Siete invitati ad indossare la vostra collana di aglio e a tenere a portata di mano il vostro “cavicchio puntuto” (non quello!), perché questa Bara sta per sorvolare la Transilvania per la nuova puntata della rubrica… Tutto quel Mel!
Lo ammetto candidamente, mi piaceva l’idea di questa rubrica sul Maestro Brooks, un po’ per girare attorno ai quei due capolavori (già abbondantemente trattati), gli unici che vengono citati quando si parla della filmografia del genietto di Brooklyn, un po’ perché l’ultima fase della carriera di Mad Mel ci ha regalato due titoli che comunque, hanno visto tutti, intendo dire proprio tutti. Perché le sue parodie di Robin Hood e il film di oggi su Dracula, alla fine sono film popolarissimi la cui esistenza è presto spiegata: esigenze di mercato.
Dopo il successo enorme di Balle Spaziali, ormai il pubblico da Brooks questo voleva, parodie non più tanto su un intero genere, ma più concentrare e focalizzate su un singolo film, le desiderava così tanto da ignorare tutto quello che non fosse allineato a queste caratteristiche, lasciatemi aggiungere purtroppo.
Robin Hood – Un uomo in calzamaglia che strizzava l’occhio al principe dei ladri di Kev Costner diventa quindi la nuova formula. A distanza di un solo anno, a frantumare i botteghini di tutto il mondo ci pensò il Dracula di Francis Ford Coppola quindi era nuovamente ora di accendere il Mel-Segnale e far tornare in azione il Maestro. Il fatto che mi sia venuta fuori una metafora pipistrellosa è un caso eh?
Sulla faccenda relativa alla svolta apertamente non-sense della filmografia di Mad Mel mi sono già espresso nel post precedente, vi evito la noiosa replica, tra i grandi Maestri della comicità americana, Mel Brooks è quello che ha sempre saputo sfornare film in grado di camminare sulle loro gambe, senza bisogno dell’esilarante stampella del singolo film da parodiare, quella è sempre stata la specialità di Zucker-Abrahams-Zucker, nel cui campo da gioco aveva messo entrambi i piedi proprio Brooks con il suo Robin Hood mentre per il suo Dracula, ha pensato bene di metterci anche un paio di mani e le ali da pipistrello. Oh al diavolo! Devo togliermi questa metafora dalla testa!
Anche perché parliamoci chiaro, scegliere Leslie Nielsen per il ruolo del vampiro più famoso della storia del cinema è una presa di posizione netta, parliamo di un attore drammatico dai trascorsi serissimi, che proprio ZAZ hanno avuto l’intuizione di trasformarlo del volto della commedia grottesca a base di trovate non-sense. Inoltre va detto quello che non vuole ricordare nessuno, “Dracula morto e contento” fin dalla sua uscita, ha risentito del pesante paragone con la trilogia di “Una pallottola spuntata”, logico che fosse così visto che l’ultimo capitolo targato 1994 era ancora negli occhi di tutti, inoltre trattandosi di un altro film dove Brooks ha portato la sua follia nel campo da gioco di ZAZ, quindi il paragone era inevitabile e per via della teoria già esposta, perdente in partenza.
Ma quello che nessuno dice mai su “Dracula – Dead and loving it” è che si tratta anche dell’ultimo film davvero bello della filmografia di Leslie Nielsen, almeno prima del colpo di coda di popolarità portato nella sua carriera dagli ultimi “Scary Movie”, il terzo e il quarto, non a caso diretti da David Zucker, quindi tutto torna.
L’altro grosso e pesante pietrone legato al collo di questo “Mel Brook’s Dracula” è ovviamente il passato del regista, trattandosi della sua seconda sortita nel genere Horror, l’altro paragone, perdente in partenza proprio per via del cambio di stile che c’è stato nel mezzo, è quello con Frankenstein Junior, che ovviamente fu l’unico argomento portato dai critici nelle recensioni uscite all’epoca.
Per il suo “Dracula morto e contento”, Mel Brooks ha rimesso insieme la stessa squadra di sceneggiatori di Che vita da cani!, ovvero Rudy De Luca e Steve Haberman, quest’ultimo armato di una conoscenza enciclopedica dei classici horror da Nosferatu passando per quelli della Hammer e ovviamente della Universal, perché si, è chiaro che “Dracula – Dead and loving it” ricalchi alcune scene del Dracula di Coppola, ma proprio come il precedente Robin Hood, l’idea di veder sbeffeggiato il titolo spacca botteghino anni ’90 è solo la portata principale, in realtà come per la sua sortita nella foresta di Sherwood, il Maestro Brooks strizza l’occhio e prende amabilmente per i fondelli tutti i vecchi classici. Se avete familiarità con il genere, è chiaro che “Dracula morto e contento” sia più una parodia del Dracula di Tod Browning, il fatto che sia identico anche a quello di Coppola è un automatico riflesso, anche se il principe delle tenebre non si riflette negli specchi (ah-ah).
