Ho sempre una grande ammirazione per quegli illuminati che riescono a guardare tutti i film di Star Wars che non siano LA TRILOGIA, a cuore leggero, come se fossero grasso che cola rispetto agli unici film che contano. Si potrebbe dire lo stesso della saga di Die Hard, che da queste parti è protagonista della rubrica… MUORI DURO!
Quando penso a “Die Hard – Vivere o morire” (Die Hard 4.0 per i mercati europei), mi viene subito in mente un nome: Britney Spears!
No, giuro, non ho fumato ne bevuto nulla, semplicemente mi ricordo benissimo quando da qualche parte su Internet, nei primi anni 2000, poteva essere intorno al 2003 circa, quando mi ritrovai a leggere un articolo che dichiarava che Britney Spears era stata presa in considerazione per interpretare la figlia di John McClane nel nuovo Die Hard. Il fatto che ogni volta che penso a questo film, mi venga in mente la famosa pop star, dovrebbe già farvi capire che razza di trauma ho subito.
Io che sono venuto su con dei gusti musicali degni del John McClane di questo film e, in senso più ampio, guardando a ripetizione proprio i primi tre film con lo stropicciato poliziotto, non potevo proprio pensare che la piccola Lucy McClane, quella che nel primo film rispondeva al telefono dicendo “Pronto casa McClane, parla Lucy McClane”, sia diventata Britney Spears, dai su, di cosa stiamo parlando!
Non so bene come si sia archiviata la faccenda, nella mia testa, qualcuno ha passato sotto banco ai produttori di Die Hard, una copia di “Crossroads – Le strade della vita” per farli tornare alla (triste) realtà, quello che so di sicuro è che per la parte della cresciuta Lucy, è stata contattata anche Jessica Simpson (!) e per un po’, abbiamo rischiato di vedere il figlio di McClane già in questo film, interpretato da Justin Timberlake (storia vera, purtroppo storia vera!)
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«Mi serve subito un test del DNA, sono circondato da figli illegittimi» |
Per nostra fortuna, l’idea di cavalcare pop star famose è stata archiviata. Cos’è che piace ai giovani del 2007? I computer, i giovani passano il loro tempo a schiacciare pulsanti, quindi la svolta della trama è arrivata dall’articolo Addio alle armi di John Carlin, pubblicato su Wired nel 1997, che analizzava i rischi di un attacco Cyber terroristico agli Stati Uniti, insomma: fuori i cantanti dentro i nerd, dai che ci siamo!
Ma nel 2007 i gusti del pubblico si sono già spostati verso altre direzioni, quell’anno lì usciva il terzo Spider-Man di Sam Raimi, io avevo 23 anni, non proprio un pischello, ovviamente, andai a vedere il film in sala appena uscì, ricordo solo la sensazione di generale esagerazione ed un solo brivido, regalato dall’ultimo “Yippie Ki Yay” (con parolaccia sfumata…) nel finale, forse una delle poche cose davvero alla McClane di tutto il film, o forse perché al cuore non si comanda.
Per Star Wars non ci sono mai riuscito a prendere a cuore leggero i film che ruotano intorno all’originale Trilogia, mentre per Die Hard, malgrado il mio enorme coinvolgimento emotivo, ho sempre faticato a sentire davvero miei gli ultimi due capitoli, non è il cambio di “pettinatura” di Bruce Willis ad avermi turbato, quanto il palese fatto che questo “Live Free or Die Hard” non era roba per noi che eravamo cresciuti facendo il tifo per McClane, credo che mi basti aggiungere che ho rivisto il film per la seconda volta nella vita mia, solo qualche giorno fa in vista di questa rubrica, non serve aggiungere altro, vero?
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«Guarda cosa mi tocca fare, anche recitare con Boba Fett» |
“Live Free or Die Hard”, con il suo gioco di parole ammazzato dall’anonimo titolo italiano, è chiaramente un piano studiato a tavolino per presentare il personaggio del celebre poliziotto indolente con il mal di testa ad una generazione che non ha passato i pomeriggi ripetendo a memoria le battute di Trappola di cristallo e di 58 Minuti per morire. Ognuno dei sequel del primo film di McTiernan, non ha fatto altro che seguire o modificare la struttura creata da quel capolavoro, in un certo senso “Die Hard 4” fa la stessa cosa, il terzo capitolo ha alzato la posta in gioco (e il livello di spettacolarità) a livelli tutt’ora ineguagliati, per stare al passo era necessario fare di più dal punto di vista della caciara, eppure, non sono le esplosioni o le trovate più o meno credibili la vera cifra stilistica di questa saga, l’unico filo conduttore era davvero solo uno: l’umanità di John McClane.
