saranno presenze fisse nel cinema di Rodriguez, dal mitico Cheech Marin, passando per Danny Trejo, che qui inizia a mettersi comodo nei panni di un sicario armato di lame (in questo caso coltelli da lancio), che di fatto sembrano un po’ le prove generali per zio Machete, personaggio che diventerà prima una presenza fissa nella saga di “Spy Kids” e poi senza nipotini, in una doppietta di film con Trejo assoluto protagonista.

Sul set Trejo e Rodriguez hanno scoperto di essere cugini di secondo grado (storia vera)

Il personaggio di Buscemi (nomen omen visto che è stato scritto proprio con Steve Buscemi in testa, storia vera) riduce a meno di sei i famigerati gradi di separazione con il cinema di Tarantino, che si azzerano completamente con la parte del logorroico raccontatore di barzellette, affidato proprio alla faccia da schiaffi di Quentin, che qui prima regala la barzelletta del tizio che scommette di riuscire a pisciare dritto in un boccale a tre metri da lui e poi viene ucciso (come tanti vorrebbero fare con Tarantino), portando avanti una tradizione di morti sul grande schermo per i personaggi interpretati dal regista di Knoxville.

Tutto questo per mettere in chiaro il fatto che Rodriguez avrà pure iniziato la sua carriera con El Mariachi, ma è stato grazie a “Desperado” che ha posto le basi su cui ha costruito tutto il suo futuro cinema, certo al netto di qualche compromesso tutto sommato accettabile, infatti la Columbia non avrebbe mai concesso un seguito “Uguale al primo ma di più” senza un volto noto come protagonista, ecco perché Carlos Gallardo, El Mariachi originale protagonista del primo film è stato spostato in ala, fa bella mostra di se nella “sigla” del film, una scena apparentemente fuori contesto in cui Antonio Banderas viene nominato sul campo nuovo Mariachi, cantando Cancion del Mariachi insieme ai suoi compari, un momento musicale che serve a riannodare i fili con il primo capitolo e per altro, regalandomi un pezzo che ogni tanto mi canticchio da solo, senza per forza dover aspettare i miei momenti da “borracho” (storia vera).

«Cassidy smettila di cantare, lascia fare a noi professionisti»

Perché di fatto la “Trilogia del Mariachi”, sarà anche fortemente debitrice di quella del Dollaro di Sergio Leone, con cui ha molti punti di contatto, ad esempio gli attori che ritornano in ruoli differenti proprio come faceva Leone con i suoi pretoriani (pensate a Mario Brega), ma per certi versi ha molto in comune anche con la trilogia di Evil Dead, vado a spiegare prima che mi puntiate le armi dritte in faccia.

Per problemi di diritti, Sam Raimi fu costretto a rigirare le scene che facevano da raccordo tra un film e l’altro, pensate alle piccole differenze tra il finale di Evil Dead 2 e l’inizio di L’armata delle tenebre. Qui Rodriguez fa la stessa cosa e siccome “Desperado” è un film dove qualcuno a turno entra in un bar, questo secondo capitolo inizia proprio così, con Steve Buscemi che entra in un bar, non so voi ma a me come inizio di barzelletta fa già ridere.

«La sai quella del tizio che entra in un bar? Ecco, immagina che quel tizio sia io»

Buscemi sopravvissuto ad un massacro (ovviamente in un altro bar), racconta al barista Cheech Marin del più grosso messicano mai visto, un tizio ombroso che ordina spuma e si cura della sua custodia di chitarra come se fosse la sua amata. Se “Desperado” fosse una serie tv, questo prologo piazzato prima della sigla cantata dal protagonista, sarebbe un “cold open”, un inizio a freddo micidiale che regala ad Antonio Banderas forse la miglior entrata in scena della sua carriera, in un attimo l’attore fino a quel momento feticcio di Almodóvar e specializzato in ruoli da “metrosexual” in film come Philadelphia o Intervista col vampiro, diventa un “hombre” che oltre al suo carico di “sesso a pile” pare che non abbia fatto altro nella vita che l’eroe dei film d’azione da cartone animato (violento), motivo per cui zio Sly lo ha anche voluto tra le fila dei suoi Mercenari.

«Pedro Almochi?» (Banderas nella posa degli eroi della Bara)

La sparatoria iniziale, “Cancion del Mariachi” e la scena onirica che segue, in cui Rodriguez rifà il finale di El Mariachi ma con Banderas, ci regalano un assassino letale armato di custodia di chitarra piena di armi che siamo subito pronti ad accettare come nuovo (anti)eroe, perché con tutto il rispetto per Carlos Gallardo, carino l’ostello, ma il letto a due piazze dell’Hilton è più comodo.

Rodriguez poi imposta di nuovo quel tono da cartone animato violento che terrà banco per tutto il film, non più una commedia degli equivoci con sparatorie come El Mariachi, ma la sua naturale evoluzione, una sorta di seguito/rifacimento in cui Banderas dà lezioni di chitarra ad un ragazzino per strada, usando solo la mano buona, ma anche se l’attore è cambiato come per Mad Max, riconosciamo lo stesso il personaggio. Anzi ora che ci penso, la mano ferita del Mariachi, non solo ricorda un po’ il personaggio di Clint Eastwood in Per qualche dollaro in più, ma fa del Mariachi un Maestro Sciancato? Lucius, la palla è nel tuo campo.

Monco come da tradizione Western, anche se poi spara con due mani.