Il cast è stato assemblato con irrisoria facilità, messo sotto contratto Leslie Nielsen, metà del lavoro era fatto, per la parte della rossa Mina, il Maestro ne aveva una a portata di mano, quindi Amy Yasbeck nel giro di due film si è ritrovata prima Lady Marion (di Batman) e poi al centro delle vicende e dei desideri del conte.
Un cambio di colore di capelli, perché nella versione di Coppola quella rossa era Lucy, ma nulla mi toglie dalla testa che Mad Mel abbia scelto Lysette Anthony per la parte, per strizzare l’occhio alle Winona Ryder che furono. Anche Jonathan Harker venne assegnato seguendo parametri “coppoliani”, ovvero un attore popolare, niente Keanu Reeves per Brooks, che però si divertì a scegliersi come spalla Steven Weber, che arrivava dalla sitcom “Wings”.
Ora, siccome stamattina sono sceso dal letto in vena (avete capito no? In ven… Ok la smesso) di spudorata verità, devo proprio dire che per quanto amatissimo, il film di Coppola di basa su prove di recitazione parecchio, molto, tanto, forse anche troppo sopra le righe. Va bene che Anthony Hopkins è giustamente l’eroe di tutti, ma ve lo ricordate il suo Abraham Van Helsing? Un trionfo di recitazione sopra le righe, per un ruolo che Mel Brooks qui ha pensato bene di ritagliarsi, anche se il Maestro ha sempre ammesso di essersi ispirato all’accento impossibile di Eward Van Sloan del film di Browning, con punte d’ispirazione pescate da “Il prigioniero di Amsterdam” (1940) del suo amico Hitch, in particolare all’attore Albert Bassermann, di lui il co-sceneggiatore del regista, Steve Haberman, sosteneva: «L’inglese sarà stata anche la sua seconda lingua, ma la parlava come se fosse la quattordicesima», tutto questo lo trovate anche nella biografia del Maestro edita da noi da la nave di Teseo, così avete anche le fonti.
Trovo poi singolare che si cerchi un “colpevole” per la svolta non-sense della filmografia di Brooks, il più delle volte identificato nell’amicizia del Maestro con il nostrano Ezio Greggio, che qui interpreta un ruolo di pochi secondi nella parte del cocchiere. Quando invece è chiaro che la svolta sia avvenuta per venire incontro ai gusti del pubblico, quindi molto comodo puntare il dito contro Ezio Greggio, però pensate a quanti film conoscete di Brooks che non siano sempre quei due e capirete un altro motivo per cui mi piaceva l’idea di questa rubrica.
Sapete chi recita quasi lo stesso numero di secondi di Ezio Greggio in questo film ma ruba la scena? Sempre lei, la magnifica, Anne Bancroft, che con la sua gola “vibrante” fa il verso (letteralmente!) all’attrice russa Marija Uspenskaja, classica trovata che il 90% del pubblico non avrà colto, ma sono sicuro abbia fatto ridere tantissimo quei due, a casa Brooks i classici andavano via come il pane ebraico, quindi me li immagino ridere all’idea di infilare un omaggio alla nota attrice, consapevoli che lo avrebbero colto probabilmente solo loro due.
Altro ruolo in cassaforte? Peter MacNicol nei panni di Thomas Renfield, lui lo ricordate sicuramente per Ghostbusters 2 e La Famiglia Addams (sempre il due), ancora una volta più che al Tom Waits di Coppola, qui MacNicol si rifà all’interpretazione del personaggio data da Dwight Frye sempre pescando dal classico del 1931. Per dirvi dell’importanza di questo attore all’interno dell’iconografia del cinema Horror, io vi ricordo un altro omaggio a Dwight Frye fatto da un signore (con nome da signora) che è sempre stato appassionato di film dell’orrore, spero che serva a sviscerare il fatto che “Dracula – Dead and loving it” sia un po’ di più che una semplice e amabile presa per i fondelli all’arcinota versione di Coppola.
La storia la conoscete perché è sempre quella, Bram Stoker, Tod Browning, Francis Ford, l’hanno già raccontata in tanti prima, Mel Brooks si unisce alla festa portando la sua irriverenza, quindi se l’ombra – che già fu quella di Lugosi e poi di Oldman – in questa versione invece che provare a spaventare, fa emergere i veri sentimenti del conte Leslie Nielsen, il cui cappello è una presa per i fondelli alla pettinatura folle di Gary Oldman per un film che procede a colpi di gag, tra le lussuriose mogli del conte («Fatemi le cosacce!») e le reazioni “ormonali” del cast femminile («Ma io sono inglese», «Anche queste!») risulta tutto molto pruriginoso, il tipo di umorismo scollacciato che non è il mio preferito di Brooks, ma è una delle frecce nella sua faretra, qui utilizzata spesso, almeno quanto fatto in precedenza con La pazza storia del mondo (parte I). Capisco che possa piacere o meno, quello è soggettivo, ma gli va riconosciuto il fatto che sia anche estremamente filologico.