Uno che per sfiga si trova sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma che resiste vendendo cara la pelle, arrangiandosi con quello che ha, sempre con un ghigno sulla faccia, una battutaccia sprezzante e un vaffanculo dentro il cuore. Un’icona di resistenza cinematografica, che soffre, si fa male e non molla, ma sempre e comunque un umano.
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«Non mi starai diventando sentimentale vero Cass?» |
Il John McClane di questo film, non fuma (ma quello al cinema non lo fa più nessuno), non impreca e deve sottostare al maledetto PG-13, vuoi mica che il pubblico che dobbiamo conquistarci resti fuori dalle sale cinematografiche per qualche parolaccia? E non venitemi a parlare della versione “Director’s cut” di questo film, che tanto è una poverata che aggiunge quattro schizzi di sangue (in CGI) a casaccio, ma, di fatto, è lo stesso identico film. I terroristi questa volta sono informatizzati, attaccano gli Stati Uniti bloccando trasporti, comunicazioni e rifornimenti energetici attraverso attacchi mirati gestiti da alcuni inconsapevoli Hacker che dopo essere stati sfruttati, muoiono malamente per il C4 installato nei loro computer, verrebbe già da chiedersi come abbiano fatto a minare i computer dei Nerd, ma con la logica di questo film è meglio non farsi troppe domande.
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Everybody’s gone surfin’ surfin’ U.S.A |
Al nostro John viene affidato il compito di rintracciare e scortare fino agli uffici dell’FBI, l’ultimo hacker sulla lista Matthew Farrell (Justin Long) e, esattamente come nel film precedente, dovrà collaborare con un civile per impedire il disastro totale e fermare i cattivi, ma allo stesso tempo, per essere allineati anche ai primi due capitoli, John dovrà salvare sua figlia Lucy, presa in ostaggio dai cyber terroristi.
La 20th Century Fox ci crede forte a questo film, basta guardare le facce che popolano la pellicola per capirlo: il Thomas Gabriel ha il faccione di Timothy Olyphant, il buon Timoteo Olifante fa davvero il suo dovere, ma il capo dei terroristi di questo film non allaccia nemmeno le scarpe ai precedenti cattivi della serie, risulta più isterico del Colonnello Stuart e nel confronto diretti con i fratelli Gruber, lasciamo proprio perdere, loro sono un altro campionato, anzi un altro sport. Non aiuta nemmeno il fatto che possa far accadere cose (qualunque tipo di cose) semplicemente premendo tasti della sua tastiera, lui, un tasto e cambia la direzione del traffico della auto di Washington, io, venti minuti per fare un bonifico sul sito della mia banca. Ah, il fantastico mondo dei computer secondo Hollywood, quante gioie mi regala!

Fibra all through the night, You give me Fibra
Il classico sgherro silenzioso e difficilissimo da uccidere che eredita lo scettro del biondone del primo film per capirci, qui è la guardabile Maggie Q, che ha tutto, tranne l’aria minacciosa da sgherro e, malgrado il suo scalciare, non sembra poi tutta ‘sta minaccia, anche se grazie a lei McClane snocciola una delle poche battute memorabili del film: “Ora basta con questo cazzo di Kung Fu!”
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«Ok scusa non lo dico più che la Nikita di Besson era meglio della tua!» |
Dopo aver messo da parte la (strampalata) idea di avere Britney Spears, il direttore del casting del film ha la lungimiranza di chiamare Mary Elizabeth Winstead che allora era poco famosa, ma oggi è una delle attrici della sua generazione migliori in circolazione, basta guardare i suoi ultimi film, o la serie tv BrainDead.
