Anche quest’anno con la sesta edizione dell’iniziativa Cassidy cover your favorites mi avete ricoperto di titoli, quindi ne approfitto per ringraziarvi ancora per il vostro entusiasmo.
Trasformarmi in un Juke Box umanoide mi lascia sempre addosso il dispiacere di non poter accontentare tutte le richieste, quindi come sapete, quest’anno ho scelto più titoli per l’iniziativa dal logo blu, il secondo per il 2023 è questa commedia dall’anima Rock, che è un piccolo e quasi dimenticato gioiellino scelto da Jena Pistol, quindi grazie!
Adam Rifkin è un nome che potrebbe non farvi suonare alcun campanello in testa, sceneggiatore di un sacco di roba tra cinema e piccolo schermo e regista di ancora meno, per fortuna attorno al 1999 Rifkin si è fatto possedere dal sacro fuoco del Rock ‘n’ Roll, mandando a segno questo film di culto, che per mettere in chiaro il fatto che sia frutto di un allineamento di pianeti fortuito ma positivo, è stato sceneggiato da Carl V. Dupré, montatore che al massimo ricorderete per aver scritto uno dei cento seguiti dimenticabili di Hellraiser.
“Detroit Rock City” esce nel 1999, quando la New Line Cinema ancora si barcamenava tra l’essere la casa costruita da Freddy e quella che ospiterà Hobbit e anelli di lì ad una manciata di anni, infatti tra i produttori del film, proprio Gene Simmons, il linguacciato bassista e fondatore del gruppo di New York, che oltre a fornire molte delle “memorabilia” a marchio Kiss che si vedono nel film (provenienti dalla sua collezione privata, storia vera) è sempre stato uno che ha flirtato con il cinema. Cioè, in realtà ha flirtato un po’ con tutte, tutte quelle che non si è portato a letto intendo, però vabbè questo è un altro discorso.
Personalmente io ho sempre amato la musica dei Kiss, ci ho messo una vita per vederli dal vivo ma ancora oggi, lo considero uno dei concerti più divertenti a cui abbia partecipato. Il gruppo di New York ha saputo imprimersi a fuoco nella cultura popolare, a partire da quel loro stile da personaggi dei fumetti, capace di generare un culto e un vero e proprio esercito di fan, non uso l’espressione “vero e proprio” (quella che piace tanto ai nostri giornalisti) a caso, visto che il fan club si chiama proprio “Kiss Army”.
Sul film la New Line Cinema investe due spicci, ci crede tanto da mettere sul tavolo diciassette milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, al botteghino però la pellicola va male, incassa meno del controverso Music from “The Elder”, troppo avanti o troppo indietro per i suoi tempi? Forse l’ambientazione anni ’70 deve aver spaventato qualcuno o forse semplicemente si è sopravvalutata la popolarità del gruppo, che però proprio in quel periodo aveva sfornato uno dei suoi dischi più memorabili. Un peccato perché oggi che il cinema e le serie tv vive di retromania, un’operazione come questa farebbe furore. D’altra parte sono diventati tutti fan dei Metallica dopo Stranger Things, quindi perché non i Kiss?
Sta di fatto che il vero super potere di “Detroit Rock City” è il suo essere come un pezzo Rock, ha un ritmo indiavolato che non molla nemmeno per un secondo, dura 95 minuti, percepiti meno della metà, perché inizia a cannone, continua a tavoletta e finisce a bomba a partire dal prologo, i famigerati cinque minuti iniziali che determinano tutto l’andamento.
La signora Bruce si versa un bicchiere di rosso e mette il vinile dei “The Carpenters”, un po’ di meritato relax per la madre di Jeremiah “Jam” Bruce (Sam Huntington) Geremia secondo il doppiaggio italiano e anche per questo, se vi capita, guardatelo in originale. Mammà Bruce ha il volto della futura “Scream Queen” Lin Shaye, sorella del produttore in capo alla New Line e per questo sempre nella zona delle operazioni, per altro dopo Kingpin, qui sforna il suo secondo ruolo più spaventoso di sempre, una sorta di “Signora Lovejoy” che odia la musica di Satana e con orrore scopre che qualcuno ha infilato “Love Gun” dentro alla copertina del suo disco preferito e viene tramortita dal muro di suono di quella bomba di I stole your love.
