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Doctor Who – 11×02 – The Ghost Monument: alla ricerca del TARDIS

Tra tutte le novità di questa undicesima stagione di “Doctor
Who”, il cambio di orario di messa in onda su BBC One è quella di cui sto
risentendo di più. Questa serie era il mio appuntamento domenicale, che ho
dovuto far stillare a lunedì, beh meglio così, almeno il lunedì finalmente ha
una ragione di esistere!


Come scrivevo riguardo al primo episodio della stagione, apprezzo l’intenzione dello
showrunner Chris Chibnall, di allargare il respiro degli episodi oltre il
limite della singola puntata, infatti con il ritorno della storica sigla della
serie, composta da Segun Akinola, viene quasi da pensare che The Woman who fell to earth, fosse solo
un lungo “Cold Open” per questo episodio, che inizia un minuto dopo la fine del
precedente. Quando parlo di storica sigla, intendo proprio che ho apprezzato la
scelta di recuperare l’atmosfera della storica sigla di “Doctor Who”, declinata
in una versione forse anche più oscura che mi piace molto, ricorda ancora di
più “One of these days” dei Pink Floyd, a cui è stata sempre in qualche modo
legata, e onestamente, ogni cosa che tira in ballo i Pink Floyd è buona e
giusta!

Doctor & Soci, vengono pescati al volo da un’astronave
di passaggio, a ben pensarci un inizio che ricorda l’inizio della “Guida
galattica per autostoppisti” di Douglas Adams (a proposito di connessioni con
la serie classica di Doctor Who).
Doctor e Yaz sembra che si trovino sulla prua della nave, mentre Graham e Ryan
apparentemente dovrebbero trovarsi a poppa (andranno bene i termini marinari
anche per le navi spaziali? Bah chi lo sa!). Ma in realtà è un trucchetto, i
quattro sono stati pescati al volo da due navi dirette nello stesso posto, un
pianeta deserto che giustamente di chiama “Desolation” (logico no?), dove sono
destinati a schiantarsi. Ed ora, a costo di passar per impopolare lo devo dire,
non trovo carino che la nuova Doctor, nel giro di due puntate, si sia già
schiantata al suolo due volte, vogliamo finirla con questo pregiudizio sulle
donne che non sanno guidare? Le donne guidano benissimo, sicuramente meglio di
che so… Me! (che noia guidare), quindi vediamo di uscire da questo stallo ok?
Abbiamo già un milione di “Haters” dietro l’angolo che aspettano solo spunti
come questo.

Il Jabba the Hutt di Desolation.

Parliamoci chiaramente, “The Ghost Monument” non verrà
ricordato tra gli episodi più clamorosi della storia di “Doctor Who”, l’idea è
quella di portare i nuovi compagni di viaggio del Doctor sul loro primo pianeta
alieno («Welcome to what I presume is your first alien planet. Don’t touch
anything!»), l’episodio in se serve per far tornare in scena il TARDIS, ancora
latitante in questa undicesima stagione, e per fortuna il non-mistero legato al
“Ghost Monument” da raggiungere, non viene tirato troppo per le lunghe, fino a
trasformarsi in un non-colpo di scene (sto in fissa con le parole con il
trattino oggi), in realtà si tratta proprio del TARDIS, quindi l’obbiettivo
dell’episodio, dei suoi protagonisti e di noi spettatore e di ricongiungersi
tutti con la mitica cabina del telefono blu, poche balle, non stiamo a
raccontarcela.

“Questo sarebbe un pianeta alieno? M’immaginavo tutta un’altra cosa”.

In questo “Desolation” (ben interpretato dal Sud Africa,
meta molto quotata ultimamente per le produzioni che vogliono contenere i
costi) serve a fare da sfondo ad una specie di Parigi-Dakar cosmica come la
definisce Thirteen, una gara ad eliminazione in cui il vincitore può lasciare
il pianeta vivo e ricco. In generale sembra che l’intenzione di Chris Chibnall
sia quella di recuperare le trame più semplici dell’era Russell T. Davies, ma
con i mezzi economici di cui poteva disporre Steven Moffat, e sui richiami a
Davies, tenetemi l’icona aperta che più avanti ci torniamo.

