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Detective Stone (1992): l’ultimo capitolo del “Rutger Hauer Show”

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Zatōichi americani olandesi combattere ciechi a colpi di katana… e ho visto falchi della notte e donnefalco balenare nel buio al grido di Eureka! Intenti in letali giochi di morte. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di viaggiare per l’ultima volta oltre le porte di Tannhäuser!

Rutger Hauer ha più volte candidamente ammesso, che per ricordare tutti i titoli della sua vasta filmografia dopo il 1986, aveva bisogno di consultare lui stesso wikipedia. Che abbia citato proprio l’anno di uscita di un capolavoro come The Hitcher è abbastanza significativo, ma forse le colonne d’Ercole della sua carriera, sono state il 1992.

Reduce dal mezzo disastro al botteghino di Giochi di morte, è qui che l’olandese volante cominciò la sua infilata di apparizioni più o meno memorabili a seconda dello spazio concesso, in un’infinità di titoli, giù fino a I fratelli Sisters, dove è riuscito a farsi pagare per interpretare la parte di un cadavere. Ma dove lo troveremo mai un altro come Rutger, dove?!

«Pronto? Si sono Rutger. No, sono l’unico del mio modello, non credere a quella storia dei Nexus-6»

La genesi di questo film è a dir poco travagliata, infatti rivedendolo ancora oggi, tutte le strambe svolte della trama e le vicissitudini sul set si notano ancora alla perfezione. Infatti vi consiglio il post di Quinto Moro dove da vero Detective, ha fatto emergere tutti i difetti del film.

Nel 1988 Gary Scott Thompson scrisse una sceneggiatura intitolata “Pentagram”, ambientata nella Los Angeles contemporanea, la storia parlava di due Strambi Sbirri impegnati in un’indagine dai risvolti satanici, peccato che nessuno volesse produrla almeno finché Laura Gregory, produttrice a capo della Challenge Films, ne colse il potenziale e affidò il film al regista Tony Maylam, che ricorderete per un classico del genere Slasher come “The Burning” (1981).

Considerando la storia fin troppo simile a quella del film “The First Power” (1990) con Lou Diamond Phillips – da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa uscito con il titolo di “Pentagram”, guarda i casi della vita -, Mayland fece tutte le modifiche del caso: spostò la trama di qualche anno avanti nel futuro, decidendo di ambientare tutto in una Londra afflitta da allagamenti e piogge torrenziali dovute al clima impazzito… in pratica come Torino quando piove per tre ore di fila.

Il prossimo passo saranno le branchie come in Waterworld.

Con il nuovo titolo “Black Tide”, l’attore dei sogni di Maylan per la parte del protagonista sarebbe stato Harrison Ford, che dopo aver letto il copione ha sentitamente commentato: «Grazie, ma no grazie». Quindi Maylan ha dovuto accontentarsi della seconda scelta di lusso, mica male passare da Rick Deckard a Roy Batty, anzi secondo me nel cambio il film ci ha anche guadagnato. Senza nulla togliere a Indy, questo caso era materiale per il detective Rutger!

«Essere o non essere? … Non essere» (cit.)

Mentre tutti mettevano il becco in una produzione che diventava sempre più complicata, il compositore Wendy Carlos (quello di The Shining), mollò il lavoro dopo l’ennesimo tema musicale rifiutato, finendo per essere sostituito dal meno blasonato Stephen W. Parsons. Si vocifera che lo stesso Rutger, abbia suggerito di porre l’attenzione sul legame psichico tra il suo personaggio e l’assassino del film, una trama che se gestita meglio, avrebbe potuto essere anche più interessante, ma infilata giù per la gola al film (usando l’imbuto), ci regala alcuni flashback illustrativi francamente bruttarelli da vedere.

«Quella è una mascherina FP1 per caso?»

Troppo facile? Mescoliamo ancora un po’ le carte? Stephen Norrington, tecnico degli effetti speciali, cresciuto alla corte di due mostri sacri come Rick Baker e Stan Winston, nonché futuro regista di “Blade” (1998), si ritrovò con la bellezza di tre anni? Tre mesi? No no, tre settimane per realizzare una credibile creatura, da utilizzare come mostruoso assassino nel film. Un lavoro fatto con la fretta nel cuore, che pesca a piena mani da Venom e dagli Xenomorfi di Alien per il design, e che sarebbe meglio inquadrare poco e magari al buio per non sfoggiare tutte le magagne. Infatti alla Challenge Films pensano bene di toccarla pianissimo, sbattendo letteralmente il mostro in prima pagina sulla locandina del film, togliendo così tre quarti del mistero attorno all’indagine, ma per non farsi mancare proprio niente, perché non aggiungere anche una bella frase di lancio, una di quelle che non ti mette per niente spalle al muro con i paragoni.

Noi siamo Venom… no, no scusate ho sbagliato film!

“Split Second”, titolo definitivo del film, esce con una “Tag-line” che sembra lo zaino di scuola strapieno di libri, sulla schiena di un bimbo gracile: «Blade Runner meets Alien». Aggiungerei che nello spazio, nessuno può sentirti suicidare con campagne promozionali programmate da un Kamikaze.