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Considerando che papà ha la faccia da Bulldog, è venuta fuori carina dai. |
I problemi veri arrivano con la spalla comica del protagonista, il nerd da salvare Matthew Farrell è un personaggio in odore di cliché, che ha l’infame compito di rappresentare i GGGGgiovani (con i blue jeans) del 2007, solo che ogni volta che apre bocca, viene voglia che John lo consegni ai terroristi, cosa che, per altro, è anche al centro di una delle battute del film, Justin Long fa anche un lavoro decente, ma la sensazione è la stessa: rivoglio Zeus! Ridatemi subito Zeus!
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“Sam? Sono Bruce, non è che hai voglia di venir giù a sostituire ‘sto coso che mi hanno appioppato?” |
Tutti i battibecchi con McClane sottolineano la differenza di età tra i due, sorvolo sulla collezione di Action Figure (“Pupazzetti” come li chiama John) del personaggio e vado direttamente al dialogo chiave. McClane in auto alza il volume quando alla radio passano la fantastica “Fortunate Son” dei Creedence Clearwater Revival, Farrell si guadagna il mio eterno disprezzo, dichiarando che i Creedence gli fanno schifo (i terroristi John, consegnalo a loro!), dopodiché per sottolineare il fatto che McClane è vecchio inizia a snocciolargli nomi di gruppi a sua detta moderni che, invece, sono di suo gradimento, tra i quali cita i Pearl Jam.
Ora, io posso credere a tutto, posso credere che con un PC si possa fare qualunque cosa, posso anche sorvolare sul fatto che un uomo possa abbattere a mani nude un F-35, ma non posso proprio credere che uno che ascolta i Pearl Jam gli facciano schifo di Creedence! No, questo no, questa è fantascienza!
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Comunque più credibile del fatto che a qualcuno non piacciano i Creedence. |
Per dirvi del budget del film, a ricoprire il ruolo del super nerd del New Jersey Warlock, hanno chiamato il più grosso nerd del New Jersey ovvero Kevin Smith, che ha riscritto di suo pugno le battute delle scena in cui compare, giusto per buttarci dentro quanti più riferimenti a Star Wars possibili (storia vera!).
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«Dai si vede che è finto, potevano almeno aggiungere i capelli a Bruce Willis in post produzione» |
Proprio perché la Fox crede ancora nel progetto lo fa uscire nell’estate del 2007 e affida il tutto a quella signorinella di Len Wiseman, il regista celebre per la saga di Underworld e per il pessimo remake di “Atto di Forza“ (quello NON ambientato su Marte e non fatemi dire altro). Non dico che il ragazzo non abbia talento, semplicemente penso che sia bravissimo a dirigere patinate e innocue baracconate fatte su commissione, infatti “Live Free or Die Hard” partendo dalla sua palette cromatica è totalmente irrealistico e l’ossessione per il massiccio utilizzo di computer grafica non aiuta per nulla.
Tutte le folli azioni di McClane, per quanto esagerate tipo gettarsi da un grattacielo legato ad una manichetta anti-incendio, avevano sempre un realismo di fondo che le rendeva incredibili, ma non impossibili, persino quel tamarro di Renny Harlin ha sempre conservato l’umanità del personaggio e la sua fragilità fisica, Len Wiseman con i suoi movimenti di camera fighetti, toglie realismo anche alle scene già fighe di suo, come la prima sparatoria nell’appartamento di Farrell (“Non si fa casino a quest’ora!”)
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Una perfetta manovra di parcheggio, al tocco. |
Quando, poi, complice una trama in ansia da prestazione (e da esplosione) va di molto oltre le righe, il tutto diventa un tripudio di CGI posticcia, di automobili che carambolano per aria, girano su se stesse sei volte prima di evitare McClane di un soffio e quando John incazzato passa al contro attacco (“Credi che un po’ di traffico e qualche macchina in faccia possano fermarmi?”), l’automobile lanciata contro l’elicottero, avrebbe dovuto essere l’apice caciarone del film, sottolineato dalla solita battutaccia (“Cazzo! Hai abbattuto un elicottero con una macchina!”, “Avevo finito le pallottole”), mentre, invece, arriva prima del fine primo tempo, infatti diventa una gara all’esagerazione.
