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Domino (2005): Storia vera (più o meno)

L’effetto domino è incontrollabile, può filare tutto liscio
oppure rivelarsi un disastro, come lanciare una monetina: testa sei il fratello
da compatire, croce sei… Lo Scott giusto!

Ci sono vite che sembrano già appartenere al cinema, come
quella di Domino Harvey, nata a Londra nell’agosto del 1969 dalla modella
Paulene Stone e da papà, l’attore Laurence Harvey, magari lo ricordate accanto
al Duca John Wayne in “La battaglia di Alamo” (1960), oppure nel classico di Frankenheimer
“Va’ e uccidi” (1962) che quello giusto della famiglia Scott, filologicamente
cita, nel film sulla figlia di Laurence.

Il cinema era nel destino di Domino fin dal suo nome,
ispirato alla Bond Girl di “Agente 007 – Thunderball” (1965), ma la ragazza non
è mai stata avvezza a scelte facili, malgrado la classe sociale a scuola ha
collezionato una serie di nasi (di compagne) rotti. Ma anche la successiva carriera di modella a
Londra, non faceva proprio per lei. No, Domino ha preferito trasferirsi a Los
Angeles… Per fare l’attrice? Ma figurati! Domino Harvey, dopo un periodo (si
dice) nel corpo dei vigili del fuoco, alcuni buchi di sceneggiatura e la
risposta ad un annunco del suo futuro mentore Ed Moseby, finisce a fare la
cacciatrice di taglie (storia vera).

Figlia d’arte, nome da Bond Girl, gambe da modella e “cazzimma” da cacciatrice di taglia: Domino Harvey.

Normale che la vita di una così, per essere raccontata al
cinema, avesse bisogno di un altro personaggione all’altezza di Domino ed è
qui che entra in gioco quello giusto della famiglia Scott. Nel 1994 facendo
colazione una mattina, Tony finisce a leggere su un giornale l’articolo di Sacha
Gervasi intitolato “My gun for hire: Why a movie star’s rebel daughter turned
into a bounty hunter” e si mette in testa che lui questa Domino deve
conoscerla in tutti i modi.

Il gancio giusto è Peter Morton, co-fondatore della catena
di ristornati Hard Rock Caffè, amico di Tony e allora fidanzato di Paulene
Stone, mamma di Domino, i gradi di separazione sono un po’ meno dei canonici
sei, ma resta il fatto che due gatti senza collare come Tony Scott e Domino
Harvey diventano amici, anzi, per ammissione della signora Stone, lo Scott
giusto era una specie di figura paterna per la cacciatrice di taglie (storia vera).

“Ti nomino Scott ad honorem!”

Il primo tentativo di portare la vita da film di Domino sul
grande schermo lo fa la 20th Century Fox, che, poi, però rinuncia vendendo i
diritti alla New Line Cinema. Scott, invece, non convinto della prima bozza di
sceneggiatura, fa riscrivere tutto a Roger Avary, l’ex migliore amico di uno
che deve la carriera proprio al nostro Tony, Quentin Tarantino. Ma anche le proposte di Avary non piacciono e
qui la monetina lanciata in aria gira su se stessa: testa o croce? Tony Scott
legge la sceneggiatura del film “Southland Tales” (2006) e decide che l’uomo
che l’ha scritta, Richard Kelly è quello che ci vuole per il suo film su
Domino. La metà sbagliata della moneta.

Voi ve lo ricordate che atroce disastro era “Southland Tales”?
Dopo il film della vita (“Donnie Darko” 2001) Kelly ha avuto carta bianca e il
risultato è stato quell’incidente in galleria, la prima clamorosa prova del
fatto che a Riccardino Kelly, “Donnie Darko” è uscito fuori così anche grazie
ad una discreta botta di culo. Sì, perché Kelly è lo stesso che è riuscito a
prendere un racconto semplice ed avvincente scritto da un genio come Richard
Matheson, le cui premesse erano: esiste una scatola, se premi il pulsante al
suo interno questa ti ricopre di soldi, ma da qualche parte nel mondo qualcuno
muore, tu cosa fai? Trasformandola in un delirio senza senso con di mezzo
alieni e cospirazioni come in un discorso a ruota libera di un terrapiattista
ubriaco (indistinguibile da uno sobrio).

I titoli di testa del film sono così lisergici che vanno mostrati per bene.