Spero che chiunque abbia partorito questo, sia rimasto presto senza lavoro.

In questo potpourri di casini, il regista Tony Maylam viene posseduto dallo spirito di Oscar Luigi Scalfaro e al grido di «Io non ci sto!», molla tutto e lascia che a completare la regia sia Ian Sharp, assistente in seconda, esperto nel dirigere seconde unità (lo aveva fatto anche per Chi ha incastrato Roger Rabbit). Anche se le scene dirette da Sharp si riducono essenzialmente allo scontro finale nella galleria metropolitana sommersa dalle acque, un finale che bisogna dirlo, risulta parecchio frettoloso, anche perché immagino Sharp dirigesse comodamente in equilibrio sopra le uova, considerando il parto che è stata la produzione di “Split Second”.

Basta dire che la bellissima Kim Cattrall, è stata arruolata talmente di corsa per il ruolo della bella fidanzata del protagonista, che non ha avuto nemmeno il tempo di lasciarsi ricrescere i capelli dopo il taglio Vulcaniano che sfoggiava in “Star Trek VI – Rotta verso l’ignoto” (1991), il che va benissimo perché dà un tocco futuristico al suo personaggio e poi parliamoci chiaro, nella scena della doccia nessuno le stava guardando i capelli, io no di sicuro. Però io almeno lo ammetto! Sporcaccioni!

ehi voi! Qui sotto! Uno una piccola didascalia che verrà ignorata! Mi leggete!?

“Split Second”, incassò risate al botteghino finendo per non coprire nemmeno i costi di produzione, ma ha saputo difendersi benino grazie al mercato dell’Home video e alle repliche televisive, dove si è costruito la sua fama e il suo zoccolo duro di appassionati, tra cui il vostro amichevole Cassidy di quartiere e la band Death Metal belga Aborted, che sulla copertina del loro disco “The Purity of Perversion” (1993), ha piazzato una scena presa da questo film (storia vera).

Ed ora, un po’ di musica Natalizia per noi.

Bisogna dire che l’Europa è stata più gentile con questo film, in Francia è uscito con il titolo “Killer Instinct” (cercate di immaginarmi mentre lo pronuncio alla francese), mentre da noi è uscito con il titolo di “Detective Stone”, ma anche una locandina che pone l’accento sulla vera attrazione del film: il nostro Ruggero.

Il suo detective Harley Stone, è uno che sulla parete del bagno di casa sfoggia il logo della Harley Davidson, giusto per farci capire che è del tutto aderente al prototipo dello sbirro tosto, che lavora da solo, che ama le armi di grosso calibro («Per fortuna non hai un lancia granate», «Non me lo avete concesso»), che non si veste come gli altri suoi colleghi, e alla divisa d’ordinanza preferisce il pastrano e gli occhiali da sole tondi, anche se il futuro dove vive è buuuuuuio come il 90% dei film futuristici usciti dopo Blade Runner.

Di certo non un fautore del controllo delle armi, mettiamola così.

Stone è alimentato a caffè e cioccolata, non lavora in coppia e segue metodi non ortodossi, tipo interrogare un Rottweiler (detto “testa di cane”) come testimone, piuttosto che aver a che fare con i bipedi della sua specie. Uno così, sapete già che ha un dramma nel passato, che Pete Postlethwaite non fa altro che ricordargli con la sola presenza, perché si, un grande attore come Postlethwaite, qui viene utilizzato nell’ingrato ruolo del collega stronzo del protagonista. Ho visto caratteristi peggiori ricoprire la stessa parte nella mia vita, ve lo posso assicurare.

«Adesso caro Kobayashi, mi dici chi è Keyser Söze»

Come vuole la tradizione del Buddy Movie poliziesco, detto anche film di Strambi Sbirri, ad un tipo tosto come Stone viene appioppato il suo esatto opposto, un nerd ligio al regolamento dal nome fumettistico di Dick Durkin (Neil Duncan), non a caso appassionato di fumetti e probabilmente della sua fidanzata, che nel film non si vede mai ma secondo Dick (nome omen) fa all’amore con lui tutte le sere, ti crediamo sulla fiducia grazie, anche se come caratterizzazione, avrebbero potuto impegnarsi un pochino di più.

Loro due valgono come coppia di Strambi sbirri!

In ogni caso meglio dell’utilizzo di Kim Cattrall, che entra in scena sotto la doccia, quando è sconvolta va a fare un bagno e finisce il film nella metro allagata stile “Miss maglietta bagnata”, poi chiedetevi perché sia finita a fare la parte dell’allupata Samantha in “Sex and the city”, di fatto una forma di reazione.

«Basta, vado da Sarah Jessica Parker, questo è troppo!»