L’unico contributo di Len Wiseman alla trama è la scena dell’ascensore, pare che il regista abbia letto lo script e abbia chiesto di aggiungere una scena di lotta in ascensore, perché a sua detta “Non è Die Hard senza un’ascensore”, il che è anche vero, peccato che proprio qui il John McClane di questo film, sembri solo un lontano parente di quello dei precedenti tre film, invece di neutralizzare con un’astuzia la minaccia, noncurante del pericolo fa una corsa agli armamenti e schianta un SUV contro Maggie Q dritto nella tromba delle scale.
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Una risposta complicata ad un problema semplice. |
Ovviamente, l’apice di questo McClane infrangibile e prosegue incurante delle ferite riportate (“Altro che dottore, qui ci vuole la polizia”) è proprio lo scontro con l’F-35, sulla credibilità della coreografia preferisco fare come il jet e sorvolare, dico solo che fin dalla prima volta che ho visto il film in sala, la mia reazione alla scena è stata ben riassunta dalla frase di McClane: “Eh, va bene, si va avanti cosi”.
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«Die Hard 4 qual è?» , «Quello con l’aereo abbattuto a mani nude» (la mia risposta dal 2007) |
La trama è piena di svarioni più o meno grossi, quasi sempre ogni svolta viene gestita con un “Mambo Jumbo” informatico, sono hacker, no? Quindi, possono fare tutto, anche mettere in comunicazione una radio ad onde corte di un camion, con il direttore dell’FBI (!), ma la mia menata preferita è quando John e Matthew hanno bisogno di spostarsi in fretta dal luogo in cui si trovano e, quindi, lo sceneggiatore s’inventa che McClane ora sia anche un pilota di elicotteri, dopo aver preso delle lezioni per combattere la sua ormai storica paura di volare, cosa che potrebbe avere anche senso, se la trovata dell’elicottero non fosse una deus ex machina grossolano.
In generale, “Live Free or Die Hard” è un film godibile malgrado la sceneggiatura bucherellata, non dico che sia orrendo, ma guardandolo sembra di vedere un film di un’altra saga, in cui per caso compare un personaggio di nome John McClane, le trovate da super eroe messe lì per fare colpo sui ragazzini dell’anno 2007 mi annoiano presto, non servono nemmeno le svariate strizzate d’occhio a noi vecchi fan per convincermi, la battuta sull’agente dell’FBI Johnson, o la figlia che si fa chiamare Gennaro e non McClane come sua madre, poca roba davvero.
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«Ma è Gennaro o Gennero? E’ dal 1988 che me lo chiedo» |
Per assurdo, proprio il personaggio della figlia funziona, specialmente quando conta il numero di terroristi rimasti e comunica il numero al padre, prontissima a reagire, come se avesse passato l’infanzia a sentire di come papà sia uscito vivo dal palazzo della Nakatomi, quel Natale in cui lei e sue fratello erano piccoli. Ma quello che funziona meglio è proprio Bruce Willis che, di certo, non è venuto giù per fare da tappezzeria.
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John, alla fine tocca sempre a te il lavoro sporco. |
La trama non sfrutta al massimo il concetto di “Sveglia analogica in un mondo digitale” come lo definisce Gabriel, Willis, invece, ci crede forte, si vede che si diverte ancora ad interpretare il suo personaggio più famoso e ci mette la “cazzimma” giusta, per altro, il doppiaggio italiano aiuta, alcune battute risultano ringhiate e altre pronunciate con ilare sprezzo del pericolo (“Hai visto che volo?”, “L’ho lanciato io!”), peccato che dopo le esagerazioni da super eroe di questo film, sia finito a fare cose godibili, ma innocue come “Red” o “G.I.Joe” o peggio delle specie di auto parodie tipo l’inguardabile “Cop Out” guarda caso diretto proprio da Kevin Smith, il che è assurdo perché di tutti gli eroi dell’azione con cui siamo cresciuti, era quello con più registri attoriali, dal comico al drammatico.
Insomma, questo “Die Hard 4” può anche essere godibile grazie allo sforzo produttivo della Fox e al carisma di Bruce Willis, ma semplicemente non è un film per chi, come me, è cresciuto con quel McClane scalzo, ferito e con la sigaretta appesa ad un labbro. Grazie, mi sono divertito, ma mi tengo i miei Pearl Jam, i miei Creedence e soprattutto il MIO John McClane, ditemi pure che sono una sveglia analogica in un mondo digitale. It ain’t me, it ain’t me, I ain’t no fortunate one, no.