“Domino” inizia con la voce della vera Domino Harvey che
pronuncia le parole «Testa vivi, croce sei morto» e con la frase sullo schermo
che fa bella mostra di sé: “Basato su una storia vera” (più o meno). Non credo di
aver mai visto un film più onesto di così nel dichiarare tutte le sue
intenzioni. Lo avevo visto al cinema alla sua uscita, come quasi tutti i film
di Tony Scott che per me erano un appuntamento fisso imperdibile, dal 2005 non
ho più sentito il bisogno di rivederlo, almeno fino a questa rubrica e dopo aver
ripassato posso dirvelo: non è migliorato rispetto a come lo ricordate, è
ancora all’altezza della sua (brutta) fama, ma anche migliore di quanto la sua
(brutta) fama lascerebbe intendere, davvero un film che come un altro Harvey, lancia costantemente la monetina
per prendere le decisioni, certe volte gli va di lusso, in molti altri momenti
proprio no.

Lo abbiamo visto anche nel corso di questa rubrica, Tony
Scott è sempre stato un regista con la tendenza a ripetere quello che nella sua
carriera ha funzionato (faccio il solito esempio Top Gun e Giorni di tuono
che rende molto bene l’idea). Richard Kelly, però, è uno Shane Black oppure un Quentin Tarantino solo nella sua mente e la trama di “Domino” risulta inutilmente
pasticciata a confusionaria, tutta la faccenda delle First Lady (una strizzata
d’occhio ironica a Point Break) occupa un’enorme porzione della storia, ma di
confessarvi che mi risulta tutto chiaro anche alla seconda visione del film,
proprio non ci riesco.

Queste sono dedicate a Lucius e alla sua rubrica sui Nunchaku.

Mi sembra piuttosto evidente che Tony Scott abbia un occhio
amorevole per la sua protagonista e ci tenga a raccontare questa storia così incredibile
nel suo film, ma alcuni passaggi della trama sono macchinosi e il ritmo ne
risente e per questo “Domino” risulta un film frustrante, perché
dentro ha un sacco di idee dannatamente buone! Ma andiamo per gradi, parliamo
prima della regia.

Se lo avesse diretto in un altro momento della sua carriera,
probabilmente “Domino” sarebbe stato un film diverso, ma il Tony Scott del 2005
aveva in testa di girare un grande finale nella magnifica location della torre
dello Stratosphere a Las Vegas, fin dai tempi di Beat the Devil, più che altro è il regista che ha trasformato Man on fire in un film esageratamente
bello, anche grazie alla sua tecnica di regia: nove macchine da presa
utilizzate in contemporanea, mescolando tutto il girato insieme durante la post
produzione digitale, il tutto con una palette cromatica dai colori acidissimi. Se i due titoli appena
citati, erano un attacco frontale alle cornee degli spettatori, “Domino” è un
assalto alla baionetta.

Immaginate una cosa così, ma per circa 127 minuti.

In Man on fire la
regia di Tony Scott diventava sincopata per sottolineare gli stati mentali
alterali (dall’alcool) di John Creasy, in “Domino” Scott deve aver pensato che
tutta la vita dei cacciatori di taglie protagonisti era uno stato di
alterazione mentale, questo spiega perché il film è tutto virato verso una
fotografia giallastro arancione da fare male agli occhi, roba che quando i
protagonisti si perdono nel deserto sotto effetto di Mescalina, almeno hai una
spiegazione del perché tutto risulti così acido.

L’altra monetina lanciata in aria e caduta in terra dal lato
sbagliato per me è il casting, cioè di suo non ha nulla di male, è l’ennesima
orgia di facce note, perché in un film di Tony Scott TUTTI volevano recitare,
ma il vero problema è che attorno ai tre cacciatori di taglie, si muovono
un’infinità di personaggi dal minutaggio anche infinitesimale (tipo Mena Suvari)
che spesso hanno più cose da dire dei tre protagonisti, qualche esempio?

“Posso recitare anche io in un film dello Scott giusto?”, “Certo Lucy sei sempre la benvenuta”

Lucy Liu deve assistere alla testimonianza della
protagonista, un ruolo che avrei potuto interpretare anche io per il suo peso
all’interno della storia. Christopher Walken gigioneggia felice divorandosi
intere scene (la sua frase «Sembra la notte dei morti viventi!» è di culto, nel
suo essere quasi totalmente fuori luogo) Jacqueline Bisset, Macy Gray e Delroy
Lindo sono poco più di volti nella folla, mentre Mo’Nique è anche molto brava,
se non fosse che le tocca recitare in tutti i momenti (volutamente) da
“Facciapalmo” del film, lasciatemi l’icona aperta su questo punto, più avanti
ci torniamo.