Il Dracula di Bram Stoker diventò un successo di vendite, specialmente presso le ragazzine “bene” britanniche (ben prima di “Twilight”!) non certo per i suoi contenuti gotici, quanto più che altro per l’alta carica erotica di quei “baci” sul collo e tutto il resto, quindi Mel Brooks ci dà dentro con le battutacce e le trovate pruriginose, ma di fatto sta solo spernacchiando il materiale originale, che già esponeva parecchio il fianco a questo tipo di sfottò.
Detto questo, forse il difetto vero di “Dracula – Dead and loving it” è di avere una leggera flessione di ritmo nella seconda parte, poco male perché comunque i momenti davvero spassosi non mancano. Uno dei miei preferiti resta Renfield che cerca di dimostrare di essere perfettamente sano, durante il tè con il direttore del manicomio, ma la sua passione per gli insetti ha la meglio su tutto, non servirà spacciarli per uva passa caduta da uno dei biscotti.
Trovo esilarante la lezione di medicina del professor Abraham Van Helsing, con Brooks che sfila metri di intestino da un cadavere per mettere alla prova il fegato dei neo dottorini. Il tutto con Leslie Nielsen che in alcuni momenti si prende il palcoscenico (come quando fa il suo scottante “incubo solare”) in altri funziona per assenza, proprio come il conte di cui veste il mantello, non mi riferisco solo alla scena di ballo allo specchio.
Eppure niente, staremmo qui a parlare della fuffa se non fosse per la scena che ogni volta mi fa cadere dal divano dalle risate, sarà semplice, se vogliamo anche telefonata (ma orchestrata così bene da risultare proprio per questo esilarante), ma se c’è un’espressione uscita da questo film, entrata a far parte delle mie battute sempre care, quelle da tenere a portata di mano, allora non si può non citare la scena del “cavicchio puntuto”.
Un momento che funziona alla grande perché non si può fare un film di Dracula senza la vera ossessione del conte, ovvero il sangue. Da una parte abbiamo l’innamorato Jonathan Harker, dall’altra l’esperto di vampiri Van Helsing, un’altra coppia che ricalca la dinamica resa celebre da Brooks, un “idiota” e un personaggio serio, dalla cui contrapposizione nasce per forza qualcosa di comico, con ancora negli occhi il bagno di sangue nella cripta diretto da Coppola, questa scena fa doppiamente ridere. Secondo l’auto biografia di Brooks, la costumista sul set avesse quattro camice bianche per Steven Weber e ha dovuto utilizzarle tutte, perché dopo ogni ciak l’attore era zuppo di sangue finto e avvolto dalla risate delle troupe, d’altra parte cosa dicono gli attori che prendono parte ad un horror? Che si sono divertiti come bambini a farsi inzaccherare di sangue finto, lo dicono TUTTI quelli che ne girano uno, figuriamoci se poi è uno diretto da Mel Brooks, dove ti ritrovi battutacce come «Lei è Nosferatu!», «Mina è sarda?!» (in originale invece era italiana), che arrivano con tempi comici così azzeccati da colpirmi al cuore ogni volta. Come cavicchio puntuto!
Non mi nascondo dietro al mantello, “Dracula morto e contento” non è tra i miei preferiti del Maestro eppure ogni volta mi fa ridere, il duello per chi avrà l’ultima parola (in moldavo) tra il conte e l’ammazza vampiri per me resta uno spasso. Un film nato perdente perché azzoppato da troppi illustri paragoni, anche con lo scintillante passato rappresentato dalla filmografia di Mel Brooks.
Al botteghino il film è andato malissimo, costato circa trenta milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, è riuscito a portarne a casa un terzo, circa dieci milioni, un tonfo che ha rappresentato la fine della corsa per Mel Brooks dietro la macchina da presa, ma non la fine della sua carriera e a dirla tutta, neanche la fine di questa rubrica.
Noi abbiamo ancora un capitolo prima di chiudere il sipario, anche se ci tengo a ricordarvi che uno degli ultimi film in cui è apparso l’amatissimo Leslie Nielsen, era il più che modesto “Horror Movie” del 2009, titolo originale? “Stan Helsing”. Quindi ricordatevi che più dell’ombra del conte Dracula è quella lunga, lunghissima del Maestro Mel Brooks quella di cui dovreste ricordarvi, talmente influente in termini di contributo alla cultura popolare da arrivare ancora oggi mooooooolto lontano, ma di questo parleremo la prossima settimana, nell’ultimo capitolo della rubrica, non mancate!
Sepolto in precedenza martedì 23 maggio 2023
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