In un film dove la trama procede solo quando qualcuno entra in un Bar, una sparatoria grossa arriva proprio girata tutta in interni, giusto con un bancone di mezzo a fare da barriera dietro cui nascondersi, una lunga sequenza che non manca di parti anche comiche (le pale del ventilatore che schiaffeggiano lo sgherro steso a terra), ma dove è anche chiaro che Rodriguez abbia studiato tutto il cinema giusto, nella fattispecie quello delle risse e le sparatorie tipiche del cinema di John Woo, dove le esplosioni di violenza vanno di pari passo con un tecnica estremamente curata, alla faccia degli stacchi a schiaffo moderni che non fanno capire una mazza dell’azione (ma fanno felice il visto censura), Rodriguez segue le regole del cinema di Hong Kong mostrando bene l’azione, due fotogrammi della stessa scena da angolazioni diverse, il tutto montato insieme con grande fluidità senza far notare il “trucco”, insomma niente male per uno che al suo secondo film cura di nuovo tutto, regia, sceneggiatura, montaggio e produzione.

Da Hong Kong al Messico, tutti a sparare con un’automatica in ogni mano.

Sempre per il discorso per cui l’ostello è comodo ma l’Hilton è meglio, la regola aurea dei seguiti prevede un netto miglioramento anche per la protagonista femminile, ora se in qualunque altro film, vedessi la protagonista entrare in scena camminando, con due auto dietro di lei che fanno un incidente per guardarla passare, penserei ad una trovata degna di Hot Shots!, ma Rodriguez qui può permettersela per due ragioni, la prima è il tono da commedia che fa capolino nel suo film, l’altra ragione molto più valida è Salma Hayek.

Dicono che se sul CID scrivi “Salma Hayek”, l’assicurazione paga senza battere ciglio.

Penso che più belle di Salma Hayek in “Desperado” al cinema ne abbiamo viste proprio poche, al suo primo film americano l’attrice entra in scena è fa il vuoto, non solo è bellissima ma risulta perfetta quando un minuto dopo, Rodriguez si prende gioco della classica scena da film d’azione, quella per cui l’eroe può essere crivellato di proiettili senza nemmeno un «Ahia!», ma se poi a curargli le ferite è una donna (perché è sempre una donna a farlo secondo la tradizione), lo vedremo lamentarsi, piagnucolare e soffrire con un bimbo a cui la mamma sta mettendo un cerotto sulla sbucciatura del ginocchio.

Tra i compromessi accettati da Rodriguez – anche se forse ad accettarli per davvero è stata Salma Hayek – di sicuro la bollente scena di sesso tra i due protagonisti che nella sceneggiatura originale non era presente, ma la Columbia Pictures dopo aver nasato di avere per le mani la coppia di Uber-fighi latini composta da Antonio e Salma, ha preteso la sua libra di carne. Sulla scena in questione è già stato detto e scritto tutto in entrambe le versioni della storia pre e post #MeToo, nel senso che Rodriguez andava in giro a raccontare di aver dovuto cacciar via la troupe che guarda caso, si erano tutti trovati qualcosa da fare sul set proprio il giorno in cui bisognava girare quella scena, ma anche come Salma Hayek alla prima del film, dopo aver invitato i genitori li abbia parcheggiati fuori dove vendono i pop-corn per non farli assistere, insomma è Hollywood bellezza e se vuoi far carriera la scena di nudo è la tappa obbligatoria per le attrici, ma tanto ora dopo che Harvey il maligno è stato arrestato tutto è cambiato no? Bah, ho dei dubbi.

Il “sesso a pile” vende gente, che volete farci? Non incassi 58 milioni solo con le pallottole sparate.

Malgrado i due latini che tengono alta la caliente bandiera della loro fama, la scena che mi impressiona di più oltre al nudo di Salma è quella successiva, il risveglio in cui Carolina con gli occhi chiusi canta la tenera Quedate Aqui, mentre el Mariachi punta due armi contro gli sgherri mandati ad ucciderli, per dare il via alla scene d’azione successiva, quella con inseguimento e salto da un tetto all’altro dove l’influenza di John Woo si vede tutta e che ci ricorda un’altra regola fondamentale: i duri non si voltano a guardare le esplosioni.

«Forse ho dimenticato di chiudere il gas»

Da un certo punto di vista “Desperado” si gioca gli ultimi scampoli possibili del cinema d’azione, quello che negli anni ’90 stava per sparare (letteralmente) gli ultimi colpi, infatti nel massacro finale non viene risparmiato nessuno, anche se le custodie di chitarra che diventano Bazooka mettono in chiaro il tono da cartone animato violento su cui corre perennemente in equilibrio il film di Ridriguez.

Forse uno dei problemi del film è proprio la modernità dietro l’angolo, infatti come già troppi film contemporanei, il cattivo di turno Bucho (Joaquim de Almeida, che ha sostituito al volo il grande Raúl Juliá, prima scelta per la parte ma purtroppo già malato al tempo) viene introdotto, ci viene ben spiegato il suo potere e la sua influenza sulla cittadina, ma dopo la rivelazione finale il duello dura davvero un battito di ciglia, capita nei film così orientati e costruiti attorno al mito dei loro protagonisti.

Quando parlano di potere della musica, non credo si riferiscano a questo, o forse si?

Detto questo “Desperado” è ancora un discreto spasso, ma non l’ultima apparizione di El Mariachi su questa Bara, per quello dovrete attendere l’ultimo capitolo che arriverà la settimana prossima, fino ad allora come da tradizione… Hasta luego!

Sepolto in precedenza giovedì 10 marzo 2022

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