A tre isolati di distanza, Geremia Jeremiah sta suonando… oddio suonando, sta facendo casino con la sua cover band, i Mistery, con la “S” presa in prestito da quella doppia del logo Kiss che tanto ha fatto discutere negli anni. Il gruppo completato da Lex (Giuseppe Andrews) e Trip (James DeBello) che si chiama così perché la mamma lo ha concepito sotto mescalina, tutti capitanati da un cantante con le crisi di panico quando si esibisce in pubblico, Hawk e tenetevi forte, perché abbiamo la seconda o terza migliore prova di Edward Furlong prima di perdersi, probabilmente con le sostanze amate dalla mamma di Trip.
La signora Bruce cala come una furia sulla sala prove improvvisata, getta il vinile di “Love gun” nel bidone e Adam Rifkin lo inquadra mentre questo inizia a girare mettendo in moto dei titoli di coda ultra colorati, che riassumono alla grande l’impatto avuto dai Kiss sulla cultura popolare. Siamo a cinque minuti dall’inizio del film e il ritmo la fa già da padrone, da qui in poi la storia può iniziare sul serio.
Un appassionato di musica lo sa, che l’attesa per un concerto rappresenta un terzo del divertimento, l’accaparrarsi i biglietti è una guerra e poterli rimirare in attesa del giorno fatidico, una sorta di coperta di Linus. “Detroit Rock City” lo sa benissimo e gioca su questa ansia, condita dal sollievo di sapere SEMPRE dove si trovano gli amati pezzetini di carta con sopra il logo del gruppo del cuore, infatti la trama mentre presenta tutti i personaggi e le loro giornate passate a scuola, ci ricorda che se mai la signora Bruce mettesse le sue manacce sui quei biglietti, sarebbe la fine, per la donna i KISS sono i cavalieri al servizio di Satana (frase che in italiano ha poco senso, ribadisco, guardatelo in lingua originale) quindi i quattro protagonisti devono proteggerli dalla madre di Jeremiah barcamenandosi tra le giornate a scuola, spesso passate a scappare dal guardiano soprannominato Elvis, per via delle basette.
I quattro sono talmente ossessionati dai Kiss che Jeremiah quasi nemmeno si accorge che Beth (nome NON scelto a caso) gli muore dietro, per altro ad interpretarla è Melanie Lynskey che qui deve aver temporaneamente archiviato la sua cotta storica per Kate Winslet.
Grazie ad un ritmo altissimo, succede di tutto nel breve arco di ore che precede la partenza del gruppetto di protagonisti alla volta di Detroit (ovviamente…) dove si svolgerà il più grosso concerto della storia della galassia, tutto sesso e Rock ‘n’ Roll, donne sexy, gente che si passa le canne in pubblico, una roba che nella testa dei ragazzi è già leggenda prima ancora di andare in scena. Sfiga! La signora Bruce mette le mani sui biglietti e li brucia… li BRUCIA! Non è che li getta o lo strappa, gli dà proprio fuoco, una roba da crepacuore assoluto.
Qui invece di rallentare il film accelera, perché non solo bisogna salvare Jam dalla scuola cattolica dove lo ha spedito la madre, ma bisogna inventarsi qualcosa, per nessuna ragione al mondo si può perdere il concerto, quindi un concorso radiofonico che mette in palio quattro biglietti, perfetti per sostituire quelli perduti è l’occasione che viene servita ai ragazzi su un piatto d’argento. Adam Rifkin non perde occasione per condire il film di trovate da cartone animato molto riuscite, come la lampadina che si accende (letteralmente) sulla testa di Edward Furlong quando trova un modo per evadere dalla sala delle punizioni in cui sono finiti. Che tra l’altro è solo il primo dei “crimini” più o meno gravi di cui i quattro si macchiano pur di partecipare al concerto.
Ad esempio prendere in “prestito” l’auto Svedese di una delle loro madri, oppure drogare il prete della scuola cattolica, sono tutti giochi che valgono la candela, quindi il secondo atto di “Detroit Rock City” diventa un film “On the road” come dicono i nostri cugini dall’altra parte della grande pozzanghera nota come oceano Atlantico, sempre senza mollare mai sul ritmo o sulle posizioni “estreme” dei quattro fanatici protagonisti, che mal sopportano gli stramaledetti “discomani”.
Infatti per strada si imbattono in un paio di impomatati imitatori di Tony Manero con cui inevitabilmente finiranno per attaccarsi, anche se dall’auto dei fanatici della febbre del sabato sera, spunta Christine (nome NON scelto a caso, secondo estratto) interpretata da Natasha Lyonne ben prima di finire nel carcere di Litchfield. Ed è grazie alla sua criniera di capelli che va in scena la battuta chiudi sipario che ha sparato “Detroit Rock City” lassù tra i miei titoli di culto, quando i protagonisti discutono se darle un passaggio: «Una teenager che cammina da sola a bordo strada, ci sono un sacco di film dell’orrore che iniziano così», «Si, ma anche un sacco di film porno!». Per me il post sarebbe anche finito qui, perché “Detroit Rock City” è giù leggenda, però se vi interessa, dopo questo, il film migliora ancora.