“Detective Stone” ha dei buchi logici che sono voragini, nel tentativo di far convivere, l’originale sotto trama satanista della prima bozza di sceneggiatura e la volontà di avere un mostro grosso per il gran finale, il film si gioca delle spiegazioni che non stanno né in cielo né in terra. Con gli stessi artiglioni grossi e sgraziati al posto delle dita, l’assassino lascia messaggi d’amore scritti con il sangue (in perfetta e leggibile grafia), insieme a svariati cuori al protagonista, una dichiarazione d’amore come ha prontamente sottolineato anche Quinto Moro, scritta con veri muscoli cardiaci esportati da persone ben poco volontarie, piuttosto che con le emoticons, cuoricino, bacino, cuoricino.

Tutta la soluzione del caso, che improvvisamente Dick Durkin capisce al volo, è un delirio che prevede il simbolo zodiacale di Charles Manson, del DNA di ratto e delle anime da portare all’inferno («Alleluia!»), che non si capisce bene da dove sia uscita, forse da qualcuna delle scene rimaste sul pavimento della sala di montaggio. In generale poi, “Detective Stone” viene sempre confuso e idealmente associato ad Alien, per via dello scontro finale (occhiolino-occhiolino) in acqua e il design del mostro, ma forse sarebbe più corretto paragonarlo all’altrettanto sfortunato e bistrattato Predator 2, per via dell’ambientazione urbana in un futuro che potrebbe arrivare mercoledì prossimo, e dello scontro tra sbirro tosto e creatura pericolosa, che caratterizza entrambi i film.

«Almeno prima invitami fuori a cena»

Quello che sicuramente riesce ad azzeccare questo B-Movie è la costruzione di un mondo, che con i suoi disastri ecologici, somiglia già troppo al nostro. Con una manciata di fogli verdi con sopra le facce di altrettanti ex presidenti defunti, Tony Maylam tratteggia un mondo in rovina con i ratti per strada e gli umani tappati dentro discoteche fetish, dove quella sorta di critica ecologista che è l’assassino (vuoi farti mancare anche questo nel film?), letteralmente torna a punire l’umanità per i suoi crimini. Ma la sto facendo più grossa di quello che è per davvero, “Detective Stone” ancora conquista per la capacità di Rutger Hauer di prendersi lo schermo e non lasciarlo fino ai titoli di coda.

Rutger è lì sulla tua test… lascia perdere, come se non avessi detto nulla.

In questo adorabile pasticcio che mescola thriller, momenti horror, monster movie e ambientazione da fantascienza, Rutger se la comanda con estrema disinvoltura, a ben guardare anche questo film guarda al futuro in maniera pessimistica come Giochi di morte, ma la prova di Ruggero è totalmente diversa. L’approccio fisico al ruolo è sempre lo stesso e per quanto i personaggi di entrambi i film abbiano un trauma del passato che ancora li tormenta e alimenta le loro motivazioni, Rutger qui riesce a giocarsi un registro tutto diverso per Harley Stone.

Lo vediamo a casa sua circondato da colombe (ben prima di “Ghost Dog” del 1999), oppure imbracciare un fucile e lo spettacolo del film è davvero tutto qui. Lo dobbiamo a Rutger qui alle prese con la sua versione dello sbirro tosto, personaggio che avrebbe in parte ripreso in Wanted vivo o morto, ma con una sfumatura ancora differente, perché Harley Stone è il Marion “Cobra” Cobretti, oppure il Jack Slater di Rutger Hauer, in una produzione che non ha certo potuto contare sui talenti e i budget di cui disponevano Sly e Arnold.

«Decolliamo e derattizziamo» (quasi-cit.)

Infatti non credo sia un caso se il film termina con l’eroe, abbracciato alla sua bella, impegnato a guidare (il moto scafo) verso l’orizzonte, mentre scambia battute e battutacce con il suo compare, la spalla comica. Perché questo non è altro che il finale giusto per un film così, la camminava dell’eroe verso il tramonto in stile anni ’90, infatti si esibivano in questa specialità anche titoli come Resa dei conti a Little Tokyo e Arma non convenzionale, quindi “Detective Stone” non poteva certo essere da meno!

Da “Detective Stone” in poi, Rutger ha accettato piccoli e grandi ruoli in film che andavano da Nolan a Dracula 3D (2012), sempre con la stessa professionalità, con l’aria di chi dello Star System non aveva affatto bisogno, perché come Roy Batty ne aveva già viste tante per davvero, in fondo Satana lo aveva già affrontato in questo film, e per usare le parole di Stone, contro uno così: «Comunque Satana è nella merda!».

Rutger punta verso le porte di Tannhäuser (e oltre!)

Rutger Hauer volava oltre le porte di Tannhäuser l’anno scorso, e con questa rubrica congiunta insieme al Zinefilo, speriamo di essere riusciti ad omaggiarlo a dovere. La grande lezione che ci ha lasciato Hauer è stata quella di affrontare tutti i film con la stessa professionalità e leggerezza, quindi non stupitevi se lo vedrete tornare a trovarci, per fortuna potremmo sempre ritrovarlo nei film, inoltre sarà sempre uno dei preferiti di questa Bara Volante, se non aveva nessuna paura lui di affrontare a testa alta il cinema di serie A e di serie Z, secondo voi noi possiamo essere da meno?

Tot ziens Rutger! Ed ora tutti a leggere il Zinefilo, forza via, veloci!

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