Il concetto di MacGuffin è stato reso celeberrimo da Alfred Hitchcock, un espediente narrativo necessario a mettere in moto la trama, spesso riassunto da una valigetta, come nel caso di “Un bacio e una pistola” (1955) di Robert Aldrich, la cui valigetta con il suo “luminoso” contenuto, è stato omaggiata da Repo man e da Pulp Fiction. Perché la tirata d’apertura da gran professorone che non sono? Mi serve per introdurre a dovere lo speciale di Natale di “Doctor Who” di quest’anno.
Considerando le brutte notizie relative alla serie, a mio avviso enfatizzate dai media visto che la nuova stagione (numero due stando alla rigenerata numerazione) è già stata annunciata, Disney+ sgancia sulla sua piattaforma lo speciale di “Doctor Who” che per questo Natale, ha visto il ritorno alla sceneggiatura di Steven Moffat, insomma come ai vecchi tempi della gestione Russell T Davies, in cui il Moffa (in amicizia) contribuiva con episodi, spesso molto riusciti.
Il Dottore di Ncuti Gatwa opta per una deviazione in un hotel, ufficialmente per godersi solo il latte fresco (pare che il Tardis abbia tutto, tranne che un frigorifero) ma la struttura si rivelerà presto essere molto di più, l’hotel del tempo offre stanze a tema che sono portali per vari momenti della Storia, anche se la porta tonda tipo casa degli Hobbit mi sembrava più una strizzata d’occhio.
Ad attirare l’attenzione del Dottore proprio una valigetta, chi si trova ammanettato ad essa, ripete meccanicamente la frase «Il seme stellare sboccerà e la carne si inalzerà», che è quello che succederà prima al direttore d’albergo, un fiero Siluriano, e poi alla Joy del titolo, interpretata da Nicola Coughlan, che dalla regia mi suggeriscono essere famosa per “Bridgerton”, non lo so, quando la Wing-woman ha provato a farmi vedere due episodi sono sprofondato in fase REM, che non è quella in cui si cantano pezzi di Michael Stipe (storia vera).
Joy si è presa una stanza per passare il Natale, ma chi passa il Natale in solitudine in un hotel? Steve Moffat applica il suo solito stile, un inizio in corsa, tra esploratori sull’Himalaya, solitarie viaggiatrici sull’Oriental Express e l’Inghilterra sotto i bombardamenti Nazisti, complicato? Tranquilli, più avanti l’assunto si complicherà.
Steven Moffat mette su una trama di corsa corsa corsa, per un personaggio, quello del Dottore che come molti di noi a Dicembre, ha bisogno di tirare il fiato, prendersi del tempo e assimilare la perdita di Ruby. Ad esempio, per risolvere un codice a quattro cifre, Moffat si gioca un paradosso temporale che fa un giro molto lungo, quello con cui introduce la “seconda sedia” del Dottore, ovvero il personaggio di Anita impersonata da Stephanie de Whalley, che restando in scena quindici minuti, mette su più chimica con Ncuti Gatwa di quanto non abbia mai fatto Millie Gibson, almeno fino ad ora.
Il personaggio di Anita fa il vuoto tanto da oscurare anche la Joy di Nicola Coughlan, che per diventare un personaggio a cui affezionarci, ha bisogno di più tempo, forse perché molti minuti vengono dedicati da Moffat ad altro, tipo a trovare il modo di infilare un Tyrannosaurus Rex nello speciale di Natale. Non sentirete mai da me lamentele, i dinosauri rendono tutto più figo!
Per dare spessore a Joy, Moffat si gioca i ricordi ancora freschi della pandemia globale, riuscendo ad affastellare uno sull’altro momenti emotivi anche piuttosto riusciti, che confermano la lacrima facile di questa incarnazione del Dottore, per molti una delle tante critiche (…la parola giusta è scuse, per giustificare altro, tipo il razzismo di fin troppi spettatori) alla nuova gestione RTD e alla prova di Ncuti Gatwa, che comunque resta il migliore del lotto, visto che si carica l’episodio sulle spalle senza perdere un colpo.
Il problema di “Joy to the world” è proprio l’uso del MacGuffin, non solo Moffat apre la valigetta e ci mostra il suo contenuto, ma di suo resta un oggetto che serve solo a smuovere gli eventi, quale era lo scopo ultimo del contenuto della valigetta? Diventa chiaro solo nell’ultimo (bellissimo!) minuto dell’episodio, quello che mette in chiaro la natura al 100% natalizia della puntata, però viene da pensare, il risultato sarebbe stato lo stesso con o senza l’intervento del Dottore? Potrebbe essere un altro paradosso, quello di predeterminazione, ma questo non cambia il fatto che il gran finale è una tirata molto evocativa davvero efficace, forse non sarà tutto cartesiano nello sviluppo, ma con Moffat di mezzo quasi non me lo aspetto più, al netto del risultato, un ottimo speciale di Natale.
Non vedo l’ora che arrivi la nuova stagione della serie, fino a questo momento questa gestione Russell T Davies versione 2.0 risulta un gran ritorno per il Dottore, per altri episodi della serie, vi ricordo lo speciale della Bara!
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