Anche perché la battuta successiva quella sugli occhi che dicono Rock ‘n’ Roll e la fibbia della cintura, per me è altrettanto notevole, così come la reazione dei ragazzi, quando Christine (profetica) dichiara che chissà, magari un giorno i Kiss faranno un pezzo disco. Ma quando mai, figurati!
Con l’arrivo nella città dei motori, resa una polveriera a cielo aperto per l’imminente esibizione del gruppo più bollente del mondo, succede di tutto, a partire dalla macchina di mammà scomparsa («Siamo a Detroit credi che il comune spenderà soldi per una macchina svedese?») fino alla sorpresa su un altro quartetto di biglietti per il concerto andati fumati. In pratica il palazzetto è mezzo vuoto, perché metà dei biglietti li hanno sprecati tutti i protagonisti. Ma da qui “Detroit Rock City” diventa quattro film in uno, tutti dal ritmo indiavolato e raccontati quasi in tempo reale, visto che i protagonisti, ognuno per sé e Ronnie James Dio per tutti, hanno circa venti minuti per trovarsi un biglietto per entrare.
Ognuno tenta la sua strada, Edward Furlong cerca di guadagnarsi i soldi per il bagarino esibendosi in una gara di spogliarelli, per altro presentata da Ron Jeremy, uno famoso per un altro tipo di film. Altri tenteranno di rubarli ai ragazzini, finendo nelle grinfie di un enorme fratello maggiore, insomma quattro film in uno, tutti con una colonna sonora composta da pezzi Rock ottimi e selezionati alla perfezione, in una corsa contro il tempo micidiale.
Anche perché oltre a Thin Lizzy e Cheap Trick, il film in un momento di comico dramma si gioca il secondo miglior utilizzo dei Carmina Burana mai sentito al cinema (nel caso vi foste dimenticati del primo, eccolo), per un film ad incastro, in cui tutti gli elementi trovano un loro posto, che siano personaggi secondari o giocattoli nella linea Mister Muscolo. Carl V. Dupré ha scritto una commedia in cui davvero tutto gira nel modo giusto, a differenza del resto della sua carriera.
“Detroit Rock City” è un romanzo di formazione di 95 minuti di cui nemmeno uno di pausa, lo ribadisco, nemmeno uno. Di fatto è un enorme fantasia adolescenziale, un trionfo senza alcuna conseguenza per questa notte brava, perché le conseguenze sono roba a cui pensano solo gli adulti o quei fighetti dei discomani, quindi è normale che alla fine di questa fantasia Rock ‘n’ Roll di 95 minuti, ci debba essere come premio per la crescita personale di questi quattro scapestrati, un biglietto a testa donato dal Karma o dagli Dèi del Rock e ovviamente una ragazza a testa, altrimenti non potrebbe essere fantasia adolescenziale degna di questo nome.
In tutto questo i Kiss sono una presenza che aleggia, i quattro-che-sono-uno alla fine nel film nemmeno compaiono, se non in immagini di repertorio, eppure occupano la scena In absentia, evocati dalle proteste della lega delle madri preoccupate, che cavalcano le assurde accuse di nazismo per il gruppo, per via delle loro satiriche “SS” nel logo, una leggenda urbana che ci ricorda che il mondo è pieno di signore Lovejoy, anche perché i due membri fondatori del gruppo Gene Simmons e Paul Stanley sono ebrei, anche perché è difficile trovare due nomi più ebrei di così, essù!
Se non avete mai ascoltato i Kiss in vita vostra, questo film è un ottimo modo per fare la loro conoscenza abbracciando la mistica di un gruppo che da decenni è parte della cultura popolare, se invece li amate, di sicuro lo conoscete già a memoria, quindi la battuta: «Tu e quale esercito?», «L’esercito dei Kiss!» (per l’ultima volta, guardatelo in originale) voi non l’avete vista, l’avete vissuta. Considerando poi che la Bara Volante è il blog più bollente del web, un posto per tutti quelli che amano la roba a volume alto, questo film non poteva proprio mancare su queste pagine, quindi per oggi è tutto, vi lascio con un po’ di musica.
Sepolto in precedenza martedì 7 marzo 2023
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