Devo dire che Jodie Whittaker si dimostra giù molto calata
nel ruolo, e posso dirlo, non era un caso, anche in questo episodio il suo
scandire bene le parole (anche se con forte accento dello Yorkshire) fa di lei
il primo Dottore da tempo, che non parla a mitraglietta, novità molto gradita!
Ma anche se parla più lentamente, a Thirteen non manca la battuta pronta,
quella sugli occhiali da sole di Audrey Hepburn (o di Pitagora ubriaco) non è
niente male, purtroppo va un po’ meno bene con i suoi compagni di viaggio.
Fuori dal loro territorio (il pianeta Terra), i personaggi
diventano tutti piuttosto anonimi, nonno Graham ha dei momenti solo quando
cerca di farsi chiamare “Nonno” dal nipote adottivo Ryan, mentre Yaz fa ancora
più da tappezzeria, di lei sappiamo che beh, sulla Terra aveva una normalissima
famiglia (di rompiballe, come voi e me) che non dovrebbe dare per scontata,
tutto qui.

“Tutto questo casino per una cabina del telefono, non le hanno detto che esistono i cellulari?”.

Va un pochino meglio con Ryan, anche se il suo problema di
coordinazione motoria sembra accendersi e spegnersi come le lucine dell’albero
di Natale, le tante scale e scalette da salire per raggiungere l’altra
estremità del pianeta lo mettono in difficoltà, ma per sparare ai Robot di
guardia usando un fucile laser, non dimostra nessuna difficoltà, anche se
stando alle sue parole, le ore di allenamento a “Call of Duty” devono essergli
tornate molto utili!

Se non altro l’occasione è ottima per Thirteen di ribadire
il punto forte del personaggio, ben riassunto nel suo «Brains beat bullets
every time» che mi rende sempre più simpatica la nuova Doctor e il suo fighissimo
cappotto.

Dite che lo fanno anche da uomo quel cappotto?

Bisogna dire però che la gestione del ritmo non sembra
ancora l’asso nella manica di questa undicesima stagione, alcuni dialoghi
allungano il brodo, altro lo allungano ancora di più, e verso la metà della
puntata lo ammetto, ho guardato un paio di volte l’orologio, e se The Woman who fell to earth, aveva dalla
sua la durata extra di un’ora, i 45 minuti di “The Ghost Monument” non hanno
troppe scusanti, ora passiamo ai lati decisamente positivi!

Senza risultare troppo invasiva, in questo episodio fa
capolino una trama orizzontale che pare destinata a tenere banco a lungo e per
di più, sembra anche piuttosto sfiziosa, “Desolation” è la prova di quello che
gli alieni noti come Stenza (il tizio dentuto della scorsa puntata) sono in grado di fare, tanto potenti da poter polverizzare un
pianeta senza troppe difficoltà, inoltre chi o cosa è il “Timeless Child” che
quella specie di pergamena animata assassina annuncia a Thirteen? Un mistero
che pare arrivare dal passato remoto del Doctor e che sarà tutto da scoprire,
mentre gli effetti combinati di un sigaro della vittoria che si accende con uno
schiocco di dita (classico caso di “Pistola di Cechov” applicato ad una
sceneggiatura) e dell’acetilene sono facili da intuire ed efficaci nel risultato.

La coppia finalmente riunita!

Ma come detto, il cuore di “The Ghost Monument” è proprio il
ritorno del TARDIS, con cui Thirteen ha un rapporto molto più femminile («Come
to daddy» presto corretto in «Come to mommy») che sembra molto interessante
anche per gli sviluppi futuri, e siccome vi ero debitore di un’icona lasciata
aperta, fatemela chiudere.

L’aspetto del nuovo TARDIS non è affatto male, lo spazio
prima della cabina di pilotaggio accentua il concetto di “It’s bigger on the inside”
(tormentone che Chris Chibnall evita, bravo), ma a ben guardarlo sia per colori
che per struttura mi ricorda molto quello usato da David TENnant, quindi i
punti di contatto con l’era Russell T. Davies iniziano a diventare parecchi.

“It’s bigger on th… Oh al diavolo, questa è vecchia l’hanno detta tutti”.

Insomma “The Ghost Monument” è un altro buon episodio con
ampi margini di miglioramento in proiezione futura, prossima avventura? Un’altra
tappa obbligata per i nuovi compagni di viaggio del Doctor, un salto indietro
nel tempo per incontrare una “Celebrità” del passato, stiamo per fare la
conoscenza di Rosa Parks e francamente non vedo l’ora!

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