“Sono arrivato a tre film di Tony Scott. Denzel vediamo se riesci a fare di meglio”

Per quello che riguarda il casting, i tre protagonisti
mi hanno sempre lasciato con diversi dubbi, il dettaglio più interessante di Choco
(il personaggio interpretato da Édgar Ramírez) è il fatto che parli per tutto il
tempo in spagnolo, giustificandosi con il fatto che a Los Angeles tutti
dovrebbero farlo. Il problema che in troppi momenti viene colto da quello che
io chiamo “effetto Chewbacca”, ovvero quando tutto il resto del cast di Guerre Stellari, risponde ai rutti dello
Wookie come se avesse appena citato una frase di Mark Twain, cosa che Chewbacca
potrebbe fare senza problemi, Choco non lo so.

Il personaggio di Ed Moseby interpretato da Mickey Rourke, è
stato ampliato in fase di sceneggiatura, per convincere il vecchio Mickey ad
accettare la parte, Tony Scott voleva recitare ancora con lui dopo Man on fire (storia vera). In alcuni
momenti risulta carismatico, in altri dovrebbe stemperare con l’ironia senza
riuscirci poi molto (la sindrome del colon irritabile, bah) e in certi momenti allunga
il brodo parlando di quella volta che si è sparato in un piede per via di
alcune “Pene d’amor perduto”, anche se io parlerei più di “Alluce d’amore
perduto”.

“Era un alluce molto bello, gli volevo bene avevamo un sacco di ricordi”

Il problema più grosso di tutto il film per me resta il
lancio di monetina di nome Keira “Clavicole” Knightley e, malgrado l’impegno,
qui davvero il verdetto della moneta è un “Croce” senza possibilità di appello.
C’è stato un momento in cui la mia amica Clavicole era in tutti i film, basta
dire che “Domino” era il quarto dei suoi film in uscita nell’anno 2005. Capisco
perché piacesse così tanto, capisco, ma non condivido, a costo di beccarmi un’accusa di sessismo, ve la dico fuori dai denti: a me queste ragazzine con
corpo da ragazzino lasciano indifferente. Inoltre, Keira (forse per via delle
mille mila pubblicità di profumi costosi che le fanno fare) si è fatta la fama
di dama di gran classe, ma l’avete mai sentita rilasciare un’intervista?
Io quando parlo uso un sacco di parolacce, anche troppe, ma a confronto di
Clavicole sembro un’educanda!

“Tu sei un educanda f&%$uto ba&ç%rdo pe%&o di m&%$£@” 

Quindi, se da un lato la monetina di Keira dice
“maschiaccio”, dall’altra non lo è abbastanza per risultare una cacciatrice di
taglie credibile, non basta nemmeno la scena con i Nunchaku a renderla più
tosta, per non parlare della Lap Dance, in cui Tony deve sudare sette
camice per far credere al pubblico che Keira abbia anche qualcosa da far
ballare oltre alle clavicole.

Iniziate a familiarizzare con il concetto di “culista”, nel corso della rubrica tornerà di moda.

Troppo cattivo? Scusate, ma non è colpa mia se i due film
universalmente riconosciuti come più scarsi, nella filmografia di due dei miei
preferiti di sempre, abbiano proprio Clavicole come protagonista. Inoltre, la fotografia ultra saturata di Tony Scott è
impietosa, in un paio di scene la peluria sul viso della Knightley è così in
bella vista che diventa impossibile non notarla, forse era un tentativo di
farla passare per maschiaccio? Bah, chi lo sa, ma le immagini patinate dello
Scott giusto non perdonano nessuno.

Tutto da buttare? No, perché quando la monetina di “Domino”
fa un altro mezzo giro in aria, il film mette in chiaro che se Richard Kelly
sapesse come mettere in ordine le sue idee (SPOILER: non sa come farlo) e
riuscisse a stare concentrato per più di dieci minuti alla volta, a questa
storia le cosette da dire non mancano e Tony Scott è pronto a dirigerle.

“Questa non è la giostra dei pirati dei Caraibi, facciamo sul serio, ti voglio pronta ok?”

Per raccontare Domino Harvey, la cui incredibile vita sembra
una pazzesca storia, Tony Scott rimbalza costantemente tra realtà e finzione,
se accettiamo il fatto che la realtà preveda la figlia ribelle di un attore che per
un po’ ha fatto la modella, ma con molto più successo la cacciatrice di taglie,
la finzione come dev’essere? Ancora più esagerata giusto? Ed è proprio così
che Tony Scott la racconta, fatemi chiudere quell’icona lasciata aperta lassù
da qualche parte.

Christopher Walken risponde presente perché è il direttore
di un canale televisivo dedito alla TV spazzatura talmente sopra le righe da
poter essere vero, nel continuo cortocircuito tra realtà e finzione, Tony Scott
punta il dito e ci racconta una puntata del Jerry Springer show (una roba che
al confronto Barbara D’urso sembra subito Piero e Alberto Angela messi insieme)
che sembra un girone dell’inferno.
Ma forse il colpo di genio più brillante è affidare a due ex
famosi usciti da “Beverly Hills 90210” la possibilità di interpretare loro
stessi in modo ironico. Un perfetto contraltare dei protagonisti che di
riflesso, sembrano subito più “veri” di Brian Austin Green e di Ian Ziering
che, grazie allo Scott giusto, faceva il suo primo passo verso lo sdoganamento, ma
trattandosi comunque del divo di Sharknado,
volete dirmi che il nostro Tony non ci aveva visto giusto?

“Mickey lui diventerà famoso con gli squali volanti”, “Cioè io ero un divo, sono andato a fare un po’ di boxe e mi sono rovinato la carriera, e lui diventa famoso con degli squali che volano?!”

In un film dove realtà, critica alla realtà, le balle
raccontate dalla protagonista a Lucy Liu e quello che vediamo si mescolano
continuamente grazie alla nove macchine da presa di Tony Scott, per far capire
al pubblico stordito da pesci rossi che fanno le boccacce e una fotografia
acidissima, l’unico modo è utilizzare un Totem umano che faccia proprio capire
che i protagonisti hanno toccato il fondo, Tom Waits in versione predicatore
qui è perfetto, perché è uno che le storie normalmente le canta (piuttosto bene
per altro) e al cinema ogni sua comparsata non passa mai inosservata, nemmeno nell’enorme gioco di specchi di “Domino”.

I love you Tony and I always will / Ever Since you put me in this frame (quasi-cit.)

La scena finale sembra Tony Scott che dice a tutti (Richard
Kelly per primo): “Levati ragazzino, che ora papà deve lavorare”. Un finale
tiratissimo che è la solita enorme sparatoria a cui lo Scott giusto tiene tanto
per concludere molti dei suoi film, solo che si sviluppa in tutte le direzioni,
in lunghezza lungo i corridoi, in altezza nella tromba dell’ascensore che
precipita e anche in tondo, visto che attorno allo Stratosphere volteggia anche
un elicottero.

Nel proprio stile dinamico e muscolare di regia, Tony
Scott porta in scena le parole della protagonista, «C’è una conclusione sola a
tutte le storie. Cadiamo tutti», anche la stessa Domino Harvey, quella vera (o
presunta tale), che ha bazzicato parecchio il set del film e compare anche
nell’ultima scena fumando una sigaretta mentre dietro di lei, lo Scott giusto
fa esplodere cose a caso (figata!). Lei il film finito non ha mai potuto vederlo, l’ultima
rotazione della sua monetina ha avuto come responso croce, overdose alla fine
di una lunga dipendenza. Il più delle volte i film finiscono in modo più
glorioso delle vita.

Questa rubrica, invece, ha ancora delle cartucce da sparare,
ci rivediamo qui tra sette giorni, tutto uguale come in un Déjà Vu, ma prima,
il consueto schemino della “Scottitudine”.

“Quello st$&%zo di Ridley un paio di occhiali così fighi non me li avrebbe mai fatti indossare”

Domino (2005)

Se lo avesse diretto Ridley?
Si parlerebbe del modo anticonvenzionale di approcciarsi
alla classica “biopic” cinematografica, ma anche del coraggio e della
sensibilità necessaria per raccontare di un personaggio così vicino al regista.
Ma lo ha diretto Tony, quindi è una roba acida che serve a far lavorare “Clavicole”.
Nel paragone diretto, resta comunque molto meglio di:
“Un’ottima annata” (2006)
Ah! Era dall’inizio della rubrica che aspettavo il momento
di giocarmi questa carta! Il mio sport preferito è andare dai fan di Ridley urlando
loro «Un’ottima annata!», solo per vedere come si portano le manine all’altezza
del cuore sofferenti. Valgono anche mosse sordide tipo «Questa per gli Champignon
è stata… Un’ottima annata!». Manine al cuore, faccia sofferente. Mamma mia
quanto mi diverto!
Risultato parziale dopo il tredicesimo Round:
Se devi sbagliare fallo con stile e se a testa o croce
perdi, almeno fallo per qualcosa che ti sta davvero a cuore, tanto hai comunque
sempre il 50% di possibilità. Una lezione offerta da Tony, lo Scott giusto!
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